Horror, Thriller

EDEN LAKE

Titolo OriginaleEden Lake
NazioneGran Bretagna
Anno Produzione2008
Durata91'
Sceneggiatura
Montaggio
Scenografia

TRAMA

Jenny e il suo ragazzo Steve fuggono dalla città per un romantico week end. Steve ha trovato un posto idilliaco: un lago isolato e deserto, chiuso tra le montagne. La pace della coppia è però presto distrutta da una gang di ragazzini che ruba le cose dei due e danneggia la loro auto lasciandoli in completa difficoltà. Quando Steve li affronta, gli umori divampano…

RECENSIONI

Ci sono film che ti prendono e non ti mollano dall'inizio alla fine. Eden Lake di James Watkins, già vincitore del Premio Speciale della Giura al Sitges 2008, rientra tra questi. Il soggetto in sé pare rimestare nel già visto. Si tratta, infatti, della più classica delle storie, alla base di decine di slashercontemporanei, con la coppia isolata in fuga da una banda di pazzi scatenati. La differenza è nel fatto che gli aggressori sono dodicenni o poco più. I rimandi più illustri sono L'ultima casa a sinistra di Wes Craven e, soprattutto, Un tranquillo week-end di paura di John Boorman. Ma se il film di Craven esplora con efficace rudezza soprattutto il tema della vendetta privata e quello di Boorman mostra la sfiducia nei confronti della natura, dell'uomo e non, giocando molto sul contrasto tra civiltà e mondo rurale, l'opera di debutto di Watkins aggiorna l'archetipo alle paure contemporanee. Ci sono anche echi di Funny Games di Michael Haneke nella sua visione, ma con un sottotesto meno intellettuale e più diretto verso la sociologia criminale. Il male cova ancora una volta in famiglia, e le giovani generazioni dimostrano di avere assorbito i pessimi modelli di riferimento, intrisi di arroganza, volgarità e violenza; falsi valori incapaci di tradursi in una relazione costruttiva con il prossimo. L'unica legge sembra essere quindi quella della prevaricazione. A vincere non è il più forte, però, ma il più vile, quello che riesce a ingannare con più scaltrezza gli altri fregandosene completamente della legge e della giustizia. Nel poco rassicurante quadro d'insieme la tecnologia diventa strumento non solo funzionale agli agi di una vita più comoda, ma arma per ostentare la propria superiorità. Un vero e proprio complice. Esemplare, al riguardo, l'utilizzo che i personaggi fanno del telefono cellulare. La sfiducia totale nei confronti della natura umana trova il suo apice nell'agghiacciante finale, davvero disturbante per il senso di impotenza con cui il non visto si insinua sottopelle. Al di là dell'analisi antropologica e del pessimismo senza speranza, però, fondamentale per capire la portata del film e la sua incisività, Eden Lake, anche attenendosi alle pure e semplice regole del cinema, non dà tregua. Tutti gli elementi - la fine sceneggiatura, il devastante contributo sonoro, l'ottima prova degli interpreti, il montaggio serrato, la fotografia che accentua con repentina efficacia il passaggio dal sogno di una full immersion nella natura all'incubo della devastazione fisica e psicologica e la regia che governa con maestria il tutto - convergono al brutale ma tutt'altro che gratuito risultato, decisamente sopra la media del genere.

L’esordio dello sceneggiatore di My Little Eye guarda (troppo) al filone horror-vacanziero americano: la felicità dei borghesi benestanti immersa nella brutalità dell’entroterra senza regole. Ma James Watkins, rispetto ai cugini d’oltreoceano che inseriscono il pilota automatico, ha molte marce in più in idee, disegno dei caratteri, scrittura e crescendo di ferocia che non dà scampo. L’opera, praticamente, esplicita il colpo di scena di uno dei thriller-horror più terrificanti del decennio, il francese Them – loro sono là fuori, opponendo la coppia con cuori di panna a ragazzini terribili (c’è anche il Thomas Turgoose di This is England), capeggiati da un individuo con evidenti disturbi, fra rabbia e violenza. Il terrore che ne scaturisce è palpabile e disturbante, sia perché è credibile la messinscena della violenza verbale e non dei ragazzini devianti, sia perché Watkins è abile nel giocare al vedo-non vedo oscillando fra loro ingenuità, divertimento, ansia di appartenere al gruppo e orrore per ciò che si sentono costretti a fare (ma i rimorsi svaniscono con un leader spietato). La protagonista in fuga rientra appieno nello stereotipo della vittima insopportabilmente inetta, ma la scrittura filmica abiura i copia-incolla hollywoodiani che, per comodo, privano i predatori di umanità e le prede di macchie scure: basti la scena in cui la donna prima uccide l’unico dei ragazzini che, pentito, le si avvicina con premura, poi lo abbraccia rammaricata. Notevole la chiusura beffarda e agghiacciante, in cui ci si prende gioco del preconcetto genitoriale per cui, in nome dei bambini, si può compiere qualunque azione illecita. Da segnalare, anche, un colpo basso registico: la corsa di un inseguitore in montaggio parallelo ingannevole con il personaggio di Michael Fassbender che lo attende per stenderlo con un cric (invece quasi uccide la fidanzata comparsa all’improvviso).