
TRAMA
A qualche mese dalle elezioni municipali, il sindaco di Lione non ha più idee. In suo soccorso, l’entourage comunale recluta una giovane normalista.
RECENSIONI
Paul, sindaco di Lione, di idee non ne ha più. In compenso il suo entourage si sta attivando per consentirgli la scalata all’Eliseo: così diventa necessario affiancargli una persona che possa stimolarlo, che gli faccia ritrovare l’originario spirito di iniziativa. Ma forse il problema è altrove, è nel passivo assecondare lo spirito di un’epoca che rigetta ogni complessità: a forza di tweet e slogan, la politica ha perso di vista la sua missione, gli obiettivi concreti. Un gran pasticcio in cui la destra rispolvera ad arte certi intellettuali di sinistra piegandoli ai suoi scopi populisti, mentre la sinistra, persa in astrazioni e psicodrammi, in cerca di formule accattivanti e intelligenti, finisce con l’incarnare l’idea di una élite sprezzante, che anziché reagire nei fatti, si lascia andare all’ironia, al dileggio, a un sarcasmo acido che sa di masochistico autocompiacimento. Tutto questo il film di Pariser non lo dice, ma lo significa, perché il succo trasuda da un reticolo di fatti, piccoli e grandi, che si affastellano uno dopo l’altro. Perché qui tutto è superficie, balletto meccanico di burocrazia in azione, dialogo spinto privo di didascalia: sotto questa patina sembra non esserci nulla, la realtà si è persa di vista, ci si muove in una dimensione svuotata di senso in cui pubblico e privato si confondono perché in entrambi vale l’impressione, vige il commento, s’innescano digressioni che non riguardano fatti, ma report di quelli che vengono dichiarati come fatti. La rete sociale, come quella digitale, è ingannatoria: tutto è affermare e mai constatare il dato concreto, testarlo e ragionarci su. La parola è un feticcio che crea una speculazione che ristagna, non si stacca dal piano verbale, resta esercizio autoreferenziale e sterile. Per questo non c’è una precisa linea di demarcazione tra ambiente professionale (l’ente pubblico) e personale (ambito privato): il suo ex, Gauthier, Alice lo incrocia in una situazione che attiene al suo lavoro; e un nuovo incontro romantico lo avrà con una persona adocchiata a un focus group su una campagna del sindaco. Il vuoto collettivo sottende un vuoto individuale, ne è lo specchio. E anche in questo caso nulla di quanto sopra è detto o sottolineato da Pariser, ma lo si evince: per Alice il suo incarico diventa la strada per fare conoscenza, innamorarsi o semplicemente fare sesso. La stessa relazione con il sindaco sembra sottolineare un filo sentimentale mai esplicitato che sarebbe alla base anche della forte influenza che la ragazza esercita su di lui (filo appena accennato, tra le righe: «Non sa quanto mi intimidiscano le donne»). Confusione di livelli, appunto: del resto se Alice e il sindaco si capiscono e lavorano bene insieme è perché, in modi diversi, vivono solitudini gemelle (pubbliche, private). E l’allarmante mancanza di idee di Paul fa da contraltare a quella della stessa Alice, che non sa cosa fare del suo futuro, soprattutto adesso che constata a quale lavoro insensato l’hanno condotta i suoi serissimi studi.
Così la rivoluzione per un sindaco che è rimasto senza idee (non è vero, ha solo assecondato lo spirito del tempo che invita a non usarle) è tornare a formulare un pensiero complesso. Niente da fare: la visione che il sindaco prospetta - realistica e possibilmente fattiva, consacrata alla prima idea instillata da Alice, quella della modestia - è divorata dalla nebulosa inconcludenza contemporanea che riporta il politico al suo ruolo di mera pedina. Alice e il sindaco tornano finalmente sui fatti (quel discorso epocale) solo per essere messi fuori gioco. Lo avevamo capito che bisognava essere un po’ pazzi per pensare di poter dissipare questa cortina inossidabile. E infatti l’unica persona che ragiona in termini pratici ed è giustamente disillusa (Delphine, la moglie di Gauthier) ha disturbi mentali («Non so se è la follia che le fa vedere la verità o se è la verità che la rende pazza» è la battuta chiave del film).
Pariser, con la finezza di scrittura che ha accompagnato l’intero racconto (uno dei più sconvolgenti e attuali nei quali ci si può imbattere oggi al cinema), restituisce una normale quotidianità ai suoi personaggi nel finale. Fuori dal vuoto, eccoli di nuovo umani. E con quel dono - Bartleby lo scrivano di Herman Melville, un inno alla disobbedienza - che sottintende che la cosa più onesta da fare, nell’andazzo generale, è sottrarsi alla logica corrente. Ancora una volta non lo si dice, ma si sente che lo pensano all’unisono: preferirei di no.
