Azione, Recensione

EL MARIACHI

NazioneU.S.A.
Anno Produzione1992
Genere
Durata81’

TRAMA

Un mariachi (suonatore ambulante di chitarra) arriva in una cittadina in cerca di lavoro. Viene invece scambiato per un killer e gli danno la caccia.

RECENSIONI

Nel 1993 fu una bella sorpresa scoprire che questa pellicola amatoriale, girata in spagnolo con appena 7.000 dollari e in 16 mm, fu comprata, ripassata in post-produzione (nuovo montaggio e sonoro, stampata in 35 mm) e distribuita in tutto il mondo da una major americana. Come scavalcare gli iter canonici (soprattutto economici) di rivelazione al pubblico: Rodriguez s’è ingegnato all’inverosimile, ha girato un western violento che non ha nulla da invidiare a prodotti più blasonati nel solo budget, ha molte marce in più, ben visibili nell’inventiva figurativa e nella creatività della sceneggiatura. La troupe sono amici e parenti, gli attori sono non-professionisti e non-pagati (Carlos Gallardo, anche co-produttore, è un vero mariachi). Due le settimane di riprese, con fotografia, effetti speciali, montaggio e script tutti in mano al talentuoso, giovane regista (24 anni), figlio di quella nuova ondata anni novanta che aveva come nonno Sam Peckinpah (western violenti stilizzati), come papà Sam Raimi (B-movies, folli movimenti della macchina da presa come assoluti protagonisti) e fratello maggiore Quentin Tarantino (Z-movies da video-noleggio, soggetti Pulp Fiction con buone dosi di ironia) che, non per niente, chiamerà Rodriguez nella propria scuderia. Il montaggio, vero e proprio Re, è particolarissimo: salta freneticamente dai primi piani ai campi totali e viceversa, per il 90% del film non c’è un’inquadratura che duri più di cinque secondi, la stessa scena è ripresa da più angolazioni, con una predilezione per i primissimi piani, gli sguardi insistiti sulle scarpe e i punti di osservazione più insoliti. Tutto in una giostra caleidoscopica manovrata alla massima velocità. Un cinema finto-drammatico (alla Sergio Leone prima maniera, anche se viene più in mente il Sergio Corbucci Django), pieno di ammazzamenti e sangue per gioco, non senza romanticismo, vedi il bellissimo finale con la chitarra che diventa arma nelle mani di un uomo tradizionalista, già sconfitto dalla tecnologia, dalle pianole senz’anima.