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William Stahl: ritratto intervista

Dopo la svolta degli anni 90, la scoperta dell’autorialità del videomaker, l’importanza assunta dal video in sé – al di là della sua funzione promozionale – la videomusica si è espressa sì in modi sempre più esaltanti e creativi, ma rimanendo stabilmente sulla strada tracciata in quel decennio chiave. Gli ultimi lavori di William Stahl (e del team di cui è parte, Good Boy! Creative) mi sembrano, in tal senso, assumere un ruolo importante, perché, partendo da quei confini, tendono a forzarli, portando alle estreme conseguenze le rivendicazioni di autonomia artistica di questi lustri e proponendo con forza quell’atto finale che nessuno, pare, ha mai osato: la rivoluzionaria e definitiva subordinazione della traccia musicale alle istanze video. Lo ha fatto costruendo clip con narrazioni forti, al punto da non rendere possibile distogliere l’attenzione spettatoriale dalle storie, attenzione che mal si concilia con l’ascolto del brano musicale. Stahl bada al (suo) sodo e punta sulla reiterazione della visione perché il suo lavoro possa assumere anche un senso commerciale per l’artista musicale che decide di avvalersene.
Avevo citato Mother di Bon Homme tra i migliori video dell’annata 2009/2010 e, dopo una veloce disamina di altri tre lavori recenti del regista e averlo definito come una delle personalità più interessanti e anomale del settore, mi sono molto appassionato alla sua opera e alla svolta radicale che le ha impresso. Attendevo, dunque, la conclusione del suo ciclo per i WhoMadeWho per analizzarla approfonditamente in un numero dedicato. Mentre cominciavo a scrivere lo speciale mi sono scontrato con la necessità di capire come facesse il regista a convincere la committenza ad affidargli dei lavori in apparenza così poco promozionali per il musicista: mi sembrava fondamentale per una loro corretta trattazione. Ho pensato di chiederglielo direttamente: ne sono nate una fitta corrispondenza e questa conversazione.
L’impressione che le sue opere danno – quella di un autore non compromissorio e pronto a sfidare le regole non scritte dell’industria musicale – ne esce più che rafforzata, direi confermata in pieno.


Parliamo del ruolo della narrazione nei tuoi ultimi video, talmente preponderante da mettere in ombra tutto il resto.

Ad essere onesti sono sempre stato infastidito dallo spazio vuoto. Voglio sempre che ci sia un contenuto da qualche parte in tutto quello che vedo, leggo, ascolto e in qualunque cosa impieghi il mio tempo. Naturalmente il messaggio può essere di portata differente, più o meno importante, ma sento che deve esserci. Il creatore deve avere qualcosa da dire, altrimenti la cosa mi risulta banale. E nella videomusica, nello specifico, c’è moltissimo spazio vuoto, e ho sentito il bisogno, assieme al mio sceneggiatore Michael, di riempirlo con qualcosa di importante. Perché dovremmo mostrare ragazze in latex che danzano in sincrono, quando potremmo proporre qualcosa sulla quale si possa davvero riflettere mentre si ascolta la musica? Se voglio vedere ragazze in latex, guarderò qualche porno: odio l’ossessione per il sesso che i video musicali dimostrano. Fin dall’inizio, in tutti i nostri video, abbiamo sempre ambito ad avere una qualche sorta di narrazione. Il videoclip è un medium molto interessante col quale lavorare perché non c’è nessuna regola: tu prendi una canzone e puoi associarci qualsiasi immagine; disegni, fotografie, creta, qualunque cosa può andare. Crediamo che questa zona grigia tra il cortometraggio e il video musicale sia davvero interessante da esplorare e, facendolo, stiamo scoprendo nuove cose. Il nostro ultimo video è un corto di undici minuti che racconta una storia da due diverse prospettive, con sottotitoli e mimica. È veramente bello sperimentare con il nostro piccolo mondo di narrazioni scritte


Immagino che sia difficile, in un contesto mirato come quello del videoclip, imporre questa linea.

Parlando dal punto di vista del puro business, siamo probabilmente troppo testardi per fare davvero delle cose in grande, perché noi le vogliamo fare a modo nostro. E non cediamo a richieste stupide. Siamo stati richiesti da artisti internazionali veramente importanti e loro generalmente amano le nostre idee, ma poi non hanno mai le palle per andare avanti. I video che finiscono per fare sono talmente lontani dalle nostre proposte che arrivi a chiederti come abbiano potuto interpellarci in primo luogo. Gli unici che hanno davvero creduto in noi, come i WhoMadeWho, sono stati grandi nel darci una totale libertà creativa. Quei video sono stati i nostri maggiori successi, i più amati. Una fiducia che è stata fruttuosa per tutti.

Anche l’uso dei sottotitoli, che è una peculiarità di alcuni tuoi lavori, se sottolinea il peso della storia suona anche come elemento estremo, rispetto alla funzione commerciale del videoclip.

Quella dei sottotitoli è una vecchia idea che continuava a ronzarci nel cervello da quando avevamo visto Just dei Radiohead [diretto da Jamie Thraves, NdR]: ci sono stati alcuni video dei primi anni 90 che ci hanno piuttosto influenzati. Personalmente ho rinunciato a una carriera di creatore di comic book dopo aver visto il video dei Beasty Boys Sabotage diretto da Jonze. Quel video cambiò tutto. Forse non aveva un grande messaggio, ma ne sono stato coinvolto, mi ha portato sulla strada del filmmaking e non sono più tornato indietro. Ma, tornando ai sottotitoli, è piuttosto curioso che il primo video che Michael ed io abbiamo fatto avesse i sottotitoli. Siamo entrambi dei ragazzi snob dell’upper class e leggere è una grossa parte delle nostre vite. E allora, perché non leggere un video musicale?


Allora, e qui sta il punto, quanto peso ha la committenza in un video? Di più: quanto un regista di video è veramente libero di fare le sue scelte?

La star ha un grosso ruolo per ciò che riguarda l’adattare la sua musica alla nostra arte… ahahaha. Non per essere stronzi, ma vediamo la nostra produzione in modo equivalente alla musica. Ci consideriamo una band che lavora con le immagini al posto della musica, e se è vero che le canzoni hanno una grande parte nel lavoro, allo stesso modo non tutta la musica si sposa bene con le nostre idee. Credo che un regista di video musicali sia sempre libero di fare le sue scelte, ma dato che alcuni registi non sono artisti tanto forti, diventano molto commerciali, piegandosi al volere delle etichette. Noi non lo facciamo. Giriamo video che hanno sempre l’idea o il tema che abbiamo scelto noi, non usiamo idee di altri. E ne abbiamo un sacco. Ma, certo, lavoriamo con delle band, non siamo dei coglioni: non è certo divertente fare un video se alla band non piace l’idea dall’inizio.

Parli al plurale perché i tuoi lavori sono scritti da Michael Vogt e fotografati da Thomas A; insieme avete creato un artist team, la Good Boy! Creative: com’è nato questo sodalizio?

Sì, lavoriamo insieme come una piccola squadra, usiamo persino gli stessi montatori quasi tutte le volte; Roderick Jaynes o Frank Grimes. Michael e io ci siamo incontrati durante le vacanze estive prima del liceo e da ragazzini avevamo fatto entrambi un sacco di filmetti; così durante quegli anni abbiamo semplicemente continuato a fare insieme altri film stupidi. Poi ci siamo separati per un po’ dopo il liceo, visto che Michael cominciò a suonare un sacco e io lavoravo nella pubblicità, ma continuavamo a incrociarci e a fare qualche film qua e là. Dopo qualche anno, mentre ero alla scuola di comunicazione, ho incontrato Thomas: lui pensava che io fossi un coglioncello. Nonostante ciò accettò di girare un video musicale su cui avevo messo le mani per un grande gruppo danese sulla via del declino. Li avevamo incontrati sulla scala mobile della carriera andando in direzioni diverse… Scusa, questa era cattiva… Comunque abbiamo fondato una compagnia di video musicali e Michael si è presto unito e, a parte qualche persona che è andata e venuta, è da allora formata da noi tre.

Come si svolge la vostra collaborazione?

Michael ed io concepiamo insieme le idee, lui scrive e io parto con la preproduzione con Thomas. Poi dirigo la lavorazione, affidiamo il montaggio a Roderick e il lavoro è fatto. Lavoriamo con una troupe molto piccola fatta di persone con le quali collaboriamo d’abitudine. Cerchiamo di non ricorrere al CGI nei nostri video, a nostro avviso è deleterio quanto le donne nude che ballano in sincrono: serve solo a distrarti dall’idea fondamentale perché ti intrappola nella gabbia degli effetti cool. Noi tendiamo, nell’approccio al film, a essere quanto più possibile classici e lasciamo alle idee il compito di essere innovative.


Questo approccio visivo classico mi ha colpito moltissimo: scegli sempre un’immagine molto pulita, quasi iperrealistica, la camera si muove pochissimo, i quadri sono spesso simmetrici. Come hai detto il nitore delle tue immagini, in opposizione alla miriade di effetti ed effettacci che dominano in questo campo, è una precisa scelta. Quali sono le tue ispirazioni, se ne hai qualcuna?

Credo ci siano diverse ragioni alla base di questo approccio; una potrebbe essere che Thomas ha un background da fotografo e io da art director, così siamo ovviamente interessati a un discorso minimalista.  Mi piace mettere a punto gli elementi in un’inquadratura di composizione pulita e lasciare che il cervello degli spettatori colleghi i punti. Non dire tutto con il primo piano o folli movimenti di macchina. Lasciare che l’immagine si regga da sola. Un’altra ispirazione è senz’altro Roy Andersson: noi tutti siamo suoi grandi ammiratori e molti influenzati dal suo stile, sia visivamente che per il suo umorismo. Ci piace rimanere brillanti e semplici. E leggermente deprimenti.

Parliamo di Mother (Bon Homme), che è un geniale meta-video in cui il dietro le quinte della produzione della clip diventa la storia medesima, con il paradosso che il committente rifiuta la stessa idea che stiamo guardando. È anche una sorta di parodia della situazione produttiva cui accennavi prima?

Michael e io parlammo di questo progetto per almeno un paio di anni, prima di realizzarlo davvero. Ad un certo punto la rapper femminista Peaches s’interessò all’idea, anche se non la convinceva fino in fondo. Fortunatamente alla fine abbiamo trovato un’altra via per la sua realizzazione.
Credo che la base di questo video sia un misto tra il fascino che e io e Michael proviamo per la burocrazia con l’umorismo e la stravaganza dei Simpson e dei film dei fratelli Coen. No, non è basato su esperienze reali, quelle sono molto peggiori delle situazioni del video.


Quel video ironizza sul mondo dei video musicali e sui suoi cliché, cita Martin De Thurah, Michel Gondry e Born free di Gavras. È un tipo di ironia che può essere capita solo da persone che conoscono i riferimenti. E siamo ancora – la cosa, lo sai, mi esalta – in una zona pericolosa, perché c’è il rischio concreto che il vostro lavoro non venga capito.

Francamente non ci importa che la gente capisca. Noi facciamo i video per noi stessi. Fortunatamente alcune persone li capiscono.

A proposito, quali sono i registi di videoclip che ammiri?

A essere onesti i registi di video non sono tra i miei artisti preferiti. Ho dei video preferiti, ma non amo dei registi per tutta la loro opera. Ma, come dicevo, potrei indicare in Spike Jonze la ragione per la quale ho iniziato a fare questo lavoro. I miei registi preferiti, in generale, sono Kubrick (naturalmente), Terrence Malick, Roy Andersson, Wes Anderson. Il mio video preferito è Lost Cause di Hammer & Tongs, Geniale.
Tra le mie produzioni prediligo No Room for Mistakes dei Murder. Credo che sia il migliore che abbiamo girato. Abbiamo fatto qualcosa come quaranta video in questi anni e alla fine abbiamo raggiunto il nostro obiettivo. Sento che è quasi giunto il tempo di dire addio ai videoclip e cominciare a concentrarsi su altri progetti.

Keep me in my plane ed Every Minute Alone sono i primi due video della trilogia The Pitfalls of Modern Man, un’acuta riflessione sulle effimere certezze borghesi, sull’incapacità di accettare o gestire qualsiasi fallimento da parte dell’uomo occidentale moderno intontito dal benessere, che si sintetizza con quella frase che apre il secondo video (L’uomo ha una grande esperienza nel sopravvivere alle avversità, ma una piccola esperienza nel sopravvivere alla prosperità). Sono video straordinari per come colgono perfettamente aspetti reali della nostra vita e per come sanno mantenersi tra dramma e ironia.

Questo tema è qualcosa sul quale Michael ed io lavoriamo da un po’ di tempo. Stiamo finendo un cortometraggio che analizza ulteriormente il viziato uomo occidentale moderno e ho appena iniziato a scrivere il nostro primo film per finire il nostro progetto alla grande. La relazione tra dramma e ironia è la spina dorsale di tutti i nostri video. Noi siamo divertenti, ma non sguaiati. Crediamo nell’essere sottili e intelligenti e abbiamo fiducia nel fatto che lo spettatore comprenda la storia. Come dicevi, un sacco di gente non coglie tutti i dettagli e i piccoli riferimenti che sono nascosti nei nostri video, ma fortunatamente alcuni, come te, li coglie.
L’uomo moderno ha bisogno di un sonoro schiaffo in faccia e di tirar fuori le palle. Quasi tutte le situazioni rappresentate sono basate su nostre esperienze: io ho veramente fracassato un cellulare che non funzionava contro il parabrezza della mia auto. Picchiami, picchiami forte.

Il terzo capitolo della trilogia, Running Man / The Sun è come dicevi all’inizio, strutturalmente molto ambizioso, dividendosi in due parti in cui la stessa storia viene vista da due punti di vista diversi e viene compresa solo dopo averli constatati entrambi.

Per noi era un’ottima opportunità di raccontare una storia più complessa del solito in quanto potevamo usare due video. Questo ci ha dato anche la possibilità di giocare con i toni molto differenti delle due canzoni e di raccontare le due facce dello stesso problema. E’ stato un grande progetto ed è stato sorprendente scoprire che realizzare due video allo stesso tempo non comporta una fatica doppia, ma ti porta a lavorare cinque volte tanto. Sì, bisogna vedere entrambi i video per comprenderne pienamente il senso ed è un aspetto che abbiamo voluto dal’inizio, altrimenti tutto il lavoro non avrebbe avuto alcun senso per noi. Se tu compredessi tutto guardando il primo, a che pro guardare l’altro? Sono davvero soddisfatto del risultato ed è stato il fattore che ci ha spronato a puntare sui lungometraggi per il futuro.

Toglimi una curiosità: da dove viene la straordinaria vitalità del panorama dei videomaker scandinavi?

Fa molto freddo ed è molto buio qui: è tutto quello che puoi fare per evitare di andare in giro a massacrare gente con un’ascia.

Per finire: mi accenni ai tuoi commercial nei quali il tuo lato ironico e parodico viene fuori in modo prepotente? Quel Lascia che io pianga nella scena della doccia nell’ad Fitness DK è un riferimento ad Antichrist di Von Trier?

Sì, lo spot era scherzosamente intitolato Antifish. Cerco di fare commercial nei quali vedo “qualcosa” di valido su cui lavorare. Deve essere divertente e devo essere in grado di poterlo portare su un altro livello.
A proposito, ho appena completato il commercial di questo Champagne basato su Every minute alone per una agenzia neozelandese. Hanno scoperto il video dall’altra parte del globo e gli è piaciuto molto. Sai, mi piace il fatto che quel video risulti universalmente divertente.

Il regista danese William Stahl comincia il suo percorso come disegnatore di comic book. Dopo aver visto Sabotage, il video diretto da Spike Jonze, decide di cambiare strada e diventa autore di video musicali e commerciali.
Con la Good Boy! Creative, team artistico costituito con lo sceneggiatore Michael Vogt e il direttore della fotografia Thomas A, impone una nuova linea alle sue produzioni e realizza una serie di video che ottengono grande riscontro da parte della critica. In particolare Every minute alone viene incensato da Pitchfork, ottiene una candidatura come miglior indie video agli UKMV Awards, partecipa a vari festival di settore, vince il primo premio come miglior video allo Hollyshorts Festival  e proclamato miglior video scandinavo dell’anno al Bergen Film Festival.
Il commercial Autolog èstato candidato al Golden Lion cannense.
Attualmente vive con la ragazza e i tre figli in una piccola casa di legno a Copenaghen, Danimarca.