TRAMA
La serie racconta il passato di Saul Goodman quando ancora era conosciuto con il nome di Jimmy McGill. Sulla sua strada il fratello Chuck, la collega e Kim e l’ex poliziotto convertito in criminale Mike.
RECENSIONI
Il peso di Breaking Bad sulla serie si è fatto sentire sin dalla sua genesi, quando l'idea di base sembrava essere semplicemente uno spin off comedy su Saul Goodman, ovvero una sorta di grande regalo ai fan. Poi il progetto ha cambiato forma, la messa in onda è stata posticipata, gli episodi hanno incrementato il minutaggio previsto ed è venuta fuori una serie dall'anima ibrida, che in prima battuta è stata per forza di cose influenzata dall'umorismo del protagonista, salvo poi dimostrarsi intenzionata a mettere in scena quest'ultimo da un'angolazione totalmente nuova. Nonostante col prosieguo della serie i registri e i toni si intrecceranno in maniera continua e imprevedibile, la doppia anima di partenza è impostata sui due personaggi già noti allo spettatore: Mike Ehrmantraut e Jimmy McGill. Il primo riceve un'attenzione inaspettata divenendo ben più tridimensionale che in passato; un soggetto che si muove nell'ombra, spesso fisicamente sofferente, dal passato tormentato (le cui vicende sono raccontate in “Five-O”, uno degli episodi migliori della serie) e capace di adattarsi ad ogni ambiente. Jimmy dal canto suo è l'esatto opposto: colorato, effervescente, autoironico (e per questo forse ancora più triste) e soprattutto capace intervenire sul contesto in cui è inserito, manipolarlo e contagiarlo con la sua personalità. Cosa vuol dire realizzare uno spin off? Nel rispondere a questa domanda gli autori hanno dovuto tener presente la legacy di Breaking Bad – pericolosissima arma a doppio taglio – e in base a questa prendere decisioni nette rispetto al target di riferimento, agli obiettivi della serie e alla gestione dei crossover. A partire da un personaggio secondario di una delle serie più amate (da pubblico e critica, cosa non consueta) degli ultimi anni viene creato un nuovo show afferente allo stesso universo narrativo, ma ambientato in un passato recente. Da osservatori esterni è bene chiarire che cercare in Better Call Saul una rivendicazione di indipendenza dalla serie “madre” significa mancare completamente il bersaglio, perché errata è la prospettiva di partenza. La serie infatti fallirebbe completamente se cercasse di tagliare i ponti con l'universo di appartenenza, perché in quanto spin off ha come obiettivo l'esatto contrario, ovvero costruirne il più possibile al fine di dar vita a un mosaico narrativo sempre più complesso, un universo esplorabile da e verso più direzioni. Prima ancora dei riferimenti legati al plot e allo sviluppo dei personaggi, ciò che salta all'occhio è l'aderenza stilistica tra le due serie. Non si tratta affatto di imitazione o di sfruttamento di un brand dal successo consolidato (sebbene questa sia una delle conseguenze), ma di una radicale compenetrazione genetica: Better Call Saul è scritta dagli stessi autori, girata dagli stessi registi, fotografata dagli stessi operatori, musicata dallo stesso compositore, interpretata da alcuni degli stessi attori e prodotta dalla stessa emittente di Breaking Bad. Brutalizzando il discorso in una sola frase potremmo dire che non può esistere alcun tipo di imitazione tra i due lavori né ha senso cercare l'emancipazione di una seria dall'altra semplicemente perché, sotto tanti punti di vista, stiamo parlando della stessa cosa. Sulle solidissime fondamenta di uno stile estremamente riconoscibile e di un universo narrativo di cui è già nota la parte terminale (o un pezzo di essa), Better Call Saul fa un lavoro egregio sul piano della caratterizzazione dei personaggi prendendosi tutto il tempo che occorre, forte della rendita di cui dispone. I rischi maggiori la serie li prende nella messa in scena dei personaggi di Kim e Chuck, ovvero le new entry che guidano Better Call Saul verso una direzione propria, facendo da scarto narrativo dominante rispetto alla serie di provenienza oltre che da vettori tematici principali. Ai due infatti è affidato il compito di raccontare il lato oscuro (nel senso di sconosciuto) del mondo a cui milioni di spettatori si sono affezionati, rivelando quella parte di Albuquerque in cui il legal drama si fa allo stesso tempo genere di riferimento e pattern narrativo codificato. Kim è un avvocato come Jimmy, una donna dalle grandi ambizioni e dai solidi principi, attratta dalla personalità e dalla sensibilità del futuro Saul Goodman, ma al contempo respinta (almeno in prima battuta) dai suoi metodi poco ortodossi. Lei è il magnete che trascina Jimmy dalla parte dei buoni ma anche quella che da lui impara a ridefinire il confine tra giusto e sbagliato, a sentirsi sicura delle proprie capacità e della qualità del proprio lavoro. Soprattutto nella seconda stagione il suo personaggio verrà trattato con estrema attenzione fino a ricoprire il ruolo di co-protagonista. A Chuck, fratello maggiore di Jimmy, è legato l'altro affluente della storyline principale, quello incentrato sulla loro rivalità, figlia di ampie differenze caratteriali – esilarante Jimmy, burbero e scostante Chuck – che hanno portato il più giovane dei due ad essere sempre il preferito. Nella seconda stagione il loro rapporto arriva a un esplosivo punto di non ritorno, in cui le ritorsioni reciproche tirano fuori tutto il loro talento mostrandone la brillantezza, la creatività e l'efficacia. La cruciale differenza è che se Jimmy cerca di incastrarlo soprattutto per proteggere l'amata Kim (colpita ingiustamente alle spalle), Chuck dal canto suo fa leva in maniera vile sulla sensibilità del fratello, su quella generosità che porta Jimmy mostrare il fianco a un gancio che in più possiede il paradossale sberleffo di essere sferrato da un consanguineo.
Nulla di tutto ciò sarebbe davvero così efficace, così dirompente e così originale senza colui che a questa serie offre il nome e il volto: Jimmy McGill/Saul Goodman in due stagioni è diventato un personaggio estremamente stratificato, sicuramente forte del lavoro fatto già in Breaking Bad, ma sul quale Better Call Saul ha agito di cesello, rompendo gli schemi costituiti e creandone di nuovi, costruendo passo dopo passo un personaggio insicuro ma indistruttibile, brillante ma malinconico, apparentemente senza particolari qualità ma dotato di una straordinaria capacità di apprendimento e soprattutto permeato da una struggente umanità. Attraverso Jimmy la serie ragiona sull'orrore del quotidiano, sulla micidiale automatizzazione dell'esistenza, sulla noia come nemico numero uno della felicità e sulle regole (intese nell'accezione più ampia possibile) come quel perimetro con cui è possibile scendere a patti solo tramite la sua trasgressione. Il protagonista è un performer, un finto candido prestato al circo della vita, un soggetto che per sopravvivere nell'alienante mondo del lavoro ha bisogno di fonderlo continuamente con lo spettacolo, adottando una maschera dopo l'altra come un Zelig di alleniana memoria ma tentando al contempo di rimanere as colorful as possible. Il trasformismo di Jimmy è solo una delle declinazioni di una crisi che arriva agli spettatori con grande intensità, comunicando una malinconia lancinante tramite la costante tensione alla battuta e al comportamento variopinto, salvo poi rivelare il suo lato oscuro e fragile nei momenti di assoluta solitudine. A far da collante all'intero progetto e a inserirlo in perfetta continuità con Breaking Bad è lo stile adottato da Vince Gilligan e Peter Gould, fatto di grandangoli esasperati, inquadrature sghembe, angolazioni estreme e pianosequenza virtuosistici accompagnati dalla musica del fedelissimo Dave Porter, il quale riesce a giocare alla perfezione sia con la musica e i rumori che con la loro assenza. Un'estetica perfettamente intrecciata con la narrazione, che fa un uso intenso e mai banale del paradosso, specie per quanto riguarda il cold open (sempre presente in entrambe le serie): il segmento narrativo che precede la sigla è costantemente pensato in dialettica col restante minutaggio, sia quando è riempito da un flashback o un flashforward, sia quando anticipa il finale dell'episodio stesso generando uno spiazzante cliffhanger interno. Persino il formalismo più spinto è sempre strettamente legato alla sostanza, soprattutto riguardo al gusto per la metafora, che quasi mai ambisce ad essere un discorso sui massimi sistemi, preferendo intervenire sulle abitudini quotidiane, sui piccoli gesti che caratterizzano a poco a poco i personaggi. Nel finale del sesto episodio della seconda stagione, ad esempio, troviamo una delle più semplici e al contempo significative rappresentazioni del disagio di Jimmy e del suo modus operandi: il portabevande della sua automobile non riesce a contenere il bicchiere pieno di caffè – come lui così anomalo da risultare spesso inadatto – ma Jimmy decide di deformarlo con una leva (sollevando se non il mondo intero quantomeno il suo, metaforicamente) fino a farcelo stare dentro alla perfezione. È questa attenzione ai dettagli a rendere unica Better Call Saul, il cui successo (anche in questo caso sia di pubblico che di critica) risiede nel perfetto equilibrio tra la continuità estetico-narrativa con Breaking Bad e i continui cambi di prospettiva operati attraverso personaggi tanto umani quanto interessanti come Jimmy, Kim e Chuck.
