Commedia, Drammatico, Recensione

A PROPOSITO DI SCHMIDT

Titolo OriginaleAbout Schmidt
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2002
Durata125'
Tratto dadal romanzo di Louis Begley
Fotografia
Montaggio
Scenografia
Musiche

TRAMA

L’assicuratore Schmidt va in pensione: a casa lo aspetta la moglie, mentre la figlia sta per sposarsi con un tipo poco affidabile.

RECENSIONI

Mr. Smith non va più a Washington

Dopo la data di scadenza, i rimpiazzabili files di Schmidt vengono buttati nella spazzatura. L’uomo medio tira le somme sbagliando i conti: resta la compagna di una vita (irritante culona wertmulleriana da idealizzare dopo la morte), un amico (traditore giustificabile) e una figlia (ingrato patrimonio genetico). La Commedia Umana è un dramma realistico dove beffa e cinismo si rintanano nello iato di una continuità paradossale fra distanziazione (dello spettatore=autocritica del soggetto) e identificazione (dello spettatore=autoindulgenza del soggetto) con il personaggio cinematografico (e l’attore Jack Nicholson simbolo di sfoghi catartici qui disattesi). Soggetto, soggettiva e oggetto del racconto, Schmidt gira a vuoto e rende impotente/avvilente la nostra immedesimazione, contravvenendo a gran parte degli stereotipi/archetipi della commedia edificante americana di stampo capriano. È un fallito che fallirà fino alla fine, senza poter dire a noi e a se stesso che Qualcosa è Cambiato o fare La Promessa. Il pedinamento nel quotidiano di Umberto D scopre ingiustizie esogene e piccole meschinità endogene (avarizia, opportunismo, repressione, egocentrismo) e Una Storia Vera (l’on-the-road) non è a lieto fine: il senso della vita sfugge a chi non è padrone di se stesso e allo spettatore che non è padrone dello sguardo (di Schmidt) e dei suoi giudizi sulla realtà. Payne calibra trasporti consolatori e spietato scetticismo: edulcorare gli estinti e scoprirne gli altarini (il carteggio amoroso della moglie), essere ispirati dalle stelle e ritornare alle stalle, convincersi di avere sbagliato tutto e non riuscire a riprendersi la vita in mano. Nel ridere degli altri perché stupidi e di se stessi in quanto buffi, gli sguardi del regista e del protagonista si confondono e confondono lo spettatore. La frustrazione si sfoga a…distanza (l’adozione in Tanzania), per un attimo, con un pianto intenso, parto ambiguo della commiserazione o dell’amara consapevolezza che la vita ha poco senso per il singolo, segue un corso indifferente alle sue aspettative e rende il gesto per lui più insignificante l’unico importante di tutta la sua esistenza. Cosa c’è da ridere, a proposito di Schmidt che non va più a Washington?

Vuoto a perdere

Qualche anno fa Alexander Payne ha scritto e diretto "Election", liquidato velocemente come "filmetto" e praticamente ignorato dalla distribuzione italiana. In realta' il lungometraggio era si' una commedia, ma dietro un'apparenza di film per teenager (per altro non per forza disprezzabile) fotografava con arguzia la societa' competitiva in cui siamo immersi, evitando strade consolatorie e non scadendo nel facile dramma. L'arma di Payne e' l'ironia: un sorriso beffardo per scavare nelle pulsioni, non sempre edificanti, dell'animo umano. Lo stesso taglio corrosivo, ma pacato, e' alla base di "A proposito di Schmidt", che non parla di vecchiaia, o perlomeno non solo, ma racconta la non facile presa di coscienza di un uomo che, dopo essere andato in pensione, si ritrova solo come un cane. L'approccio e' molto lontano dagli standard hollywoodiani: nessun evento epocale, nessun personaggio ricchissimo dentro ma non capito da un mondo crudele che lo umilia fino alla impossibile ma inevitabile rivincita finale. Il protagonista e' infatti un uomo gretto che ha sempre vissuto in nome di una placida apparenza: una vita concentrata sul lavoro, con poco spazio per gli altri ma anche per una reale gratificazione personale. La sceneggiatura evita le trappole della redenzione del perdente: nessun personaggio e' "buono" o " cattivo". Tutti sono "tremendamente gentili", ma la cortesia affettata pare coprire una dolente solitudine e diventa un disperato tentativo di sentirsi vivi, di distinguersi positivamente dagli altri. La narrazione e' scandita da momenti corali (la festa per la pensione, il funerale della moglie, il matrimonio della figlia) in cui la forma ha il sopravvento: chiunque prende la parola spreca aggettivi come "eccezionale" e "straordinario" riferendoli a situazioni e persone che di eccezionale e straordinario non hanno nulla. Un trionfo della mediocrita' come rifugio a un vuoto emotivo che finisce con il diventare incolmabile. Basta pensare che per il protagonista l'unica reale via di fuga alla deriva in cui vegeta e' il rapporto epistolare con un bambino adottato a distanza: un interlocutore che ascolta in silenzio, una comunicazione ridotta a monologo. Molto ben scritto (dallo stesso Payne insieme a Jim Taylor), diretto con sobrieta', il film e' sorretto dalla vigorosa interpretazione di Jack Nicholson. Ruolo perfetto ma a rischio gigioneria; l'attore, pero', non prevarica il personaggio che, grazie al cielo, non si trasforma in un Joker della terza eta'. Nonostante il carisma dell'interprete, infatti, non si pensa (quasi) mai di guardare Jack Nicholson che fa un vecchio pensionato, ma si entra in sintonia con il personaggio e con il suo stato d'animo. E questa immedesimazione lascia un senso di profonda desolazione, acuito dalla tristezza della provincia americana, con le sue casette perse tra paesaggi sconfinati e egoismi cittadini.
Qualcosa potrebbe cambiare, ma forse è troppo tardi.