TRAMA
Kate e Geoff conducono una vita tranquilla nella campagna inglese e si apprestano a festeggiare i 45 anni di matrimonio. A pochi giorni dall’evento, però, Geoff riceve una notizia inattesa: è stato ritrovato in un ghiacciaio delle Alpi svizzere il corpo intatto di Katya, la sua prima fidanzata finita dispersa durante un’escursione negli anni sessanta. L’uomo cerca di non far trapelare il suo turbamento, ma Kate inizia a scavare nel passato fino a scoprire uno sconcertante segreto.
RECENSIONI
"But that was in another country, and besides, the wench is dead"
(Christopher Marlowe, The Jew of Malta, atto 4, scena 1)
"When a lovely flame dies, smoke gets in your eyes"
(Jerome Kern/Otto Harbach)
Titoli di testa su sfondo nero, ronzio di diapositive che scorrono. Un rumore, spesso associato alla condivisione di memorie familiari, che assume subito qualcosa di minaccioso, come un presagio. Procede così 45 anni, via via scontornando dalla quieta sicurezza del quotidiano gesti abituali, oggetti casalinghi, ricollocati sotto una nuova luce, guardati da un'altra angolazione. E vagamente déplacé è anche l'anniversario che Kate e Geoff si preparano a celebrare, 45 anni anziché i soliti 40 (i festeggiamenti precedenti saltati a causa di un intervento al cuore dell'uomo). Una piccola deviazione dalla convenzione che quasi anticipa di segno il progressivo sgretolarsi delle fondamenta di una vita insieme, decenni di routine di coppia che anziché solidificarsi in monumento alla stabilità e alla pervicacia coniugale, sprofondano in un crepaccio dai cui bordi si ritrovano a fissarsi, per la prima volta estranei l'uno all'altro, i due coniugi (e ogni scambio tra i due, anche nella tenerezza dell'intimità, nelle carezze reiterate, slitta - senza mai esplodere - nel confronto impietoso).
Tutta la comfort zone delle abitudini alla quale Geoff e soprattutto Kate hanno affidato il loro idillio - le passeggiate col cane, i pranzi con gli amici, le letture in soggiorno, i giri in città, i lavori domestici - scricchiola paurosamente. Lo strato di ghiaccio che ha preservato intatto per mezzo secolo il corpo della prima fidanzata dell'uomo, seppellendone al tempo stesso il ricordo, si è spaccato: Geoff, turbato, comincia a interessarsi in modo ossessivo al riscaldamento globale, agli sconquassi meteorologici, ai cambiamenti climatici che sovvertono il tempo cronologico, al passato che slavina nel presente; Kate, dapprima spettatrice ritrosa e infastidita, comincia a sporgere lo sguardo sul vuoto che si sta spalancando nelle certezze di una relazione decennale.
45 anni diventa così un racconto di fantasmi, di immagini nascoste, di immagini mancanti (le foto la cui assenza in casa Kate lamenta, il tassello che manca al puzzle di scatti ricostruito dagli amici la sera della festa), di immagini che riaffiorano dal passato infestando per sempre la placidità del presente. Un gotico contemporaneo sottopelle, con prime mogli, segreti in soffitta, rumori sinistri, elementi che trovano il culmine nella splendida sequenza della proiezione delle diapositive proibite: un lacerante dialogo muto tra passato e presente, uno split-screen spettrale che sfuma nella sovrimpressione rivelatrice, Kate/Katya, la donna che visse due volte, Kate che si accorge con orrore di essere lei stessa fantasma di un'altra.
Andrew Haigh, al suo terzo lungometraggio dopo la docufiction Greek Pete e l'acclamato Weekend (ai quali bisogna aggiungere anche la pregevole serie tv Looking di cui è stato uno degli autori), si conferma sottile analista del discorso amoroso, quello che sostanzia un'esistenza e col quale qualsiasi esistenza deve fare i conti. Soffocando il melodramma borghese nelle brume del paesaggio della contea di Norfolk, la sua attenta e sensibilissima regia apre voragini nella linearità cronachistica del racconto tramite rivelazioni minime, costruendo con crudele understatement uno studio di sotterranea violenza sul Tempo e sulle scelte che, nel Tempo, fanno di noi quello che siamo (siano esse condivise o subite). E affida tutto il non detto (in uno script comunque intessuto di sottili rimandi che non scadono mai nel simbolico greve) al corpo sempre più fragile e smarrito di Tom Courtenay, maratoneta stanco, in progressivo disfacimento, e agli occhi taglienti, magnetico ricettacolo di disillusione e dolore, di una superba Charlotte Rampling. Che nel bellissimo finale, dove tutto si colora di feroce ambiguità (i gioielli indossati, il discorso del marito, il sarcasmo sottile delle canzoni scelte come colonna sonora della festa), si lancia in un ballo amarissimo, spezzato da un gesto impulsivo, una mano ritirata di scatto da una vita che forse non è mai stata la sua, che probabilmente non è più la sua.