
TRAMA
Mettiamo una bella, civile e laboriosa città del Nord Est. Mettiamo che questa città abbia una percentuale alta di lavoratori immigrati, tutti in regola e ben inseriti. E mettiamo, per esempio, che un buontempone d’industriale si diverta a mettere quotidianamente in scena un teatrino razzista: iperbole, giochi di parole, battute sarcastiche, tutte, ma proprio tutte, così politicamente scorrette da risultare esilaranti. Mettiamo che un giorno il teatrino si faccia realtà, che gli immigrati, invitati a sloggiare, tolgano il disturbo. Per sempre.
RECENSIONI
Come cambierebbe la quotidianità se di punto in bianco, dalla sera alla mattina, scomparissero tutti gli extra-comunitari? Su questa bella e provocatoria idea si fonda il soggetto dell'opera terza di Francesco Patierno, ancora alla ricerca del successo di pubblico, e di un'identità cinematografica, dopo l'apprezzato Pater Familias e il flop de Il mattino ha l'oro in bocca. Idea ottima, si diceva, anche se propriamente non originale, perché già centrale nel film Un giorno senza messicani di Sergio Arau, debitamente citato nei titoli di testa. Il tema, quanto mai attuale, trova situazioni inizialmente brillanti, con punte decisamente comiche grazie all'industriale razzista e xenofobo interpretato da Diego Abatantuono, che fa dell'uomo di destra del nord-est una irresistibile caricatura (anche se i puristi della lingua storceranno il naso davanti a un dialetto veneto non sempre ineccepibile). Lo spunto accende quindi la curiosità, smuove in più occasioni il sorriso, solleva qualche amara consapevolezza e prova a coinvolgere sul destino dei personaggi che si ritrovano a invocare il ritorno di chi volevano, a veementi parole, allontanare. Una mancanza che si sente sia nella concretezza del quotidiano (lavori domestici non fatti, anziani abbandonati al loro destino, mano d'opera scomparsa) che, per alcuni, anche a livello affettivo (quando la prostituzione riempie lacune non solo carnali). Il problema è che l'interesse del soggetto e delle premesse non trova sviluppi altrettanto efficaci. Tolto Abatantuono e le sue doti istrioniche, infatti, il film si arena nel rapporto di coppia tra un poliziotto sui generis (Valerio Mastandrea indeciso sul registro da adottare) e una maestrina di scuola incinta di un compagno nero e, perciò, scomparso (Valentina Lodovini, piuttosto incolore). Due personaggi che faticano a reggere il peso del film in una seconda parte per lo più inconcludente. Dopo un buon incipit e qualche colpo ben assestato (la lunga sequenza con il tassista), la sceneggiatura finisce quindi per girare un po' a vuoto, senza trovare battute memorabili o situazioni intriganti (il tunnel nel parco, da cui i bambini sono convinti di comunicare con gli extra-comunitari scomparsi, è insistito ma aggiunge poco) e si fatica ad arrivare a una chiusa che non svilisca il tutto. La strada della poesia, con l'innesto del Mago Magic, agevola il compito, ma qualche colpo di scena gratuito (l'identità del padre della Lodovini) e alcune gag superflue (lo sbotto della nonna, fino ad allora silente) allungano il brodo inutilmente.
