Il 2021 – segnato com’è stato, da un video che ha sbancato (Montero di Lil Nas X), che ha beccato tutti i premi di stagione (si attende solo il Grammy, rinviato ad aprile) – non può essere stato un cattivo anno. Se di un clip si parla tanto, se alimenta discussione e segna l’immaginario, in un’epoca che non trattiene più nulla, in cui i promo si consumano in tempi ridottissimi, per la videomusica è un’ottima notizia, perché la affranca dalle bolle e la riporta a un livello di attenzione globale. Per il video nell’era di YouTube è un risultato straordinario, tanto più che si parla di un lavoro di qualità. Avendogli da subito dedicato uno speciale e, dato l’esito scontato della stagione, ho chiesto ad Alessandro Ronchi di arricchire il discorso con una riflessione su Lil Nas X quale personaggio chiave di questa annata. A ogni livello.
Da parte mia ho pensato di riflettere sul corrispondente fenomeno italiano, i Måneskin, intervistando Simone Bozzelli, regista del loro video I Wanna Be Your Slave.
Buona lettura, buone visioni.
PERFORMANCE
È stato l’anno del riscatto del video performance: semplici (less is more), eleganti, pieni di idee. E in cui sono soprattutto le donne a dominare il campo. Un elenco veloce di seguito.
You Win (Dana Williams) diretto da Sebastien Nuta o Oblivion di Olivia Nelson diretto da Jon E Price come esempi solari di quanto detto sopra. Set nudissimo anche per la performante Olivia Dean nel pianosequenza di Slowly, diretto da Rhory Danniells e dalla stessa Dean.
Ancora: Pale Waves per Easy, un allestimento di gusto gotico, assai raffinato, con luministica davvero pregevole (dirige James Slater) e il fantasioso vortice che inanella le differenti pose della convulsa coreografia di Rachel Chinouriri in Darker Place, diretto da Milo Blake.
Frenetico, colorato, con narrazione sottintesa, coreografia di rinforzo e set splendenti: Galipette di Lolo Zouaï è diretto con piglio degno di nota da Amber Grace Johnson (anche per l’ultimo FKA twigs feat. The Weeknd).
Molto fantasioso anche il mutare vorticoso di set, mise e situazioni, giocando col tema del doppio, di Mirror di Sigrid diretto da Femke Huurder (producido por CANADA).
Like I Used To, diretto da Kimberly Stuckwisch, punta sullo sdoppiamento e rispecchiamento, ma qui c’è un dialogo a distanza, fatto anche di split screen puntuali, tra le due interpreti Sharon Van Etten e Angel Olsen.
Describe My Life di Jimothy Lacoste, diretto da Stanley Brock, se si allinea alle performance girate on the street, tipiche di questi anni, se ne distingue per la peculiarità delle location scelte (siamo a Londra), per la cura della fotografia e delle composizioni, per la freschezza del risultato finale.
E grande fluidità nel passaggio da un’ambientazione e da una micronarrazione all’altra, anche nella performance condita di danza di Mystery Lady (Sego’s Remix) di Masego, diretto da Douglas Bernardt che riesce ad armonizzare tutti gli elementi in gioco con il mood del brano.
Citerei ancora Something Sacred di Leah Weller diretto da Caroline Hajny, il bellissimo lavoro sul design di Luis Rojas Luino per corazones negros (Elsa y Elmar) diretto da Daniel Uribe, Feet Don’t Fail Me Now di Joy Crookes in cui Taz Tron Delix gioca, con ironia e ottimo senso dello spettacolo, sull’ibridazione multiculturale.
In altra direzione, impossibile non segnalare l’esuberanza di Camilla Cabello, la cui esibizione è centro di una vivace invenzione scenografica e coreografica (Don’t Go Yet, diretto da Philippa Price e Pilar Zeta).
Ancora: Hey Child (Margo Price) diretto da Kimberly Stuckwisch e altre cose che segnalo di seguito nello specifico.
Introvert (Little Simz)
diretto da Salomon Ligthelm
C’è tanto videoclip che ha fatto tendenza nell’ultimo lustro in questo Introvert: il nuovo naturalismo di registi come Vincent Haycock e AG Rojas; la coreografia (Kloe Dean) che, evitando set e scenografie ricostruite, trova la sua cornice in ambientazioni riconoscibili (qui il Natural Hystory Museum di Londra); una danza che, prediligendo outfit minimale e movenze più espressive che tecniche, rimanda a certe dinamiche installative di Vanessa Beecroft e alle sue collaborazioni con Kanye West. E rima con il videodiscorso di Solange, l’idea di un clip che, glorificando la black culture, esce fuori dalle logiche del promo pop per abbracciare in pieno quelle dell’arte contemporanea. Lo stesso dialogo tra la narrazione e la storia dell’arte (i particolari dei dipinti della Wallace Collection) sono una costante che si ritrova moltissimo nell’attuale videomaking. A fare la differenza la mano ispiratissima del regista Salomon Ligthelm. Produce Prettybird.
Lose Your Head (London Grammar)
diretto da Zhang + Knight
Idea scenografica semplicissima ma di straordinario effetto e tutta giocata sul dato cromatico e le sue nuance pastello. Ma l’eleganza visiva è da sempre la cifra di Z+K che in questo mare di stoffa (E la nave va?), ci fanno immergere lo sguardo.
Un voto alto a caso.
Be Kind (Zak Abel)
diretto da B2
Nella florida stagione del performativo, anche questo video apparentemente semplicissimo e di budget sicuramente contenuto, ma pieno di colore e vivacità, con un bel senso del movimento e in cui l’esibizione, la coreografia e l’unità di luogo sono al servizio della canzone e ne esaltano le caratteristiche ritmiche. Un video solare che sprizza gioia a ogni siparietto.
Stay (The Kid Laroi, Justin Bieber)
diretto da Colin Tilley
Un momento congelato in cui si consuma la corsa amorosa del protagonista TKL e la performance metropolitana con un Bieber energetico da par suo. Il resto lo fa il ritmo indiavolato di un Colin Tilley sempre sul pezzo.
Are You On? (Kam-Bu)
diretto da Will & Ed Reid
Hip-hop performance da manuale, ma protocollo sovvertito da angolazioni della camera insolite (la ripresa dal basso), editing convulso, bianco e nero soffocante associato a illuminazione schizzata e ambientazione immersa in contesto di archeologia industriale. Una rivisitazione dei video di Sigismondi e Bayer anni 90, ma con lo spirito minimalista dell’oggi e con un genere musicale che non ci si è mai apparentato.
Solar Power + Mood Ring + Fallen Fruit (Lorde)
diretti da Joel Kefali, Ella Yelich-O’Connor
Lorde torna a Joel Kefali (già parte del collettivo Special Problems), autore del video del suo primo hit Royals (1 – 2) affiancandolo alla regia (l’artista si firma col suo nome): in Solar Power un lungo pianosequenza (poi interrotto) mostra l’artista danzare su una spiaggia, circondata da persone che sembrano assorte nei preparativi di un rito. Ma, come in Midsommar di Ari Aster, questa festosità en plein air nasconde qualcosa di inquietante: l’unica davvero felice è Lorde, mentre le figure che la circondano sembrano in preda a uno stato ipnotico o di estasi mistica. Non è escluso che l’artista giochi volutamente su una prima impressione di serenità e di leggerezza estiva, senza esplicitare un sottotesto più oscuro che solo la successiva familiarità col video metterà in maggior risalto. In Fallen Fruit Lorde torna sull’enigma iniziale alternando riprese diurne e notturne sulla medesima spiaggia.
Oscuro e vagamente inquietante è anche Mood Ring, dove la ritualità si esplica in un interno e l’artista, divenuta bionda, è coadiuvata da amiche-vestali.
È strano, perché anche nel video Lost Cause, in cui Billie Eilish marca la distanza col passato (bionda e solar anch’ella), l’artista, strizzando l’occhio al clip di 7/11 di Beyoncé, con un minimo di allegria in più testimonia di un’altra festa-gineceo. A tal proposito, l’ho già scritto, ma lo ribadisco qui: trovo interessanti i video autodiretti da Eilish solo in quanto testimonianza in presa diretta di una autonarrazione in fieri. Dal punto di vista prettamente videomusicale mi sembrano un discreto passo indietro rispetto alle prime, notevolissime cose sfornate dall’americana.
Easy On Me (Adele)
diretto da Xavier Dolan
In Hello , il video diretto da Dolan per Adele che apriva la stagione del precedente disco, l’artista entrava in una casa polverosa, teatro decaduto di una love story finita male; riportando alla luce le tracce di quell’amore, ne riviveva il ricordo fino al punto di fingere una conversazione telefonica con l’ex. In quest’ultimo la protagonista da quella stessa casa ne esce, valigia alla mano, pronta a voltare pagina. Che ci si trovi nella stessa location del precedente (siamo a Sutton, nel Quebec) lo suggerisce anche la storia: come in Hello la conversazione telefonica del preambolo è interrotta per mancanza di campo. Ancora una volta l’epoca è indefinibile: Adele comunica con uno smartphone, ma, salita in macchina, accende un’autoradio e infila una cassetta nel mangianastri. L’attacco della canzone chiude il prologo: l’artista, al volante, la interpreta, mentre i personaggi che incontra sulla strada formano un ciclo di miniature, narrazioni istantanee che punteggiano il suo percorso. L’improvviso irrompere del colore, dissipando il bianco e nero iniziale, archivia infine il passato da cui ci si allontana, sancendo lo sguardo sul presente e la riapertura alla vita.
Black Hole (Griff)
diretto da SOB
Il video, partendo da un laboratorio nel quale la nostra confeziona un abito di scena, si trasforma in una surreale (ma anche letterale) cavalcata in una dimensione alternativa: uno scanner diventa strumento di passaggio dal mondo reale (con tanto di taglio documentaristico) a un mondo onirico fatto di visioni e riflessi simbolici che dicono del proprio continuo inventarsi come donna e artista. Il tutto portando coerentemente avanti la performance. Molto bene.
Die To Be A Butterfly (Ora The Molecule)
diretto da Jody Elizabeth + Beth Cutting
Una performance alternata a quadretti surreali, girati in VHS, in cui a particolari enfatizzati (un’anguria accoltellata, una pesca schiacciata nel pugno, gocce di latte sulla pelle, dettagli anatomici) fanno da contrappunto ritratti del trio di artisti in composizioni plastiche, ora miranti alla pura suggestione visiva (i giochi prospettici, i cambi di luce, i drappeggi colorati al vento), ora con vaghi rimandi al genere fantascientifico (le tute argentate, le pose messianiche). Una sarabanda di stili e formati, ambientata nelle montagne andaluse, che si ispira (dichiaratamente: le note di produzione) al processo di metamorfosi delle farfalle e a certe esplorazioni visive di Agnès Varda. E che ricorda – anche per gli accostamenti sconnessi e la costruzione puramente ritmica del montaggio – i lavori selvaggi e citazionistici dei primissimi CANADA, il collettivo catalano di cui continua ad avvertirsi l’influente onda lunga.
I’d rather die than be deported (Berwin)
diretto da Loose
In pianosequenza una performance toccante (testo + vissuto) da una decapottabile in corsa sul Darfort Crossing che sovrasta il Tamigi. Al confine col concettuale, ideale prosecuzione del precedente 100,000,000, sempre a firma Loose (Lucy Hickling).
NARRATIVO
De Una Vez (Selena Gomez)
diretto da Los Pérez
Cuore Sacratissimo di Selena, prega per noi: lo struggimento amoroso Gomez lo trascina di stanza in stanza, in questa casa che si rivelerà deserta (l’amore è appassito da quel dì): è tutto passato che si rianima, col ricordo che magicamente riprende vita. Ritorno alle radici (brano in spagnolo, Centroamerica marqueziano) e lockdown sentimentale. Vabbè, la amo.
Si guardi anche lo sfrenato scenografismo di Selfish, in coppia con DJ Snake (regia di Rodrigo Saavedra).
Per Baila conmigo, diretto da Fernando Nogari, Selena è invece una presenza divistica che punteggia la narrazione dal televisore. E la sua performance è quindi un video a parte. Che fa incazzare (giustamente) Sean Pecknold che ravvisa innegabili somiglianze col suo clip per i Fleet Foxes (in top 20 l’anno passato).
Delicate Limbs (Virgil Abloh feat. Serpentwithfeet)
diretto da Kordae Jatafa Henry
La vita semplice di due uomini che si amano e la loro esperienza visionaria che, probabilmente, è il frutto del racconto che leggono all’ombra di un albero. Atmosfera bucolica, apologo spiritual (in omaggio alla splendida traccia di Abloh – r.i.p. –), black culture e queerness rivendicate.
Produzione alta, girata in pellicola, con splendida effettistica in 3D.
Dreams (David Guetta & MORTEN feat. Lanie Gardner)
diretto da Courtney Phillips
Una specie di corsa à la Forrest Gump (il protagonista è Doggface, celebrità di TikTok), ma tutta in skate, nel deserto, tra incroci di circostanze e follower improvvisati, con l’America che segue in Tv. Una storia che guarda a mille altre (anche in clip), finisce in surrealtà e si permette, all’inizio, persino il cambio emozionale di aspect ratio (Dolan docet).
We’re Good (Dua Lipa)
diretto da Vania Heymann & Gal Muggia
H&M che hanno sbancato nel concettuale, stavolta puntano al narrativo con twist. L’esibizione canora di Dua Lipa, cantante in una nave in crociera, ha una spettatrice particolare, un’aragosta che dall’acquario in cui si trova, aspetta la destinazione finale di una pentola con acqua bollente. Tutto sembra muoversi su questa suspense, ma la svolta è davvero inaspettata e riguarda l’intero contesto. Realizzazione splendente (la sontuosa scenografia) tutta giocata sui peculiari punti macchina, che oscillano tra soggettive e oggettive cangianti, e sulla performance glamour dell’artista, qui (a mio avviso) alle prese con la sua migliore traccia di sempre.
Da Dua Lipa anche Love Again, il nuovo, suggestivo incontro con CANADA (Lope Serrano, qui il director’s cut).
If You Say the Word (Radiohead)
diretto da Kasper Häggström
Un racconto intrigante, ottima la regia, splendido il montaggio. Una specie di Punishment Park al contrario, con la sempre più frequente distopia à la Lanthimos prima maniera a garantire attualità. Un bel video. Ma con narrazioni così quadrate e inquietudini così calcolate è difficile che scatti la voglia di ricliccare.
Je Ne Sais Pas (Lous And The Yakuza feat. Sfera Ebbasta, Shablo)
diretto da Wendy Morgan
Continua il sodalizio tra Lous e Wendy Morgan: una festa (di ambiguità), un gioco di sguardi tra l’artista e il feat. Sfera. Narrazione tutta presupposta, nessuna spiegazione, conti in sospeso che si saldano nel finale. Classe.
Kiss Me More (Doja Cat feat. SZA)
diretto da Warren Fu
Un astronauta, caduto su Planet Her (titolo dell’album, tanto per esser chiari), ne percorre un fiume, su una barca, mentre figure femminili gigantesche, come le sirene per Ulisse, tentano di deviarne il percorso. Ma la narrazione si scopre stratificata: così se prima si suggerisce che siamo in una fantasia sessuale di quello che riteniamo il protagonista, il finale smaschera l’uomo come pura pedina, svelando il primo livello del pianeta Her come ambiente di un videogioco (una fissa del regista) nel quale Doja Cat e SZA si stanno cimentando.
Tripudio scenografico e ambientazione pop-fantascientifica ribaditi anche in Need To Know diretto da Miles & AJ.
L’amant Malalta (Manel)
diretto da Victor Carrey
Incrocio di differenti itinerari notturni: dal ventaglio di prospettive, una serie di micronarrazioni accennate, come vedute fuggevoli. Tutto converge verso un finale enigmatico (la soluzione è forse la pandemia?).
Narrazione che si avvinghia a un concetto espositivo fortissimo. Ottima la resa figurativa.
Tunnel (Polo & Pan feat. Channel Tres)
diretto da Zite et Léo
Un duo registico (l’ennesima, interessante griffe transalpina) per un duo di musicisti, gli adorati Polo & Pan, sempre attentissimi al loro catalogo videomusicale. Qui una narrazione di genere che guarda alla fantascienza di serie B – ma con attenzione maniacale all’art direction – che si discioglie in atmosfere che strizzano l’occhio ai grandi visionari. Un vortice dreamy che mescola, à la Mandico, dimensioni spaziali e temporali.
CONCETTUALE
What’s the point? (beaux)
diretto da Callum Lloyd-James
Dopo la prima comprensibile ondata di quarantine video in cui registi e artisti giocavano con le possibilità di messa in scena che residuavano a seguito dell’isolamento imposto dalla pandemia (prima fra tutte quella del promo fatto in casa), oggi che le modalità di manovra sono più chiare ci si comincia a interrogare sullo spazio della performance a un livello più profondo, non meramente logistico. Ecco un clip girato in uno studio in cui l’artista si muove come in una prigione, in cui l’idea di esterno è restituita soltanto dalla pluralità di schermi accesi alle sue spalle. Da quello spazio geometricamente circoscritto, un rettangolo sezionato che è già una metaforica grata, si rimandano immagini della natura (cielo e nuvole, mare e onde, fiori in boccio) e paesaggi metropolitani in time lapse, come fossero miraggi lontani, mete irraggiungibili, ricordi evocati e riesumati all’occorrenza. La vivacità del motivo musicale e la grintosa esibizione operano, dunque, quasi per contrasto, traducendo un mood mestamente nostalgico. Il conflitto sempre più serrato tra dentro e fuori, che il montaggio sottolinea e che si esaspera quando le immagini proiettate strabordano nel fondale, è sottolineato dall’ironia amara del testo della canzone e dal titolo dell’album. Che non ammette equivoci : a love letter to the moments spent outside.
Del regista anche questa performance casalinga dei Pale Waves.
Altri video che, più o meno esplicitamente, più o meno consapevolmente, fanno i conti con la congiuntura pandemica e con la generale rimeditazione dello spazio della performance: adhd (slowthai) diretto da The Rest e Spaceman (Nick Jonas) diretto da Anthony Mandler in cui un astronauta solitario – sulla falsariga di The Martian di Ridley Scott – tenta, senza successo, di abbandonare il pianeta su cui si trova. La solitudine di cui si canta ha stringenti caratteri di attualità, trovando in quella fantascientifica una simbolica cornice nella quale viene messa in scena. E nello stesso modo (enfatizzando il carattere coatto del distacco, dell’isolamento, della distanza) va letta l’evocazione dell’ologramma dell’amata.
Saku (Bicep feat. Clara La San)
diretto da David Bertram
Una scala a chiocciola come una vertigo (di colpa) nella quale la protagonista si perde, laddove il racconto (il tormentato rapporto col padre) ci parla di uno smarrimento interiore. Puro Zbigniew Rybczyński spiraliforme, ma riapplicato secondo dettami drammaturgici riconoscibili, fuori dalle astrattezze simboliche del maestro polacco. E poi Gondry, in secondo grado, per il modo di utilizzare l’unica ambientazione (vedi, in tal senso, anche Yesterday di Loyle Carner, diretto da Coyle-Larner Brothers) e per come si fa aderire il visivo a quanto accade nel brano musicale.
For A Moment (Lola Marsh)
diretto da Indy Hait
Tra i concettuali più arguti dell’anno: un one shot pesantemente postprodotto che, seguendo pedissequo il tema musicale, mette in scena, col match di ping pong, la partita sottintesa della relazione amorosa.
Hopeless Romantics (James TW)
diretto da Jack Willoughby
Molto interessante nella sua apparente semplicità, questo video che ingloba performance, narrazione e concetto. Un corpo riverso a terra, un incidente, un’ambulanza e due infermiere che soccorrono James TW. Ma quello che vediamo è un delirio del ferito: James TW viene vestito per concludere sul posto l’esibizione del brano, accompagnato dal personale medico. Promo che riflette sul ruolo dell’artista all’interno di una retorica video che viene da un lato rispettata, dall’altro denudata.
Rilevante anche la collaborazione precedente tra regista e artista per Butterflies: dietro il gioco delle maschere e dei diversi set, si cela un’altra sottile metariflessione sulle possibilità interpretative di un videoclip.
Lonelylife (Sybil)
diretto da Mercedes Grower & Julia Davis
Davvero tantissimo tempo che non si vedeva un video come questo, un clip che gioca così scopertamente su squallore, depressione, nudità, in maniera talmente cosciente e sincera da escludere anche la ricerca dello scandalo, respingenti come appaiono queste immagini. Diretto dalle stesse componenti della band Sybil (tra cui l’attrice e regista Mercedes Grower), può essere considerato un tardivo e malato quarantine video.
Shot In The Dark – Wild Blue (John Mayer)
diretti da Mathew Cullen
Mathew Cullen (di Motion Theory) si dà all’esercizio filologico proponendo un’accoppiata di video che, didascalia compresa, sembrano uscire dal flusso della MTV degli anni dorati: luci, fluo, scenografia, modalità di rappresentazione ricalcano perfettamente il modello.
Vibez (Zayn)
diretto da Ben Mor
Non possiamo non dirci gondryani potrebbero (dovrebbero?) dire i videomaker di oggi: Michel Gondry non ha soltanto consegnato alle ultime generazioni una grammatica videomusicale, applicata a volte con disinvoltura automatica al punto da rasentare l’inconsapevolezza, ma anche un kit di soluzioni espressive e una visione etica della tecnologia (Oscar Hudson, ultimo, straordinario adepto) di valore imprescindibile. Per un Hiro Murai che i fondamenti della golden age li ha assimilati e riconvertiti in linguaggio personale, c’è tanta videomusica che quel patrimonio lo dilapida riducendolo a raccolta pedissequa di figurine (me ne lamentavo un anno fa). In Vibez, per Zayn (bel pezzo, tra l’altro), Ben Mor mette in fila senza costrutto una serie di stilemi del francese che depredano la Björk di Bachelorette (la messa in abisso teatrale della narrazione, con riproduzione letterale del design scenico) e Hyperballad (lo stesso set artificiale con retroproiezioni e scenografie luminose) e persino Sounds Like You, masterpiece ad per Pandora del 2017. Citazione? Omaggio? Appropriazione? Sicuramente banalizzazione e piatta applicazione se, tolta la patina, non si rinviene altro (a parte un product placement che sembra fuoriuscire dallo schermo).
Purtroppo dove va (o può andare) la videomusica lo si capisce anche da clip come questo.
COREOGRAFICO
In testa il video diretto da Chloe Hayward che riprocessa Decouflé, Gondry, Murai & Haffington in un colpo solo. E poi via tutti gli altri.
People, Let’s Dance (Public Service Broadcasting, feat. EERA)
diretto da Chloe Hayward
John L – black midi
diretto da Nina McNeely
Hungover (Eloise)
diretto da Nicolee Tsin
Hideaway (Nîm)
diretto da Etienne Fu-le Saulnier
Fireworks (Purple Disco Machine)
diretto da Greg Barth
Messy Love (Nao)
diretto da Lisette Donkersloot
Say Goodbye (Mulvey’s Medicine & Jolyn ft Grace Walker)
diretto da Joshua Fairbrother
ANIMAZIONE
Thought Bubbles (Teddi Gold)
diretto da Zohar Dvir
La chanson de Prévert (Serge Gainsbourg)
diretto da Michel Gondry
With Compliments (Ducks! ft Maya Shenfield)
diretto da Reuben Sutherland
Samurai Sword (Chad VanGaalen)
diretto da Chad VanGaalen
Shizumu (Lycoriscoris)
diretto da Cal Bain
Honey Sweet (Yellow Majesty)
diretto da Inari Sirola
Boys Cry (Oscar Scheller)
diretto da Ben Eager
Smoke Hole (Sad Night Dynamite)
diretto da Edie Lawrence
Slow (Black Midi)
diretto da Gustaf Holtenäs
The Dark That You Fear (The Chemical Brothers)
diretto da RUFFMERCY
Wake Up (Losers)
diretto da Euan McGrath
Her (Poppy)
diretto da Chris Ullens
Don’t Be Afraid (Tycho Jones)
diretto da Edd Carr
CICLI – LONG VIDEO
Neo Surf – GENER8ION feat. 070 Shake
diretto da Romain Gavras
Gavras torna con quello che definisce un viaggio audiovisivo, una collaborazione col produttore e compositore Surkin e il suo progetto musicale Genr8ion, un lavoro girato in Grecia (la prima volta per Romain, figlio di Costa Gavras), ancora avvolto nel mistero e di cui è uscito il primo esaltante capitolo, ambientato in una desolata Atene nel 2034, tra relitti di navi, complessi industriali dismessi, cave di marmo e in cui il cambiamento climatico è testimoniato da una paradossale caccia allo struzzo («Non è postapocalittico, perché l’apocalissi, come il futuro, è già qui»). È la prima testimonianza un’opera multimediale che prevede proiezioni in luoghi insoliti e un’installazione museale (da gennaio presso l’Onassis Stegi di Atene). E in cui è coinvolta Charlize Theron, il cui volto in lacrime chiude il trailer che annuncia in rete il progetto.
Gavras, come al solito, va a un’altra velocità e ormai è oltre ogni classifica.
All Too Well (Taylor Swift)
diretto da Taylor Swift
Taylor Swift da tempo, e con esiti discontinui, firma molti dei suoi clip. Abbiamo più volte ribadito come l’artista usi la videografia per alimentare la sua narrazione personale – di cui le canzoni sono testimonianze dirette – in forme felicemente implicite, simboliche o attraverso ingegnosi easter egg a uso dei fan. Per All Too Well, a oggi il miglior titolo da lei diretto, il discorso si fa clamorosamente manifesto: lo short film – per capitoli segnalati da titoli eloquenti – rende leggibile, con mirabile densità espressiva (la protagonista Sadie Sink lascia il segno), l’evolversi della relazione di un bel po’ di anni fa con Jake Gyllenhaal attraverso situazioni, gesti, dettagli. Trattasi infatti di una canzone tratta dalla nuova edizione dell’album Red, uscita quest’anno (tutta la prima parte del suo catalogo viene reincisa dall’autrice, a fronte di un’inopinata cessione dei master dalla sua etichetta all’ex manager). E non rinunciando alla mitologia personale, vera e propria griffe sul lavoro: la sciarpa rossa a cui la canzone allude – un caso all’epoca – segna infatti significativamente l’inizio del video e la sua fine: 13 anni dopo recita l’ultima didascalia. Appunto.
Loving in Stereo (Jungle)
diretti da Josh Lloyd-Watson e Charlie Di Placido
Strabiliante ciclo di video, coreografati da Nathaniel Williams e Cece Nama, tutti one-shot diretti da un 50% dei Jungle (Lloyd Watson) e Di Placido per i brani dell’album del duo inglese. Solo godimento.
Music of the Spheres (Coldplay)
diretto da Dave Meyers
Solo per testimoniare che i Coldplay continuano, disco dopo disco, a comporre con grande coerenza e senza risparmiarsi uno dei percorsi videografici più inattaccabili di sempre. Qui una trilogia ottantesca fonda la tradizionale esuberanza di Dave Meyers con la coreografia di Boram Kim (Ambiguous Dance Company) e gli effetti speciali dei parigini Mathematic.
Call me If You Get Lost (Tyler The Creator)
diretti da Wolf Haley
L’ho già scritto e lo ribadisco: i video di Tyler (Wolf Haley) The Creator valgono sempre oro. Saperlo li depotenzia ai miei occhi, perché mi sorprendono sempre meno. Ma è un mio problema, lui è un genio vero, dovrebbe dirigere un film.
Aphrodite & Tentacles (Reindier)
diretto da Tanja Busking
Enfant Sauvage 1 – 2 – 3 (Enfant Sauvage)
diretto da Guillaume Alric
Flýg Upp X Varlega (Aron Can)
diretto da Erlendur Sveinsson
Blu (Shygirl)
diretto da Shygirl
ITALIANO
I Wanna Be Your Slave (Måneskin)
diretto da Simone Bozzelli – intervista al regista
La canzone nostra (Mace, Blanco, Salmo)
diretto da Younuts!
22+1 (My love song supreme) (MasCara)
diretto da Luther Blissett (Fabio Landi, Viola Folador)
Ogni pensiero vola (Venerus)
diretto da Cleopatria
Inuyasha (Mahmood)
diretto da Simone Rovellini
Transe Napolitaine (PS5)
diretto da Sabrina Cirillo
Musica leggerissima (Colapesce, Dimartino)
diretto da Zavvo Nicolosi
Santa Marinella (Fulminacci)
diretto da Danilo Bubani
Klan (Mahmood)
diretto da Attilio Cusani
La genesi del tuo colore (Irama)
diretto da Gianluigi Carella
Fuori di me (Dente)
diretto da Uolli
Quanto ti vorrei (Chiello, Shablo)
diretto da Tommaso Ottomano
Mastroianni (Sottotono)
diretto da Trilathera
Saliva (Pavor Nocturnus)
diretto da Francesco Tani, Emma Fragorzi, Leo Canali
Una buona storia (Bautista)
diretto da Acquasintetica
Geniale/ Non esiste amore a Napoli (Tropico)
diretto da Enea Colombi
Blu Celeste (Blanco)
diretto da Simone Peluso
Crazy Love (Marracash)
diretto da Giulio Rosati