Commedia, Horror, Streaming

THE MONKEY

Titolo OriginaleThe Monkey
NazioneU.S.A., U.K., Canada
Anno Produzione2025
Durata98'
Sceneggiatura
Trattodal racconto La scimmia di Stephen King
Fotografia
Scenografia
Costumi

TRAMA

Dopo essersi imbattuti nella scimmietta giocattolo d’epoca del padre in soffitta, i fratelli gemelli Hal e Bill assistono a una serie di morti orribili che si svolgono intorno a loro.

RECENSIONI

Se hai sempre pensato che alla saga di Final Destination mancassero quel tocco di Stephen King (benché nel primo capitolo uno dei personaggi venga inquadrato mentre legge proprio Mucchio d’ossa) e un po’ di vibes à la Jumanji, c’è qui Oz Perkins per metterci una toppa.
The Monkey, infatti, è tutto questo (e forse ma dico forse un poco di più). Ispirato dall’omonimo racconto di King, pubblicato sul giornale Ubris dell’Università del Maine nel 1969, il film attinge le sue migliori atmosfere dal maestro del brivido e le declina secondo la più succulenta venatura horror comedy di James Wan. Tipici dello scrittore, così, sono anzitutto i personaggi e le tematiche che attorno a questi gravitano: i fratelli gemelli e il loro atavico conflitto, la morte come mistero tanto rarefatto quanto ontologicamente incisivo, la riscoperta della vita attraverso il viaggio on the road fra padre e figlio, l’apocalissi dietro l’angolo. Di Wan le reminiscenze non si contano, a partire dal giocattolo (non chiamatelo giocattolo!) assassino che fa un po’ il paio con la bambolona da ventriloquo di Dead Silence (2007), come anche alcune trovate di montaggio di rara ilarità, e in generale la predilezione per il ritmo sincopato e la concessione gore ben oltre la sospensione dell’incredulità. Già, perché The Monkey è un film che va preso e gustato senza fare troppo i precisini, come quando si legge uno dei Piccoli brividi di Robert Lawrence Stine. Non bisogna, in altri termini, soffermarsi a lungo su questo o quel difetto, o sulla palese iperderivatività di tutto l’ambaradan, bensì lasciarsi trasportare nello StephenKingVerse e, semmai, provare a mettere l’opera al paio con le altre che condividono il bislacco Umwelt dell’autore di Portland.

Se ne potrà così assaporare lo sguardo fanciullino, giocoso ma estremamente serio, che riluce nella recitazione volutamente sopra le righe degli attori, tali in virtù della prospettiva infantil-adolescenziale che permea l’opera e che non si stempera nemmeno quando i due fratelli sono cresciuti. Invero quelle che per gli adulti appaiono come delle macchiette – il detestabile Elijah Wood nel suo strepitoso cameo, il ridicolo collega del protagonista, la tanto rampante quanto stolida agente immobiliare – per i bambini sono individui da prendere estremamente sul serio; questa da sempre una delle fisse di King. The Monkey è così un po’ IT, un po’ Stand By Me, ma è chiaro che potrebbe essere anche molto altro nella sterminata filmografia di derivazione kinghiana, disseminata com’è di quelle isotopie che tornano ossessivamente.
E rispetto all’interpretazione di Perkins? L’autore-regista ancora una volta sceglie l’horror come terreno ove esprimere il suo talento camaleontico. Se in Longlegs tutto era quadrato e chirurgico fino all’asfissia, qui invece la regia è più volutamente caciarona e consapevolmente autoironica. Qualcuno direbbe: “commerciale”. Forse anche, sì, ma in un paradossale senso positivo del termine, a intendere una specie di Spielberg degli anni d’oro (con un po’ di scorrettezza politica che non guasta).
Perkins oggi è, di fatto, un autore. Certo non è Apichatpong Weerasethakul, Lav Diaz, o Béla Tarr. Ma comunque è un autore. Longlegs vibrava di una pulsione autoriale, ambiva a fare dell’orrore una chiave di lettura del mistero del Male. The Monkey cambia il taglio, ma continua a porre la lente sulla questione seminale del destino come pietra angolare dell’esistenza che colpisce in maniera casuale e ineluttabile. La scimmietta demoniaca stessa, che quando innescata condanna a morte una persona a caso, per buona metà del film potrebbe apparire come il risultato di una sovrainterpretazione generale dei suggestionabili ragazzini. È vero, quando girano la chiavetta che ha sulla schiena, qualcuno a casaccio muore, ma non varrebbe lo stesso quando vanno in bagno, o quando starnutiscono? Non è una tipica fallacia logica altrimenti nota come post hoc ergo propter hoc? No, a Perkins-King-Wan questo non bastava. L’elemento paranormale, come in Longlegs, si dà a vedere, dà prova di esserci, per poi dissimulare le proprie cause (non sappiamo nulla della genesi della scimmia, così come dei presunti poteri di Longlegs) e agire indisturbato, a mo’ di metafora del Male tautologico che c’è perché c’è (cfr. la nostra propria su Longlegs).
Ecco dunque spiegato quel poco di più che potrebbe rappresentare The Monkey. Oppure – senza soteriologie varie ed eventuali, né masturbazioni intellettuali sul grande Altro lacaniano – è “solo” un divertente film (perfetto per una serata estiva per grandi un po’ nostalgici e giovanotti ormonali) su una scimmia-giocattolo magica, che ammazza gente alla cieca nei modi più fantasiosi. E dici poco.