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VIDEO DELL’ANNO 2017: TAYLOR SWIFT & JOSEPH KAHN

Look What You Made Me Do (Taylor Swift)
diretto da Joseph Kahn

È davvero la rivincita del video vecchio stile quella che si consuma con questo titolo di Taylor Swift. Lo sappiamo (lo abbiamo ripetutamente scritto) che Joseph Kahn è un videomaker che non si è mai rassegnato al mutare dei tempi (e dei budget) e per il quale un promo serve sempre a ossequiare e glorificare la star che ne è protagonista. In questi ultimi anni ne ha diretti sempre meno, ma mantenendo (o cercando di mantenere) gli stessi standard dell’epoca dorata. Quando quattro anni fa l’ho intervistato per il mio libro (Il videoclip nell’era di YouTube, Bietti Heterotopia Edizioni) ci ha tenuto a ribadire questa posizione, in forte contrasto con l’ondata autorialista che proprio nei 90 si è affermata con decisione, implicitamente criticando l’eccessivo ingombro della figura del regista nella videomusica contemporanea: «Non è su di te, è su di loro», mi ha ripetuto: la star è l’artista, non il regista, insomma. Dopo anni passati a creare videomusica che nessun teorico calcolava (quasi nessuno… ehm) perché ritenuta puro prodotto commerciale (capolavori: da Toxic per Britney Spears a Without Me per Eminem) e a costruire cornici grandiose per le stelle di turno (George Michael, Lady Gaga, Katy Perry…) l’incontro con Taylor Swift ha segnato una svolta nella sua carriera. Ciò che si è venuto a creare da Blank Space in poi è quel sodalizio quasi esclusivo che nel percorso dell’americano ancora mancava (anche se la sua videografia vanta alcuni personaggi ricorrenti, a cominciare proprio da Spears). Un sodalizio che conta a oggi sei video (sette, se si comprende la produzione del bellissimo lyric diretto da ODD per il pezzo di cui ci occupiamo) e nel complesso, al momento, più di cinque miliardi di visualizzazioni.
Joseph Kahn è un conoscitore profondo della cultura pop, un geniale plasmatore (e riplasmatore) di formule, che se interpreta la videomusica secondo il verbo della tradizione (centralità della star ad ogni livello – dalla narrazione alla performance -) non per questo vi si annulla, anzi. Il suo massimo talento è proprio quello di comprendere quali sono i punti forti del personaggio con cui collabora e trasformarli in armi spettacolari (nel video in questione, ad esempio, fa cimentare Swift in una coreografia, normalmente assente nei promo della Nostra). In questo, e nella perfetta veste video da disegnare su misura della star, è il più grande in circolazione. Ed è questa, gli piaccia o no (secondo me gli piace, visto che comincia a firmare i suoi promo dall’incipit), la sua marca autoriale.

Kahn, in questo caso, si fa interprete di una tendenza forte del video contemporaneo: l’autoreferenzialità portata alle estreme conseguenze. I video, da Madonna a oggi, di autoreferenzialità sono sempre stati traboccanti, ma con Famous di Kanye West si è arrivati a una forma di autoincensamento che recava forti elementi di novità. Lo si scriveva in quell’occasione (qui) che la generale riflessione sulla fama Kanye, in quel video, la piegava a epica personale: i personaggi sul lettone erano tutti legati a episodi chiave della sua vita pubblica, erano altrettanti link ad avvenimenti che lo riguardavano e che finivano col decretare la sua celebrità. Dicendo di Taylor Swift: «I made that bitch famous» Kanye poneva l’accento sul suo essere un  dispensatore di gloria: anche quando sembrava parlare di altri, West riferiva tutto a sé.
Ed eccoci a Taylor Swift: senza tornare nel dettaglio sulla faida con West (la cui conoscenza è comunque necessaria per comprendere il sottotesto di LWYMMD, ed è uno dei punti della questione), l’idea folgorante di Joseph Kahn (e di Swift stessa) è di aver reso Look What You Made Me Do una risposta a Famous non solo testuale, ma anche visiva. Intendo dire che, come Kanye West nel suo promo sembra parlare della fama in generale, ma in realtà continua a parlare della sua, ricordando le stazioni centrali di una personale via crucis pubblica, così Taylor Swift – artista che nei suoi brani, notoriamente, fa riferimento a sé e alle sue storie d’amore e amicizia – mentre sembra semplicemente annunciare la nascita di una nuova identità legata al nuovo disco in arrivo (non a caso intitolato Reputation) e rispondere a West attraverso un semplice accenno testuale («I don’t like your little games/ Don’t like your tilted stage/ The role you made me play/ Of the fool, no, I don’t like you»), usa il clip per mettere in scena un grandioso, ironico, grandguignolesco e nello stesso tempo paradossalmente implicito riassunto della sua carriera. Una risposta uguale e contraria al video di Kanye, insomma. E Joseph Kahn, da parte sua, su questo terreno swiftiano, pianta la sua personale genealogia videografica (lui che di cliché ha sempre nutrito i suoi promo) disseminando il clip di autoriferimenti e di allusioni a visual fondamentali della Storia.

La vecchia Taylor è oramai seppellita, è una zombie che annuncia l’arrivo di una nuova creatura, combattiva, forte delle sue ragioni e che non la manda a dire: se Kanye West e Kim Kardashian sono serpi, Taylor Swift non è più disposta neanche a dirsene vittima (il finale dialogato, che reinscena alcuni momenti cardine della storia pubblica della cantautrice: tra questi la premiazione al VMA da cui tutto partì e la famosa dichiarazione post-Famous «I would very much like to excluded from this narrative, one that I have never asked to be part of, since 2009» che viene interrotta brutalmente dalle altre Swift con un perentorio Shut up), è già a un livello successivo: la nuova Swift, allora, fa piazza pulita delle vecchie (tutte rigorosamente presenti nel video) e irride il modo in cui è stata ritratta dalla stampa (geniale, davvero, la ridicolizzazione degli otto partner storici della cantante come altrettanti valletti effemminati che recano sul body la scritta I ♥ TS, ricordando la canotta indossata da Tom Hiddleston durante il loro paparazzato flirt).
Esaminare pezzo per pezzo il video sarebbe lungo, ma quel che conta, al di là della resa puntuale dei riferimenti [1], è partire dal presupposto che ogni suo momento racconta un pezzo di Swift, con un lavoro certosino e dettagliatissimo di art direction che è ulteriore omaggio a un’era videomusicale di cui oggi non si vivono che rari sprazzi. Così il miracolo di Kahn in Look What You Made Me Do è che – pur girando un clip sovraccarico di intenzioni, messaggi, sottotesti, citazioni, riferimenti – riporti tutto al suo mood leggero, spiritoso, pop & colto e, soprattutto, mai spocchioso e vacuamente arty (il riferimento all’elefantiaco long visual di Beyoncé Lemonade – altro lampante esempio di Video Della Nuova Autoreferenzialità – non è assolutamente casuale). Se una delle tendenze più acute che si registrano nell’attuale videomusica è il voler piegare il videoclip a qualunque esigenza artistica (il ciclo di Jay Z per il suo 4:44 ne è un altro campione lampante), portandolo su terreni inediti anche a costo di trascinarcelo a forza (a quale scopo è il punto sul quale bisogna riflettere – lo si farà -), Kahn, da membro della vecchia scuola quale si pregia di essere (si veda il citazionismo ammiccante del successivo … Ready For It?) scansa questa deriva e ci consegna un encomiabile compendio della sua arte, un memento al video che fu e come può ancora essere, un manifesto concettuale tinteggiato di pop. Non solo il video più importante del 2017, ma un nuovo classico che resterà.

[1] Si troveranno riferimenti all’unico dollaro chiesto, per la pura affermazione del principio, dalla Swift nella causa (vinta) per una molestia subita, al Grammy ottenuto a spese di Kendrick Lamar, all’amore per i gatti, alla sua Girl Squad (la banda di amiche famose già evocata in Bad Blood) e alla rivalità con Katy Perry, al suo isolamento commerciale visto come una rapina ai danni dell’industria discografica dello streaming (il suo album fuori da Spotify, la sua lettera aperta alla Apple). Nel cimitero iniziale su una tomba il nome di Nils Sjoberg fa riferimento alla clamorosa rivelazione della sua attività di ghostwriter: è infatti lo pseudonimo che la cantante ha usato per cofirmare This Is What You Came For del suo ex Calvin Harris (feat. Rihanna).
Ogni elemento del video, dalle acconciature agli abiti indossati, costituisce un preciso rimando alla narrazione swiftiana.