Commedia

COSÌ È LA VITA (1998)

NazioneItalia
Anno Produzione1998
Genere
Durata107'

TRAMA

Un galeotto, dopo avere sequestrato l’agente che avrebbe dovuto sorvegliarlo e un inventore, intraprende con loro una disperata fuga dai risvolti surreali, fino alla terribile scoperta…

RECENSIONI

Dopo l'enorme ed inatteso successo del loro esordio "Tre uomini e una gamba", Aldo Giovanni & Giacomo tentano di crescere. Alla loro comicità consueta (molte battute e situazioni vengono dal loro primo film o dallo spettacolo teatrale "I corti", e l'episodio iniziale è il séguito del prologo "tarantinato" del loro debutto cinematografico) i tre aggiungono una storia allo stesso tempo realistica e fiabesca, problematiche morali e sociali, arditi movimenti di macchina (il volo finale) ed effetti speciali digitali.
Molto di nuovo, insomma. Troppo. La presunzione e la superficialità con cui i nostri si avvicinano alla commedia fantastica, terreno su cui sono scivolati narratori esperti del calibro di Blake Edwards (buona parte di "Nei panni di una bionda") e Woody Allen ("Alice"), danneggiano quel poco di pregevole che c'è nel progetto.
Ma il peccato più grave di questo film scritto a sedici mani (tra gli altri, da uno dei membri della mitica Gialappa's Band) e diretto a otto è la lentezza incrostata di moralismo e pedanteria che affligge la prima e, in misura minore, la seconda parte. La leggerezza dell'esordio del trio, nel quale si parlava di intolleranza e "male di vivere" ribaltando i luoghi comuni dell'italiano medio (gli immigrati laureati), è un lontanissimo ricordo: i personaggi di colore (compreso l'insopportabile bimbo che legge libri di filosofia) sono santificati senza motivo, la melanconia di Giacomo (l'intellettuale del gruppo) è troppo parlata e troppo poco sentita dal personaggio.
Certo, quando il copione permette loro di sbracare i tre ritornano grandissimi e si contendono le risate del pubblico (vince Aldo, con la storia della gazzella e del leone, il parto in automobile e la telefonata senza cellulare). Ma proprio la dimensione farsesca delle gag soffoca la pretesa poesia della vicenda, le citazioni (infinite, da "Nick mano fredda" a "Forrest Gump", da "Blow up" a "Thelma e Louise", da "Prendi i soldi e scappa" ad "Un giorno di ordinaria follia") si fanno didascaliche e i personaggi di contorno sono figurette senza spessore, lontanissime della saporite caratterizzazioni del primo film.
Fiacco e noioso (soprattutto nella prima parte), logorroico e ripetitivo, inutilmente volgare (la "metaforica" inquadratura finale). Non si salvano neppure Marina Massironi, comunque brava, ed Antonio Catania, anch'essi vittime di una vicenda piena di buchi e incongruenze, al servizio di tre comici che si credono Benigni, ma, almeno in quest'occasione, non arrivano al peggiore Mel Brooks. Decisamente abborracciato.

I tre simpatici comici mettono in scena, prima di tutto, il valore dell'amicizia virile che va oltre le differenze e le apparenze. Ambiscono alla commedia "sociale" che, con il colpo di scena finale, facendosi fantastica, getta uno sguardo meditabondo ma non grave sulla vita, quella che ti maltratta, ti offre la chance di rifarti, ti rigetta nella disillusione, accende una lirica speranza (il progetto da "ovetto Kinder" che libra in aria) per poi seppellirla...nella cacca. C'è più umanità ed intelligenza nei carcerati e negli extracomunitari che fra la gente normale, borghese o coatta che sia. A tutti può capitare, braccati dalla vita, di commettere degli errori (sottotitolo ironico: “Una storia vera”). Resta la risata, amara ma liberatoria. Peccato che le ambizioni dei tre comici si scontrino con l'oggettiva limitatezza dei loro mezzi espressivi: restano appesi a mezz'aria, guardano in alto, verso "il" Cinema, ma una catena (da carcerati?) li fa volare basso. Le scenette comiche (senza grandi idee, oltretutto) spesso appassiscono nei tempi laschi di un linguaggio cinematografico che amano, citano (il dramma carcerario alla Nick Mano Fredda in apertura, film nel film) ma non parlano correntemente: la gag ha bisogno di ritmo e leggerezza, la riflessione profonda di spessore e afflato poetico. O si amalgamano o cozzano l'una con l'altra. È comunque contagioso il loro entusiasmo nel voler rischiare e lasciare un segno non meramente mercantile: in fondo, per avere successo al box office, bastava che replicassero pedissequamente al cinema i loro buffissimi numeri da cabaret. Invece hanno osato, e chi osa vince (quasi) sempre. La storpiatura della "gazzella e il leone" di Aldo è uno spasso, l'affiatamento dei tre (Giovanni è, stavolta, l'anello più debole: poco convinto nel recitare o nell’essere “se stesso”) garantisce il divertimento. Musiche dei Negrita.