Drammatico, Erotico, Sala, Thriller

CINQUANTA SFUMATURE DI GRIGIO

Titolo OriginaleFifty Shades of Gray
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2015
Durata125'
Tratto dadal romanzo di E.L.James
Fotografia
Scenografia

TRAMA

La relazione tra la studentessa Anastasia Steele e il miliardiario ventisettenne Christian Grey viene regolamentata da un contratto che prevede particolari condizioni.

RECENSIONI

Cinquanta sfumature di grigio non è solo la trasposizione della storia narrata dal noto bestseller, è l'esplorazione cosciente e la riproposizione di un genere, quello erotico-patinato anni Ottanta (con strascichi nei Novanta), che aveva in Adrian Lyne e Zalman King i suoi cantori e in 9 settimane e mezzo (qui citato alla lettera in una scena) la sua opera fondante. I suoi ingredienti lo gridano. Fuori dal testo: un hype, con promesse di scabrosità che non verranno mantenute (scene di sesso asettiche, erotismo castigatissimo), che solletichi il potenziale spettatore (anche allora erano le aspettative del pubblico, le sue fantasie, a trascinarlo al cinema). Nel film: una storia in ambiente signorile che si annuncia torbida e che ovviamente è un calcolato, sopportabilissimo épater le bourgeois; un innesco narrativo fondato su una pratica sessuale, mediamente (questi film fanno affidamento nella medietà) percepita come disdicevole, che conduce a un gioco sì rischioso, ma che implica la cosciente accettazione delle sue condizioni (secondo il vangelo di Proposta indecente); fresca carne attoriale, prestata all'obiettivo con finta generosità e vera, parsimoniosa geometria; la furbizia di un vago interrogativo morale legato alla messa in discussione (desueta oggi ed è questo a rendere il genere inattuale) della dignità e dell'amor proprio e a un vago sentore di sessismo (l'equilibrismo in materia è fondamentale perché possano scattare letture diversificate e conseguenti discussioni); algide ambientazioni in cui le figure spiccano nel trionfo di un'estetica parapubblicitaria e di un décor laccatissimo; il calibrato gioco del vedo-non vedo che riguarda, secondo il verbo pruriginoso made in USA, più la donna che l'uomo; il lavoro certosino sui dettagli (la rilevanza abnorme dell'’oggettistica) e la ponderata scelta del repertorio musicale, a volte determinante per il successo di tali operazioni (ancora 9 settimane e mezzo).

Quello che manca è tutto il resto, perché Cinquanta sfumature è un film che, al di là del suo deliberato tentativo di vendersi come neo-softcore per le masse, fa quasi a meno del racconto, film narrativamente farraginoso quale si rivela, che stenta a mettersi in marcia e che, giunto con tribolazioni al dunque, si arena ineluttabilmente. Inanellando premesse che premettono ad altre premesse, la pellicola suggerisce costantemente uno sviluppo che, nei fatti, però, fatica ad arrivare, lasciandolo per troppo tempo (e qui c'è del diabolico) all'immaginazione dello spettatore. Così la stanza con gli attrezzi (frustini, staffili e quant'altro) è mostrata quasi subito, ma immediatamente elevata a fantasma mentale che si trasforma tardi in sacrosanta pratica sessuale, allorquando il pubblico, stremato dalle continue ripartenze del plot, il suo film se lo è già fatto: sarà colpa del suo aprire una probabile trilogia, ma Cinquanta sfumature di grigio sembra davvero solo lo statico preambolo della vicenda. Dunque, se l'operazione di stilizzazione di Sam Taylor-Johnson è riconoscibile e accurata, la rilettura consapevole (e anche ironica) del genere, fiaccata dalla mediocre scrittura, consacrata a un coté interiore davvero troppo ambizioso, fallisce in pieno. Fa eccezione la stesura del contratto, il momento migliore anche dal punto di vista della messa in scena e della resa figurativa: è lì che, per un attimo, i personaggi sembrano davvero nudi, è lì che la scorza finto-trasgressiva si sfalda rivelando la carne viva del romanticismo, un momento vibrante in cui quasi brilla il criptato, americanissimo topic del film: la reciproca consapevolezza di un amore corrisposto che pulsa dietro l'ingombrante paravento della perversione.
Sul piano attoriale se Dakota Johnson si rivela scelta felice, con quel broncio innocentino che funziona, Jamie Dornan è una bella foto di una pubblicità Armani che cammina, un sadico (a volerci credere) suo malgrado (il passato lo ha segnato alla lettera), che la sverginanda, riconoscendogli la licenza di Dominatore, domina con agio: è lei ad avviare il gioco, accettandolo, ed è lei a chiuderlo.
(continua)