Commedia

AMORE 14

TRAMA

Carolina ha 14 anni e vive la sua età con curiosità e spensieratezza. Ma il grande amore, e la prima delusione, sono dietro l’angolo.

RECENSIONI

Non è semplice come si crede recensire un film di Federico Moccia. Potrebbe essere liquidato in fretta come innocua scemenza ma risulterebbe, oltre che sbrigativo, anche piuttosto superficiale. Sembra comunque, o almeno così ci vuole far credere il marketing, che gli spettatori si dividano in due opposte fazioni, senza alcuna possibilità di mezze misure. Chi lo ama dice che ha il pregio della semplicità e di raccontare come sono i giovani senza il filtro di uno sguardo adulto e giudicante. I detrattori lamentano che la semplicità non è sempre un pregio, soprattutto se diventa inconsistenza, e che non è detto che l'esaltazione del vuoto di contenuti sia per forza rappresentativa del sentire di una generazione. Sta di fatto che Amore 14 scivola tra i luoghi comuni di cui avidamente si ciba limitandosi a fare di tutto per compiacere il pubblico a cui si rivolge. Il lieto fine negato, però, oltre a scontentare il target di riferimento, cerca una problematicità oramai fuori tempo limite. Un approccio stilistico affine al videoclip incorona eroina del racconto la giovanissima Caro, alle prese con le prime cottarelle, la scoperta del sesso, i dissidi familiari, le amiche inseparabili e la scuola. Tutto illustrato come un fotoromanzo per ragazzine in cui il cuore batte all'impazzata tra sms, pianti di disperazione e gridolini di giubilo, il sesso è privato di qualunque sensualità e si riduce a un anestetizzato must collettivo, in famiglia si litigarella (non la protagonista, però) ma in fondo ci si vuole un gran bene, con le amiche si ride sempre e non ci si scontra mai (anche se proprio in corner arriva la cocente delusione) e la scuola non desta la minima preoccupazione e pare solo un teatrino per scherzi da filmare e mettere in rete. I personaggi sono macchiette, alcune anche simpatiche (il coatto mangia cipolle è irresistibile), che si agitano in una sceneggiatura molto ritmata in cui la parola approfondimento è bandita e dove gli eventi si succedono più per caso che per logica (il minutaggio impone una conclusione e per magia i due protagonisti si incontrano nuovamente - la fidanzata del fratello della protagonista gira un film francese e la location prescelta è proprio di fianco alla chiatta sul fiume in cui lui si è, con molta improbabilità, installato). Personaggi per cui il massimo della vita è ricevere commenti tipo "Wow, Sembri Paris Hilton!" e la finesse si esprime in battute come "Sei il primo in questo locale che mi guarda negli occhi e non il culo!". Al di là della convenzionalità dell'impianto (racconto per voce-da-papera-off che comincia dalla conclusione) e della scorrevole ruffianeria della messa in scena, però, ciò che lascia perplessi sono i modelli che vengono proposti. Davvero ci sono ragazzine che si ritrovano in una protagonista bellissima e filiforme che ha un sorriso per tutti, una lacrima quando necessario, e mai una pulsione un po' malsana o un dubbio che non si risolva in tempi brevissimi con una posa da spot odontoiatrico? Quante hanno amiche che sfoderano la carta di credito della mamma per rifarsi il guardaroba? Quanti sono così allocchi da girare con un pennarello in tasca per lasciare il numero di cellulare su una vetrina? Inoltre, perché se si parla di quattordicenni si sceglie come protagonista un'attrice che di anni ne ha diciannove e quattordici non li dimostra proprio? E poi basta con questi amori ancora una volta possessivi e privi di qualunque generosità che non sia valutabile in termini economici, in cui il sentimento diventa merce di scambio (ti amo quindi alla prima uscita ti regalo un telescopio e pure una stella con il tuo nome), in cui i ruoli sono codificati e senza sfumature (l'uomo deve dimostrare, la donna valuta), la cultura imperante è quella maschilista (la protagonista è elemento passivo per eccellenza e non fa una scelta che sia una, si limita ad accettare o rifiutare ciò che le viene proposto) e se è concesso sbagliare in amore non sono ammessi errori nelle scelte di vita (il solito pseudo maledetto che rifiuta una possibile carriera da medico, si improvvisa scrittore e riesce ovviamente a farsi strada). Si dirà che tutti questi aspetti caratterizzano la stragrande maggioranza delle commedie, soprattutto americane, in circolazione, per cui, però, nessuno si spertica in anatemi o dissensi. È vero, svalutare il prodotto interno pare uno sport nazionale, ma il film di Moccia, oltre a una confezione ammiccante che celebra la vacuità come neo-valore, e all'abuso di stereotipi, trasforma anche il film in un patchwork di spot. Il product placement è un modo sensato e più che lecito per finanziare una pellicola, ma piegarsi con tale sfacciataggine al Dio sponsor evidenzia la natura esclusivamente commerciale del progetto. Questa versione merchandising e annacquata del generazionale Il tempo delle mele, quindi, di cui il film di Moccia ripercorre (o copia?) più di una tappa, proprio non convince. Ma anche il pubblico per cui è stato concepito ha risposto con meno entusiasmo del previsto. Che a tre metri sopra il cielo qualche nube si profili all'orizzonte?