TRAMA
Un oscuro compositore dilettante ha l’occasione di far ascoltare i suoi pezzi a un divo della musica. Ma l’uomo teme che il cantante, noto donnaiolo, gli insidi la moglie, di cui è gelosissimo…
RECENSIONI
Esercizio di geometria: dati due uomini (una celebrità e un pivello) e due donne (una brava casalinga e una ragazza 'facile') in due ambienti (una borghese casetta e un bar equivoco), dimostrare l'identità dei soggetti (e dei luoghi). Wilder ci riesce, con una grazia che solo i perbenisti più sfrontati possono tacciare di cinismo. Lo schema è comune a molti film dell'autore: due mondi all'apparenza inconciliabili si fronteggiano, per poi scoprirsi perfettamente rispecchiati l'uno nell'altro. Ma se in Sabrina o Che cosa è successo tra mio padre e tua madre? l'amore beffa o mette fra parentesi, per un po', lo squallore del conformismo, denominatore comune di ogni gruppo sociale, in questo film irrefrenabile non c'è neppure l'ombra di una speranza. Motore mobilissimo dell'azione è l'idiozia umana: il protagonista, sposato con una donna che lo ama teneramente, dubita della fedeltà della moglie, pensa di non esserne degno, vuole 'assicurare' la propria 'conquista' per mezzo della fama e del denaro. Il caso (un'auto manomessa dal meccanico-paroliere) offre un'occasione che, però, contrasta col fine ultimo dell'impresa: si rimedia, ovvio, con menzogne a catena. Il congegno, innescato, raggiunge il parossismo: la simulazione (i litigi con la moglie, il reclutamento di una 'prostituta sacra') influisce (non per una notte soltanto) sulle esistenze dei personaggi, cambiandole in meglio, spesso senza che i singoli realizzino con esattezza la sequenza degli eventi. Chi è in grado di farlo (la moglie) non può che invitare gli altri a non ripercorrere il passato alla ricerca di un'inutile risposta: meglio festeggiare la serenità ritrovata, all'interno di un sistema di valori (la società dello spettacolo) deflagrato a causa degli stessi avvenimenti che ne salvano il guscio. Baciami, stupido! è una riflessione cruda e brillante sulla morale maschilista, che, dominata dall'ansia di possesso, sogna trionfi e divide le donne in sante e puttane, e un eccellente saggio sul cinema, simulazione capace, nelle sue migliori espressioni, di essere vera come la realtà, e anche di più. Il film inizia con l'esibizione di un cantante, mostra un pappagallo sempre incollato al piccolo schermo, termina con una folla che guarda alla televisione il divo dell'incipit: si vive d'illusioni apertamente riconosciute come tali (il tema conduttore è la melensa canzonetta italiana scritta dal protagonista), le persone sono disposte a diventare tutto ciò che i loro interlocutori vorranno (non è un caso che la cameriera sia interpretata da Kim 'Vertigo' Novak), anche perché le analogie sotterranee (la fede e l'ombelico, le dame parrocchiali e la maîtresse che conduce le ragazze in chiesa, l'anniversario di matrimonio e la 'serata di libertà') incoraggiano questi scambi. Wilder si conferma regista sommo, in grado di cesellare il dettaglio senza trascurare l'insieme (le inquadrature 'dense' delle sequenze conviviali), capace di tratteggiare, in una sola inquadratura, personaggi indimenticabili (i suoceri del compositore). Se la prima parte sfrutta con intelligenza mefistofelica lo spazio ristretto della casa ed è punteggiata da trovate comiche semplicemente geniali (una per tutte, il pompelmo), la seconda ha un tono melanconico che non soffoca la cattiveria rigeneratrice che è la cifra caratteristica di questo gioiello, scintillante di battute immortali (quella del titolo su tutte), servito da interpretazioni di mirabile autoironia.

Andamento ilare, racconto irresistibile folgorato da continue battute, dialoghi e situazioni spassose, senza sosta. La sceneggiatura di Wilder e IAL Diamond è sagace nelle perfide allusioni e nelle tante sottigliezze, la regia la serve a puntino e gli interpreti vanno da un simpatico Dean Martin (impagabile la scena d’apertura nel nightclub), a un convincente Ray Walston (che ha sostituito Peter Sellers, vittima di vari infarti, dopo sei settimane di riprese), fino alla sensuale Kim Novak con diamante nell’ombelico. Il racconto che ruota sul tema dello scambio di donne e accenna all’adulterio portò al film non poche critiche di volgarità e problemi di censura: in effetti, se la parte finale s’apre alla dolcezza, contiene anche un risvolto davvero inaspettato ed originale per quegli anni. Morale: ci si tradisce, le paure diventano realtà ma “occhio non vede e cuore non duole”. Se ricorda Moglie per una Notte (1952) del nostro Mario Camerini, è perché sono tratti dalla medesima commedia teatrale “L’ora della fantasia” di Anna Bonacci: il regista italiano la depurava mantenendo i meccanismi divertenti, Wilder, feroce come in L’Asso nella Manica, dice tutto voltandolo anche in amare e poco compiacenti considerazioni sulla provincia americana, sull’istituzione matrimoniale, l’arrivismo, l’ipocrisia. Anche per questo motivo, il film non ebbe successo e Wilder, in seguito, ammise di non aver optato per i ‘modi’ consoni, auto-criticandosi, anche, per il concept e la scrittura non scorrevole come in L’Appartamento e Quando la Moglie è in Vacanza (con temi simili). Tre canzoni inedite di Ira e George Gershwin eseguite da Dean Martin.
