TRAMA
Coraline, una ragazzina di undici anni, si trasferisce con la sua famiglia in una vecchia e grande casa. I suoi genitori, impegnatissimi nel lavoro, non la considerano più di tanto e lei approfitta del tempo a disposizione per esplorare il nuovo territorio. Nel salotto trova una piccola porta murata che la introdurrà in un universo parallelo, identico a quello di provenienza, dove tutto è però più bello, dai genitori, sorridenti e disponibili, al cibo, vario e succulento. Unico inconveniente: mamma e papà hanno due bottoni cuciti al posto degli occhi. Riuscirà la piccola Coraline a resistere alle lusinghe di un mondo apparentemente perfetto?
RECENSIONI
La tradizione abbraccia il futuro in Coraline e la porta magica, trasposizione cinematografica dell’omonimo racconto scritto da Neil Gaiman e illustrato da Dave McKean. È interessante l’incontro dell’artigianale tecnica "stop-motion", che con pazienza certosina affianca manualmente un fotogramma all’altro, con la stereoscopia, tornata in auge grazie all’industria americana per ancorare, con gli appositi occhialini, lo spettatore alla sala cinematografica e combattere il morbo tutt’altro che debellato della pirateria. Il risultato è piacevole per gli occhi, pur con qualche legnosità nell’animazione, ma non scalda il cuore. Alcuni aspetti colpiscono: la sensazione di essere dentro i luoghi della rappresentazione grazie a un efficace uso della profondità di campo, l’utilizzo funzionale dei colori (cupi e crepuscolari nella grigia realtà, inizialmente sfavillanti nell’ammaliante irrealtà e poi via via più scuri quando il sogno si tinge di nero) e qualche effetto 3D ad hoc (i bellissimi titoli di testa e poco altro, comunque). La regia di Henry Selick, però, non riesce a replicare la magia di Nightmare Before Christmas. Se si apprezza l’impianto visivo, infatti, e si ammira la cura con cui ogni dettaglio, grazie anche a qualche incursione della computer grafica, trova adeguata valorizzazione, convince meno il passaggio dal brillante soggetto alla sceneggiatura. A cominciare dalle caratterizzazioni dei personaggi che, protagonista a parte, risultano un po’ piatte e poco sfumate (i genitori), scialbe (l’amico Wybie, ma anche il gatto nero), eccessivamente caricaturali (Mrs. Spink e Mrs. Forcible), frastornanti e noiose (Mr. Bobinsky), in ogni caso non particolarmente simpatiche e incapaci di agganciare lo spettatore. La cattiva della situazione sarebbe anche un bel personaggio, nell’opposizione tra il suo bisogno di amore come ingannevole “altra mamma” e la crudeltà di cacciatrice di anime, ma le sue motivazioni si ammantano di ambiguità senza riuscire a trovare una sintesi incisiva e il suo piano diabolico ha più di una falla (una volta scoperto il trucco, ed è inevitabile che questo avvenga, nessuno accetterebbe di restare in un mondo che non esiste). Il contrasto tra piani diversi di realtà, oltre a un indubbio fascino, offre spunti di riflessione, ma l’incanto punta con poca leggerezza al macabro e gioca con il ribaltamento del concetto di bene e di male fermandosi alla superficie. La capacità di guardare le cose per ciò che sono è la chiave per interpretare il film. Sono gli occhi la porta di accesso al mondo, (così come gli occhiali al 3D, in un parallelismo curioso), aperti ma ciechi se non attenti a scoprire ciò che le apparenze possono celare. Il fatto, però, che tutto finisca ancora una volta a sganassoni riduce notevolmente la portata dei conflitti. Forse manca quel tocco di poesia in grado di rendere morbide le asperità e perturbanti le malinconie, oppure un’ironia sdrammatizzante. Non aiuta il minutaggio audace (100 minuti sono tanti per un film di animazione) e il ritmo, piuttosto lasco. Sta di fatto che Coraline e la porta magica si apprezza per la dedizione che lascia trasparire e per le suggestioni che più che altro promette, ma si arena in una via di mezzo da cui non riesce a districarsi: troppo dark per i più piccoli (a cui il marketing erroneamente lo indirizza) e un po’ prevedibile per gli adulti.

Con Selick la fantasia non vola: lo avevamo riscontrato anche nel suo James e la Pesca Gigante, sempre tratto da un favolista gotico/nero (Roald Dahl) come Neil Gaiman che, dal canto suo, fornisce idee ottime ma al contempo troppo parche nell’economia generale del racconto, con morale e allegorie semplici (non anelare al paese dei balocchi, ama quello che hai), non in tutto originale (da Pinocchio ad Alice nel Paese delle Meraviglie passando per "Hansel e Gretel") ma intrigante e fedelmente trasposto (Selick aggiunge solo la figura del ragazzino). Il richiamo più evidente, da fiaba horror-dark, è alla precedente, migliore regia di Selick, il Nightmare Before Christmas di Tim Burton che, però, era molto più barocco e generoso di invenzioni (qui, nella prima parte, ci si annoia a specchio della protagonista che vaga per la casa con i genitori che la trascurano). Ciò non toglie che Selick abbia un’immaginazione compositiva meravigliosa: è anche lo scenografo e non si può non restare impressionati dai suoi set démodé tutti costruiti a mano (in questo il regista si discosta dalle illustrazioni del libro, più stilizzate: il giardino incantato che si anima; lo show delle due vecchie attrici discinte), ripresi in stop motion una volta arricchiti dai personaggi (pupazzi e idee per raffigurarli spesso sorprendenti, vedi la figura da strega-ragno dell’altra madre). Un capolavoro di artigianato durato quasi quattro anni (in post-produzione qualche ritocco digitale). Peccato che alla sua regia manchi la “vita”: è una questione di ritmo, di scelta delle musiche, qui sempre sottotono (per quanto suadenti in sé) e non al passo con l’emozione voluta dalla rappresentazione. Una questione, anche, di passaggi da incanto lirico perpetuati con tempi laschi spesso fuori luogo. Il 3D (è il primo film in stop-motion che sfrutta questa tecnica) esalta solo la tridimensionalità delle figure, non è in funzione drammatica. Esordio produttivo della Laika Entertainment, guidata dal giovane Travis Knight, figlio del co-fondatore della Nike.
