TRAMA
Un oculista non sa come liberarsi di un’amante importuna. Nel frattempo, un regista s’innamora di una produttrice, corteggiata anche dal cognato dell’uomo…
RECENSIONI
Il privilegio accordato dal cinema alleniano alla parola è un tratto indiscusso. A torto. Crimini e Misfatti presenta una sceneggiatura compatta e di straordinaria intelligenza, ma l’adamantino scheletro verbale non reggerebbe (o apparirebbe piuttosto sterile) se non costituisse la base di un acuminato saggio sulla necessità, il piacere, la ferocia, la scomparsa della visione. Il film è una complessa detection story in cui tutti, spettatore compreso, sono colpevoli vittime investigatori di aspetti diversi della realtà: si mente per paura o ambizione, si cerca con interesse o disgusto, si vuole comunque comporre un puzzle intellettuale ed emotivo capace di coerenza e autonomia rispetto al caos che domina l’universo, anche se tutte le tessere combaceranno (nella sequenza finale) per merito esclusivo di un destino cieco e crudele, dotato di un’ironia che non dà tregua. Composto da due storie principali, che illustrano due momenti diversi, o meglio due sviluppi narrativi possibili dello stesso tema [l’adulterio come naufragio (destinato a comparire nuovamente, in una luce più favorevole, in Alice)], giocato su un registro apparentemente dimesso che fonde con squisita naturalezza sfoghi melò e aforismi sussurrati, squarci espressionisti (gli occhi aperti/chiusi) e allucinazioni della psiche (i flashback, destinati non a illustrare i ricordi dei personaggi ma a sondarne le ferite), il film indica comunque una via, estremamente ardua, che porta non alla felicità (giusto premio, naturalmente, di chi non la cerca e non la merita) ma alla comprensione. Qual è, dov’è il senso di un’esistenza illogica, disumana, letteralmente mortificante? Nella sua dimensione temporale. La vita, combinazione fortuita di frammenti giustapposti, è fonte di un’ingiustificata, comprensibile speranza: ci si illude di potere, in un futuro indefinito, ridere di ciò che, per ora, causa disperazione. La speranza è alimentata dal cinema e dall’umorismo, dispositivi artistici che sfruttano la distanza e la simulazione per ri-creare un’umanità votata all’autodistruzione, consapevole o meno; la volontà di non osservare, non dire, non rispettare nulla (neppure se stessi) mummifica cervello e cuore, chiude il corpo in una gabbia opaca (mirabilmente disseccata dal bergmaniano Nykvist) da cui si evade (in libera uscita strettamente sorvegliata) attraverso il fascino ultraterreno (in tutti i sensi, post mortem compreso) del grande schermo (Il Signore e la Signora Smith, commedia coniugale indirettamente connessa alla suspense, plasma un contrappunto geniale). Spicca, fra le altre, la prova di Anjelica Huston, che passerà dal ruolo di vittima a quello d’investigatrice in Misterioso Omicidio a Manhattan.