TRAMA
Un giovane studioso scopre due lettere inedite del poeta vittoriano Randolph Ash, che proverebbero l’esistenza di una relazione con la scrittrice Christabel LaMotte…
RECENSIONI
Anche il più trito polpettone (semi) in costume può trasformarsi in una sussurrata e disturbante elegia delle coincidenze incrociate che esercitano un sotterraneo dominio sulle nostre esistenze. La parola scritta (le poesie, le lettere, gli appunti, i documenti) e l'immagine (le fotografie, i ritratti, i riflessi) sono le tracce che l'uomo abbandona, più o meno inconsapevolmente, al gioco del vento e del tempo, che potranno mutarli, se lo vorranno, nei semi di una nuova consapevolezza estetica ed etica. L'idea stessa di amore romantico (gli amanti come isola felice, protetta dal tempo e dallo spazio) è messa in discussione: il Caso, dal corso imprevedibile ma non illogico, (con)fonde i piani del vissuto, traccia nuove corrispondenze, dissolve i limiti consueti della vita, bilancia felicità e dolore, inganna come gli uomini (e le donne), scherza con un amore che arde anche quando è coperto dalla cenere. La regia, non priva di tocchi magistrali (gli occhiali abbandonati in riva al lago, che alludono alla miopia con cui Ash tratterà Christabel), è convenzionalmente elegante e viceversa, ma la sceneggiatura (dello stesso LaBute, fra gli altri) è un gioiello di arguzia, tenerezza e crudeltà, in grado di unire umori caustici (l'eterna guerra civile fra inglesi e americani, i battibecchi e i tranelli universitari), sfrontatezze melò (la relazione vittoriana, cui fa da ironico contrappunto quella 'moderna') e uno sguardo amaro e al tempo stesso incantato sulle casualità (causalità?) che regolano il corso degli eventi universali. Un mystery discontinuo (le parentesi 'tombarole', inutili, per non dire di peggio) e terribilmente fascinoso. Perfetto il cast, in particolare Eckhart, sarcastico e tenero, e Paltrow, mai così in parte.

Era da tempo che si parlava di una trasposizione cinematografica del caso letterario di Antonia S. Byatt (l'autrice di ANGELI E INSETTI): che sia il regista Neil Labute a proporla è cosa che lascia francamente sorpresi. In POSSESSION si affronta il tema della paura dei sentimenti attraverso il ritratto di due storie d'amore che si svolgono in epoche differenti e si riflettono l'una nell'altra: se da un lato la vicenda ottocentesca tra i letterati Randolph e Christabell è quella di un amore travagliato che non può essere dichiarato al mondo e che lascerà dietro di sé vita e morte, dall'altro la storia dei due ricercatori Roland e Maud è quella di un sentimento che non si riesce a dichiarare all'altra persona come a se stessi. Amore come fiamma che brucia e consuma, scalda e distrugge, chiodo fisso che si conficca nel cuore, l'indagine di esso come azzeramento delle proprie certezze e sistematico radere al suolo di ogni paletto per scoprire, nella passionale possessione che deriva dalla conoscenza delle altrui, seppellite vicende, il proprio disorientamento esistenziale, il timore di affrontare il nascente ardore e in definitiva la vita stessa. Nelle maglie di una ricerca che si fa sempre più avvincente e complicata e in cui il coinvolgimento cammina di pari passo con la scoperta di propri anfratti interiori, casi beffardi e circostanze rocambolesche - scanditi da lettere spedite, strappate, mai aperte, abbandonate, mai ricevute - si alternano segnando le vite dei protagonisti passati per riverberarsi su quelle dei presenti. Il film pur riescendo solo in parte a restituire i motivi di un romanzo ponderoso e pregno assai, semplificando alcuni passaggi e sfrondandolo delle sue numerose sottotrame, riesce tutto sommato a distillarne l'essenza; peccato che, nonostante la corretta sceneggiatura, esso non vibri affatto, che non abbia un'ombra di vita e che non riesca a liberarsi, nei dialoghi, nel generale tono dimostrativo come nello svolgersi tramico - che alterna un ieri e un oggi che solo apparentemente si nutrono di tormenti diversi -, della sua origine letteraria, sentendosi ad ogni scena un frusciar di pagine e il peso sfolgorante di una confezione quasi patinata ignota finora al regista. Rimane la domanda del perché Labute, uno dei più interessanti tra i recenti autori americani - che aveva saputo ben scandagliare, in una società solo apparentemente civilizzata quale quella attuale, la ferina, bestiale brutalità che cova nelle relazioni umane - abbia deciso di celebrare questo vaticinio di personalità per darsi a un'operazione così lontana dalle sue corde e sul limine dello standard english academy (alla scenografia e ai costumi le "veterane" Arrighi e Beavan). Un debutto di gran successo (l'acerbo NELLA SOCIETA' DEGLI UOMINI), una prova seconda che calibrava gli eccessi della prima e mostrava nerbo e crudeltà sottilissima (AMICI E VICINI, la sua opera migliore), un terzo film, stratificato e davvero intelligente (il sottovalutatissimo BETTY LOVE): oggi POSSESSION sa di opera alimentare, lussuoso compromesso che potrebbe aprire a Labute molte altre porte. A volte, però, rimanere all'addiaccio schiarisce le idee e fortifica il carattere.

In tempi grigi come quelli attuali, in cui la comunicazione e' ridotta a stringati SMS, fa piacere scoprire due personaggi appassionati di letteratura, innamorati di versi lontani e attenti al significato delle parole. Lui e' un americano dai modi rudi che tenta la carriera universitaria nell'ambiente competitivo di Londra, lei una professoressa un po' snob dai nobili natali. La scoperta casuale di un antico documento potrebbe cambiare la storia della letteratura e dara' una virata rosa al loro rapporto. Il tutto in un'Inghilterra formato esportazione con il British Museum, gli autobus a due piani, la verde e rilassante campagna, i castelli, le onde che si infrangono sulle scogliere.
Neil LaBute pare scegliere con cura i copioni da dirigere e dopo la dolce Betty, che crede di vivere in una telenovela in "Betty love", adatta il testo di Antonia Byatt, adeguando le esigenze di una grande produzione all'intimo percorso dei due protagonisti, alla ricerca di un baricentro di affetti a cui potersi appoggiare. Passato e presente si intersecano con fluidita' e la regia riesce a conciliare l'amore impossibile dell'epoca vittoriana con le rigidita' psicologiche del mondo attuale, facendo procedere il film come una sorta di thriller dei sentimenti in cui le scoperte e i colpi di scena si succedono con leggerezza. La sceneggiatura mantiene vivo l'interesse per la vicenda nonostante un inizio improbabile, la caratterizzazione stereotipata dei personaggi di contorno e qualche caduta nel finale. Forse avrebbe potuto approfondire maggiormente i risvolti emotivi dei personaggi, soprattutto nella parte ambientata ai giorni nostri, mentre minimizza i non pochi interessanti spunti per concentrarsi sul ritmo del racconto. Il risultato e' piacevolmente romantico, senza eccessive melensaggini, ma un po' superficiale.
Quanto agli interpreti, il passato e' affidato a due attori abituati ai costumi d'epoca ed anche in "Possession" a loro agio tra pizzi e corpetti: il volto enigmatico di Christabel LaMotte e' di Jennifer Ehle (gia' vista in "Wilde"), mentre il poeta Randolph Henry Ash e' Jeremy Northam, che vanta un curriculum "storico" invidiabile (tra gli altri "Carrington", "Emma", "The Golden Bowl"). Nel presente troviamo invece la star Gwyneth Paltrow, perfetta in un personaggio che ricalca l'immagine con cui si propone ai media, e Aaron Eckhart (attore feticcio del regista presente in ogni suo film) nel ruolo dell'americano disadattato e un po' paraculo. Entrambi in parte e convincenti, ma troppo casualmente "cool" per risultare veri. Tanto che in piu' di una sequenza non stonerebbe una boccetta di profumo francese preannunciata dalla ormai becera voce da spot dal basso impossibile.
