Biografico, Drammatico, Recensione

BLOW

TRAMA

Storia (vera) del narcotrafficante americano che per primo importò grandi quantità di cocaina negli Stati Uniti, contribuendo in maniera sostanziale al boom della polvere bianca in America.

RECENSIONI

Il problema è che molti di noi pensavano che fosse stato sufficiente quel “Traffic” di Steven Soderbergh a gettare uno sguardo colmo di sciatteria/superficialità sul magico mondo del narcotraffico. Sui viavai attraverso i confini tra paesi produttori/paesi consumatori, soldi a palate e decadenza improvvisa, vite risucchiate (“blowned”) dentro a un vortice di arricchimento feroce, di quella avidità che si impossessa presto di ogni parvenu che si rispetti (e il mondo del cinema non fa eccezione). Tutti concetti questi che alquanto paradossalmente Ted Demme non riesce a esprimere senza cadere prontamente nel ridicolo, ma che riemergono nella memoria cinefila di ognuno una volta consolidato (dopo 10 minuti circa) il fastidiosissimo sentore di deja vu imperante nel film. Eppure la banalità non è che un peccato veniale all’interno di un film talmente puerile e insignificante da riuscire a ergere semi-nullità del calibro di “Traffic” allo status di capolavori. Individuarne i difetti è terribilmente semplice, essendo “Blow” un film che si discosta dagli standard Hollywoodiani per la manifesta incapacità di riuscire a raggiungerli. Fallisce in partenza perché vorrebbe palesemente rientrare dentro agli schemi di un genere che esige per lo meno una buona scrittura, ritmo e una regia solida. Sostanzialmente quello che si richiede a un prodotto di intrattenimento puro. Ma “Blow” non può nemmeno aspirare al rango di film medio, non può rivolgersi al grande pubblico di Hollywood perché non regge il confronto con gli standard attuali. Ted Demme non è chiaramente in grado di dirigere un buon film, e qui ne da’ ampia dimostrazione, arraffando bassamente vecchi luoghi comuni e incollandoli l’uno all’altro in un patetico mix di tristi macchiette che vorrebbero, si presume, arrivare a delineare un ritratto di un personaggio che dovrebbe in qualche modo risultare interessante. Una sceneggiatura tra le più insulse, superficiali, deboli e puerili degli ultimi anni non risolleva le sorti del film.
Il trailer mandato in onda per pubblicizzare il film piuttosto riusciva a dare molto meglio l’impressione dei concetti che avrebbero voluto emergere nel film. Apparivano stralci delle sequenza di Johnny Depp tronfio e sicuro di sé camminare spedito in un aeroporto, con tanto di basettoni incolti e colonna sonora adeguata, elementi che in verità riuscivano a far affiorare una certa atmosfera tipicamente “seventies” e para-tarantiniana. Tutto svanisce all’interno del film, quando ci si accorge che Johnny Depp sta in realtà cercando di passare la dogana dell’aereoporto con due valigie piene di cocaina, ma che Ted Demme non è nemmeno in grado di creare uno straccio di suspance. Il film prevede tra l’altro una sorta di excursus all’interno di diversi decenni, ma le varie ricostruzioni “storiche”, oltre a lasciare molto a desiderare, si susseguono pedestremente senza mai riuscire veramente ad assicurare una vaga idea dello scorrere del tempo. Concetto questo che Demme preferisce esprimere (come già nel precedente “Life”, che comunque meritava senz’altro più attenzione di “Blow”) stupendo con effetti speciali, cospargendo di rughe i volti degli incolpevoli attori protagonisti (non è forse criminoso raggiungere tali insulsi risultati avendo a disposizione Johnny Depp e Ray Liotta?). Pare che Penelope Cruz riesca nell’intento di trascinare al cinema schiere di adoranti. Rimarrebbero comunque delusi, visto che la sua prima apparizione arriva dopo un’ora e un quarto di film (un’infinità di tempo, nel caso di un film tanto mal diretto), non offre certo un’interpretazione memorabile e il suo grazioso volto viene presto sfigurato da una pesante colata di trucco…
“Blow” risulta semplicemente offensivo, film immondo sotto l’aspetto puramente estetico, prodotto basso, inutile e mal confezionato sotto quello commerciale.

Tratto dal libro di Bruce Porter (“Blow: how a small town boy made $100 million with the Medellin cocaine cartel and lost it all”), rivela il nascente talento di un autore che, purtroppo, non vedremo mai sbocciato (è l’ultimo film di Ted Demme, morto giovanissimo): più che a Quei Bravi Ragazzi (Ray Liotta nei panni del padre idolatrato dal protagonista), il regista pare rifarsi a Paura e Delirio a Las Vegas nel modo in cui incastona in questa biografia tragica tracce buffo-lisergiche, a specchio di un antieroe che si ritrovò con un “mercato che si fa da sé” e, finito in prigione, scoprì una scuola di crimine (“Avevo un diploma in marijuana. Esco con un dottorato in coca”). L’Io narrante crea subito una vicinanza con il criminale che si amplia nella descrizione di simpatici pivelli apprendisti, poi famiglia allargata di amici e amanti: con i suoi ideali di lealtà e il suo debole nell’Amore, per quanto dedito a infrangere la legge, il protagonista diventa la prima vittima di un Sistema poco romantico, dove gli insegnamenti della figura paterna (il denaro non conta, conta essere felici) sono fagocitati da quelli della figura materna, traditrice come tutte le altre rappresentanze femminili nella sua vita (e il racconto si fa circolare). Bello anche il modo di Demme di utilizzare brani rock anni settanta.