Drammatico, Recensione, Sentimentale

CHESIL BEACH

Titolo OriginaleOn Chesil Beach
NazioneGran Bretagna
Anno Produzione2017
Durata110'
Sceneggiatura
Trattodal romanzo Chesil Beach di Ian McEwan
Fotografia
Montaggio
Scenografia
Musiche

TRAMA

Inghilterra, 1962. Edward Mayhew e Florence Ponting hanno appena detto ‘sì’: la loro vita coniugale può cominciare. A passeggio sulla spiaggia di Chesil, nel Dorset, marito e moglie raggiungono la camera di un hotel della costa dove si ritrovano soli, vergini uno di fronte all’altro e in attesa di consumare il loro amore. Ma la luna di miele non andrà come dovrebbe.

RECENSIONI

Sexual intercourse began / in nineteen sixty-three / (which was rather late for me) / between the end of the Chatterley ban / and the Beatles’ first LPʺ. Stando alle parole di Philip Larkin, che individuano con precisione l’Annus Mirabilis della consapevolezza sessuale in terra britannica, l’idillio infranto di Florence Ponting e Edward Mayhew nasconde l’ombra di una beffa del destino clamorosa: se solo i due poveri sventurati avessero aspettato un anno, se solo si fossero conosciuti dodici mesi più tardi, forse le cose sarebbero andate diversamente. E invece no: rimanendo al di qua della soglia fatale, i due neosposi si ritrovano nel 1962, innamorati e impacciati, in una stanza di un albergo fané sulla spiaggia di ciottoli di Chesil, nel Dorset, a dover consumare, oltre a un pasto tristissimo, qualcosa che non sanno neanche nominare, perché non esiste ancora, in quel momento, un linguaggio condiviso che delinei forme e modi possibili di quel che li aspetta, di quel che la società da loro si aspetta (sempre nel chiuso di una stanza, s’intende) e di quel che i loro corpi desiderano. Nel perimetro delle quattro mura di quella camera con vista appannata sul futuro si procede allora a tentoni, in bilico tra romance, farsa e period piece, con le figure dei camerieri a gettare il sale del sarcasmo sulla tavola imbandita e la sagoma minacciosa del talamo nuziale che aspetta sullo sfondo di accogliere i novelli marito e moglie e custodirne finalmente i segreti e gli umori. La struttura a flashback sfonda l’unità di tempo e spazio: ecco il contesto, l’Inghilterra conservatrice e puritana appena prima che Londra diventasse swinging, ecco le famiglie, la disparità di classe, l’aspirante storico di campagna e la musicista di città, lui e il fervore brusco del primo rock, lei e il bon ton classico del quartetto d’archi, l’incontro sotto il segno della protesta e dello scontro generazionale, l’innamoramento nonostante gli ostacoli e le differenze. Nel passato familiare, secondo una logica rigidamente determinista (maggiore che nel testo originario), affondano anche le radici dell’imbarazzo paralizzante del presente, dei corpi che non riescono a donarsi liberamente l’uno al piacere dell’altro: il disturbo mentale della madre di Edward che ne fa una proto-hippie svagata dalla nudità sfacciata, sregolata, legata per l’appunto alla dimensione della follia e della malattia; il più che sospetto abuso perpetrato dal padre di Florence, uomo castrato da una moglie intellettuale virago. Storia di un matrimonio durato poche ore, cronaca di un naufragio sentimentale sulla spiaggia sconosciuta del sesso, dramma dell’impulsività giovanile che preferisce la rinuncia a una scommessa sul futuro, Chesil Beach è uno dei due adattamenti da opere di Ian McEwan apparsi nel 2017 e per la prima volta realizzati dallo stesso autore (l’altro è Il verdetto). Un progetto dalla lunga gestazione, proposto prima ad Ang Lee, poi a Sam Mendes, per finire infine nelle mani del regista teatrale Dominic Cooke, assoluto esordiente al cinema. La sua direzione, diligente e tradizionale, allineata agli standard qualitativi di certa produzione cine-letteraria inglese, per eccesso di correttezza e mancanza di personalità finisce però per depotenziare il testo dello scrittore inglese, limitandosi a illustrarlo, eliminandone le ambiguità, ottundendone la sottile ferocia, anestetizzando i corpi. E, responsabile anche lo sceneggiatore-autore, si smarrisce in un lungo e goffo epilogo che cerca il mélo senza trovarlo mai, ostaggio di un make-up dittatoriale, affondando in un sentimentalismo stridente. Considerato l’ottimo materiale di partenza, un’occasione sprecata.