Drammatico, Recensione

AN EPISODE IN THE LIFE OF AN IRON PICKER

Titolo OriginaleEpizoda u životu berača željeza
NazioneBosnia-Herzegovina/Francia/Spagna
Anno Produzione2013
Durata75'
Sceneggiatura
Fotografia

TRAMA

Bosnia, una famiglia rom vive in un piccolo villaggio. Senada è incinta e avverte forti dolori al ventre, Nazif scopre che senza assicurazione sanitaria non può essere curata.

RECENSIONI

Danis Tanovic è cineasta militante. Dall'Oscar No Man's Land (con messaggio finale lampante: 'La neutralità è già una scelta') al ritorno a casa raccontato in Cirkus Columbia, ha sempre preso posizione occultandola dietro la maschera del minimalismo. Ora avviene uno scarto: per la prima volta nel Tanovic bosniaco, An Episode in the Life of an Iron Picker è davvero minimalista. La storia di Nazif e Senada, dove gli attori interpretano eventi reali a loro accaduti e da loro ricostruiti*, si offre appunto come 'episodio': la miniatura solleva una denuncia, ma resta ostinatamente incollata alla vicenda singola, storia di una minoranza etnica, attraverso una narrazione stringata e asciutta che aumenta la capacità di colpire. La condizione di indigenza è dato di fatto, la povertà generalizzata viene posta come premessa iniziale e intrinseca, che non migliora mai: per questo la contingenza emergenziale è un disturbo sulla linea di queste vite, un problema nel nugolo di difficoltà che, esaurito il rischio per Senada, restano comunque intatte. Dopo l'episodio niente cambia.

*L'unico attore professionista è il dottore che rifiutò di operare Senada: a lui non ho chiesto di recitare la parte sostenuta nella vita (Tanovic).

L'autore sceglie la tecnica del pedinamento: nell'eterno dopoguerra della Bosnia c'è sempre spazio per un neorealismo. La Canon 5D Mark di Tanovic, ex documentarista, accompagna il movimento di Nazif in un paesaggio aspro e inospitale. Qui si sviluppa un circuito di eventi dall'aspetto figurato e metaforico: il protagonista affronta il fatto principale (l'impossibilità di ricevere le cure) innestandolo su un percorso a ostacoli orizzontale, dal guasto dell'auto al blackout della corrente alla necessità di trovare i soldi. Da una parte il simbolo è efficace, come Nazif che smonta la propria auto per ottenere ferro (quindi denaro) in una concretizzazione della merce di scambio che torna al baratto presociale (ferro per soldi per cure). Dall'altro lato c'è una scrittura drammaturgica più traballante quando - nel seguire le vicende dell'uomo - si moltiplicano i 'problemi', una catena di sciagure, concentrazione eccessiva e sovraccarica che mette in dubbio la verosimiglianza.

Alludendo al dramma del welfare inesistente, sorta di Sicko balcanico declinato in fiction, la pellicola è esempio dell'elaborazione retorica del cineasta: si pone uno sfondo significante e si costruisce lo scenario, si crea l'umore di una situazione e poi un personaggio la dice ('Si stava meglio quando c'era la guerra') ma - tutto sommato - nella semplicità e schiettezza dei caratteri anche il dialogo esplicito trova una spiegazione di fondo. Infine Nazif rientra nella casa e improvvisamente scompare in dissolvenza: l'episodio è concluso, l'interruzione è inevitabile e pudica, atto di rispetto verso i personaggi riconsegnati a loro stessi. Gran premio della giuria alla 63esima Berlinale e premio come migliore attore a Nazif Mujić, rimarchevole prova del regista nella direzione dei non professionisti, una piccola cosa che suggerisce sommessamente il senso di questo fare cinema: la guerra dei Balcani non è finita, si è trasferita dal teatro bellico alla battaglia della vita quotidiana.