TRAMA
Francia 1959. Come in una fiaba arrivano portate da un gelido vento invernale Vianne e la sua bambina Anouk, abbigliate come due Cappuccetti Rossi. La giovane donna rileverà una pasticceria situata proprio di fronte alla chiesa del paese, trasformandola in una chocolaterie, causando non pochi turbamenti e polemiche nel tranquillo paese, di cui il vocabolo “tranquillitè”era l’emblema…
RECENSIONI
E' una favola, lo lascia intendere la voce fuori campo ed in verità ammetto che Hallstrom è fedelissimo al significato profondo sotteso dalla produzione folklorica: accettazione e metabolizzazione a fini didattici e pedagogici dello status quo.
Liquidiamo in fretta la questione puramente filmica in quanto di assoluta inettitudine affidandosi il suddetto regista (?) al più scialbo apparato retorico a sua disposizione (dolly enfatici, riprese aeree stucchevoli, fotografia leccatissima), facendo il gioco di un cast in preda alla propria bonaria gigioneria, a partire da Peter Stormare bamboccioso quanto mai, musichette consolatorie tra cui viene impunemente infilato il Satie di "Six Gnossienes", insomma tutto la gamma di piacionerie che fosse possibile raggrumare.
Qualcuno si starà tormentando sulla sedia, a questo punto: è lecito pensare di trovarsi di fronte al solito prodotto hollywoodiano e che chi scrive sia null'altro che uno spocchioso incapace di valutare l'opera nel suo contesto. Lascerò questo dubbio.
L'orripilanza non deriva tanto dalla confezione in sé, di lusso parrebbe per quanto carente sotto ogni punto di vista tranne la magnifica Binoche, quanto dal messaggio veicolato.
Mi spiace sprecare Debord per questa porcheriola ma il concetto di appropriazione ed inglobamento dell'innovazione a vantaggio della dominante reazionaria si attaglia perfettamente a queste migliaia di metri di pellicola impressionata: la poetica dei drop out, della ribellione come modo di vita, l'elogio della libertà sono divenuti stereotipici; ritornano le figura della madre non sposata, del vagabondo con giacca di pelle, le collanine di perline. Una messa in scena in chiave di lezioso diminutivo che non può che sfociare, coerentemente con gli assunti più rigidamente conservatori, nella lode della medietà pacifica, il riassorbimento della stravaganza a favore dei saldi valori dei padri. Famiglia, amore, estate: cessa il vento -sorvoliamo sulla sua simbologia diabolica- e la natura diventa bonaria, i nemici capiscono di aver sbagliato, un sorriso guarisce tutto.
Che bello!
Finalmente abbiamo capito che non si può ottenere tutto dalla vita, che bisogna rispettare gli altri, che otterremo la felicità fermandoci, aspettando. Ma d'altro canto era una favola, non aveva pretese realistiche, è lecito che rifrigga il polpettone della domenica e ce lo proponga come caviale Beluga.
Ed è pure buono.
Inqualificabile.
Ci sono tutti gli elementi della favola nel nuovo film di Lasse Hallstrom: il "c'era una volta" con cui la storia incomincia, l'eroina dal passato misterioso sola contro tutti, l'orco cattivo che poi tanto cattivo non e', il bene e il male facilmente riconoscibili e addirittura l'amore a suggellare il tutto. Pensare con razionalita' a tutto cio' pone piu' di un dubbio sulla sua efficacia, ma il film si dimostra in questo senso molto piu' coraggioso di tante sperimentazioni avanguardistiche o esplicite e pruriginose provocazioni. Nella prima parte, infatti, riesce nel difficile intento di trasportare altrove, in Francia nel 1959 (ma potrebbe essere "nonsisadove" e "nonsisaquando"), in un piccolo paese dove l'arrivo di Juliette Binoche scuote la comunita' dal torpore di una grigia "tranquillite'". Di grande fascino visivo, ma anche narrativo, la costruzione del negozio, la minuziosa preparazione delle delizie al cioccolato e i primi momenti di complicita' con i morigerati e timorosi abitanti del paese. Il potere taumaturgico del cioccolato in tutte le sue varianti regala vitalita' ed energia trasmettendo speranze ed illusioni anche negli spettatori, e la grazia della messa in scena (tipica di Lasse Hallstrom), permette di creare una sorta di sospensione di incredulita' che riconduce alle origini della magia del cinema. Buona parte del merito di questa alchimia va agli interpreti, davvero efficaci, a partire da Juliette Binoche, perfetta nel tratteggiare una positivita' non gratuita dove ogni cosa ha il giusto peso, fino ad arrivare alla veterana Judy Dench, capace in poche sequenze di dare anima al suo personaggio.
La seconda parte del film, pero', non mantiene le premesse e l'entrata in scena di Johnny Depp in versione rock-star gitana risulta troppo sfacciatamente "piaciona" anche per una favola. Se uniamo a questo l'eccessiva semplificazione della tolleranza nei confronti delle minoranze e il prevedibile evolversi degli eventi, il film arriva prima della sua conclusione a riportarci alla realta', lasciando l'altrove in cui ci aveva condotti come un miraggio lontano. Resta il piacere di riscoprire la favola raccontata al cinema, ma anche il retrogusto di un cioccolato troppo dolce per non risultare stucchevole.