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VIDEO DELL’ANNO – 2012

In una stagione che ha segnato la ripresa in grande stile del video performance puro – sottomesso in questi ultimi anni, soprattutto nel mainstream, a vere e proprie formule capestro – ho individuato sette momenti da ricordare, per motivi diversi. Il caleidoscopio di Kanye West che ingabbia la belva live, la rilettura mockumentary di Bieber/Chou, la scorribanda sudafricana di Melina, Huang che plasma l’ennesima trasformazione di Björk, Courtes che si sollazza col sabba orgiastico celebrato da un invasato Sébastien Tellier, Cahill nella sfrenata fantasia surreal-onirica di una Fiona Apple parigina.
E Hood di Case, in cui la prestazione (che fonda il video, lo segna) implicitamente narra: l’anima di Mike Andreas, cantante e nuda, trema e lo schermo stesso pare vibrare per due minuti [foto].

Hood (Perfume Geniuis) diretto da Winston H. Case

Niggas in Paris (Jay-Z & Kanye West) diretto da Kanye West

Cochon Ville uncensored (Sébastien Tellier) diretto da Alex Courtès

Losing You  (Solange) diretto da Melina Matsoukas

Mutual Core (Björk) diretto da Andrew Thomas Huang

Every Single Night (Fiona Apple) diretto da Joseph Cahill

Beauty and a Beat (Justin Bieber feat. Nicki Minaj) diretto da Justin Bieber & Jon Chu

E’ stato, senza dubbio, l’anno del video narrativo (anche la top ten lo sancirà in modo incontrovertibile), un canone che, opzionato, diviene spia rivelatrice dell’ambizione dei registi che sognano il grande salto nel lungometraggio. E’ per questo che ho scelto ben dieci approcci: Fleur & Manu, quasi astratti, lasciano gli interrogativi ad accumularsi; Bagheri risulta lineare e concreto e, senza cercarla, sfiora la poesia; De Thurah frammenta i percorsi dei suoi personaggi evocando Arriaga; Seret, non rinunciando alla performance, narra una struggente love story; il collettivo Shynola si muove sontuosamente sul racconto distopico: il loro lavoro per i Coldplay è straordinario quanto sottovalutato [foto]; Young Replicant ribadiscono la loro predilezione per la progressione enigmatica, con una storia che passa da realtà a sogno a sogno nel sogno; Nabil segue in flashback la notte del suo protagonista, alterato dall’assenzio, tra bar devastati e strip club (il Pyramid).
Il confronto/scontro tra realtà e desiderio – tendenza tipica di questa annata delle narrazioni video – è testimoniato da Strong che insegue, nella realtà di un locale di lapdance, la fantasia gay di due avventori e da Kragh-Jacobsen che fa incrociare la barbosa serata di un quarantenne depresso con quella di un suo doppio spensierato e giovanile.
Ultima, ma non ultima, la collezione sensazionale, in odor di Malick, di momenti, ricordi, emozioni di Peter Simonite e Annie Gunn.

Paradise  (Coldplay) diretto da Shynola

Fineshrine (Purity Ring) diretto da Young Replicant

You know what I mean (Cults) diretto da Isaiah Seret

Pyramids (Frank Ocean) diretto da Nabil

Faking Jazz Together (Connan Mockasin) diretto da Fleur & Manu

California (Delta Spirit) diretto da Abteen Bagheri

Lupine Dominus (Thee Oh Sees) diretto da John Strong

The Bad in Each Other (Feist) diretto da Martin De Thurah

The Fall (Rhye) diretto da Daniel Kragh-Jacobsen

Postcard From 1952 (Explosions In The Sky) diretto da Peter Simonite & Annie Gunn



L’unico video concettuale puro della cinquina è quello diretto dagli Us: idea (e resa) folgorante che si esaurisce in due minuti netti [foto]. Tom Sharpling fa il remake di un video culto dei ‘Til Tuesday, il vecchio gruppo di Aimee Mann (l’operazione è un po' più complessa e la spiego qui). Gli altri tre ibridano il concetto con una narrazione (o un accenno di racconto) che è strumentale al primo.

I Will Never Change (Benga) diretto da Us

Free (The Editorial Me) (Darwin Deez) diretto da Ninian Doff 

True Romance (Citizens!)  diretto da We Are From L.A.

The Frog (The Hickey Underworld) diretto da Joe Vanhouttegem

Labrador (Aimee Mann) diretto da Tom Sharpling


Sette video che sfuggono alle categorie, vivendo ai confini di molte etichette, alla fine ibridandole e scansandole tutte. Dalla descrizione pedissequa del testo della canzone (Lynch) [foto], alla distopia divagatoria della Schroder (le fanciulle in fiore nella Villa Masturbazione), passando per la danza (il puzzle di Bizanski e il movimento “politico” di Dryhurst) e l’installatoria proposta di Groulx. Infine due percorsi che accennano una narrazione: l’effettistica esplosiva di De Meyer, un video in continua evoluzione, e il misterioso pedinamento in datamoshing di AG Rojas.

Crazy Clown Time (David Lynch) diretto da David Lynch

Hands (Alpine) diretto da Luci Schroder

I like it (Izabo) diretto da Adam Bizanski 

Movement (Holly Herndon) diretto da Matt Dryhurst

Remember (Raveyards) diretto da Charles De Meyer

Loftcries (Purity Ring) diretto da AG Rojas 

Epizootics! (Scott Walker) diretto da Olivier Groulx


Anche quest’anno sono moltissime le animazioni video. Ne ho scelte otto, con una preferenza spiccata per quella, davvero esaltante, di Ian Cheng [foto], un video incubo che si trasforma in truce coreografia, popolata da cacciatori e conigli, in una lotta spasmodica e senza quartiere; gli stessi Liars sono coinvolti nell’avveniristica CGI.

Brats (Liars) diretto da Ian Cheng 

Cerulean (Simian Mobile disco) diretto da Jack Featherstone 

The Waves (Villagers) diretto da Alden Volney

Hurts like Heaven (Coldplay)  diretto da Mark Osborne

Hide (Kris Menace feat. Miss Kittin) diretto da Mathieu Bétard 

Feels Like We Only Go Backwards  (Tame Impala) diretto da Joe Pelling & Becky Sloan

Miss Atomic Bomb (Killers) diretto da Warren Fu

Don’t Deny Your Heart (Hot Chip) diretto da Peter Serafinowicz


La stop motion è una modalità del linguaggio video che può apparire abusata solo quando se ne faccia un uso prevedibile o immotivato. In generale c’è una via artigianale (si prenda ad esempio la semplicità degli specchi di Segaud o delle lettere cartonate degli adorati Lamar+Nik) che continua ad essere praticata con entusiasmo e che costituisce, nel mondo della videomusica, una vera e propria ostinata corrente. Greg Jardin – che, ancora una volta, dimostra l’inventiva del fuoriclasse che è, con il video [foto] più sottovalutato dell’anno – e gli altri registi qui di seguito, sono pronti a testimoniare che si può girare una clip con pochi mezzi e molte idee.
Sei gioielli, senza se e senza ma.

New York City (Joey Ramone) diretto da Greg Jardin

Get By (Delta Heavy) diretto da Ian Robertson

Off the Wall (Yuksek) diretto da Romain Segaud

Magnolia (Lushlife) diretto da Lamar+Nik

Easy Way Out (Gotye) diretto da Darcy Prendergast

I’ve Seen Footage (Death Grips) diretto da Death Grips


La videomusica italiana è un tasto dolente: il mainstream è, senza mezzi termini, un disastro; il settore indipendente sicuramente più vivace, ma ancora succube dei modelli stranieri di cui riesce ad essere, nel migliore dei casi, una spenta copia (per non citare plagi imbarazzanti).
Ho scelto tre video che smentiscono la tendenza e sono la dimostrazione che esistono sguardi originali, che una peculiare via italiana al videoclip può essere tracciata (la videografia di Mezzacapa [foto], tanto per fare un esempio, è tutta di livello).

Cromatica (Marta sui Tubi feat. Lucio Dalla) diretto da Bruno Mezzacapa D’Elia

Wes Anderson (I Cani) diretto da Luca Lumaca

Criticize you (Foxhound) diretto da Marco Molinelli e Giovanni Troilo


Certo, non è più il tempo in cui Marlon Brando faceva da guest star a un video di Michael Jackson, ma il divo nelle clip tira sempre molto. Sei esempi (un altro lo troveremo nella top ten): Terence Stamp per gli Hot Chip, Michelle Williams per i Wild Nothing, Michael Madsen per Justin Bieber, Shia LaBouef per i Sigur Rós, Willem Dafoe (e Marina Abramovic) per Antony. Soprattutto: Elijah Wood per i Flying Lotus, perché il video di Lewandowski è tra le cose più incensate dell’anno [foto].

Tiny Tortures (Flying Lotus) diretto da David Lewandowski

Night & Day  (Hot Chip) diretto da Peter Serafinowicz 

Paradise (Wild Nothing) diretto da Matt Amato

As You Long, As You Love Me (Justin Bieber feat. Big Sean) diretto da Anthony Mandler

Cut the world (Antony & The Johnsons) diretto da Nabil

Fjögur Píanó (Sigur Rós) diretto da Alma Har’el


Oramai è un appuntamento consueto quello col meglio della produzione videomusicale dell’anno, un anno ancora ricco (dopo l’eccezionale 2011), pieno di nomi nuovi e proposte interessanti. Per ricomprendere tutto quello che, a mio avviso, andava segnalato non mi sono attenuto, nelle varie categorie, al diktat della cinquina. Ne è risultato un consuntivo che spero suoni (e si mostri) esauriente e rappresentativo della produzione di questa stagione.
Prendetevela con calma e cliccate tutto il cliccabile, ne vale la pena.
Buona visione.

Quattro video (ad oggi) per l’album degli alt-J (il nome indica i due comandi che sul Mac danno la lettera greca delta: ∆): quattro registi, quattro diversi stili, quattro lavori memorabili. Saranno anche al loro debutto, ma la strategia videopromozionale ha una lucidità da veterani. Si va dall’appassionante narrazione al contrario di Breezeblocks al tableau vivant in cropping di Tessellate, dall’effettistica rutilante della corrida di Something good alla disturbante escursione di una periferia popolata da freaks in Fitzpleasure, quasi una rilettura tecnologica di una puntata di Cinico TV [foto].
Non volendo contare l'artwork di Wim Delvoye tradotto in video da Guillaume Cagniard.

Breezeblocks diretto da Ellis Bahl 

Tessellate  diretto da Alex Southam

Something good diretto da Brewer 

Fitzpleasure diretto da Emile Sornin


Gavras domina. Us (tre video-perle sui tre versanti: performativo, concettuale e narrativo) e AG Rojas, rivelatisi l’anno scorso, sono diventati una certezza luminosa. Vincent Haycock, attivissimo, ha narrato molto e con stile inconfondibile. Anthony Mandler ha venduto benissimo a tutti il suo stile cinematografico. Bock va a segno quattro volte e non ha rivali tra i registi emergenti.
Alcune operazioni da segnalare: la trilogia di Fleur & Manu per gli M83 (123) e Valtari Mystery Film, il videoalbum dei Sigur Rós (sedici lavori di valore diseguale, come i registi coinvolti), che prevede anche un contest.
Ancora: il sodalizio AG Rojas + Vincent Haycock per Drinking From The Bottle di Calvin Harris con un luciferino Brad Dourif.
E il doppio video di William Stahl per i WhoMadeWho.

Romain Gavras

AG Rojas

Us

Vincent Haycock

Anthony Mandler

Rivelazione: Emily Kai Bock


Prima della famigerata Top Ten è impossibile non segnalare anche queste altre clip che non sono entrate, malgrado tutti i pretesti escogitati, nelle precedenti caselle e dalle quali davvero il 2012 in videomusica non può prescindere.
Due per tutte: il video più cliccato di sempre (un miliardo di view per Gangnam Style) e il kolossal (forse il video più costoso dell’annata) dei Canada [foto].

Lost in the world (Kanye West feat. Bon Iver)  diretto da Ruth Hogben/ Kanye West

Gold On The Ceiling (The Black Keys) diretto da Harmony Korine

Who (David Byrne & St Vincent) diretto da Martin De Thurah

Gangnam style  (PSY) diretto da Lee Bo Young

Stupid Hoe (Nicki Minaj) diretto da Hype Williams

Run Boy Run (Woodkid) diretto da Yoann Lemoine

Guv’nor (JJ DOOM) diretto da Ninian Doff

Until the quiet comes (Flying Lotus) diretto da Joseph Kahill

A Dedication (Washed Out) diretto da Yoonha Park

Happy (C2C)  diretto da Wendy Morgan

New Land (Justice) diretto da Canada

Foster the people (Houdini) diretto da Daniels


Man On Fire (Edward Sharpe & The Magnetic Zero) diretto da Brady Corbet

Un debutto che non ti aspetti – l’attore Brady Corbet (Mysterious Skin, Melancholia, La fuga di Martha) – con un video che danza nel cuore della Grande Mela, un’umanità che non si vede, ma che è lì, ostinata, a infondere alla città il respiro dell’arte. Corbet racconta questa realtà con una levità che tocca, una semplicità che disarma e cui fa eco l’impressione di un vero talento.

Roland, I Feel You (Get Well Soon) diretto da Philipp Kaessbohrer

Il brano dei Get Well Soon (progetto musicale del musicista tedesco Konstantin Gropper) si converte in un film delirante (in lingua italiana, il regista si chiamerebbe Pronta Guarigione…), che comincia come un western spaghetti, prosegue come un fantasy perverso, ammicca a Jodorowski e si colloca in quel grande filone di riscoperta della produzione più visionaria anni 70 di cui i Canada sono stati i paladini. E’ una sequenza ininterrotta di immagini surreali e fascinose che raccontano una storia – il film si intitola La bestia scarlatta con sette teste (The Scarlet Beast O’Seven Heads è il titolo dell’album dei GWS) e affastella invenzioni a getto continuo. La voce fuori campo del mitico Alfredo Cerruti (gli Squallor, e non aggiungo altro) lo proietta in una dimensione veramente “altra”.
L’indiscutibile oggetto a parte di questa stagione.
Tesoro, il mondo è un luogo cattivo e devi sapere che nessuno ti aiuterà.

Love in Motion (SebastiAn) diretto da Gaspar Noé

Il regista cinematografico Gaspar Noé propone gli innocenti giochi dei piccoli che squarciano il velo sui seduttivi giochi dei grandi. Contrastato (embargo su You Tube per qualche settimana), contestato, è, allo stesso tempo, una provocazione studiata, una riflessione lucidissima e una clip controversa che funziona.

Blue Jeans (Lana del Rey) diretto da Yoann Lemoine

Quella di Lemoine è oramai cosciente e ricercatissima maniera: mollezze spottistiche in ralenti, glamour come piovesse, bianco e nero in odor di Weber, creazione in laboratorio di un’immagine “divina” da far indossare a Lana Del Rey. Il risultato è all’altezza di tutte le ambizioni e va a comporre un seduttivo catalogo di immagini che si sono inesorabilmente appiccicate alla videomemoria di questo 2012.

Hey Jane (Spiritualized) diretto da AG Rojas

Tra i più prolifici in quest’anno, AG Rojas (nato in Spagna, a Barcellona, ma operante a Los Angeles, città spesso indiretta protagonista dei suoi video) ha proposto una serie di lavori che mantengono un visibile fil rouge. Hey Jane è quasi un cortometraggio (dieci minuti – gli ultimi sei in un pianosequenza da antologia) che diventa distillato di poetica, condensato di stile e manifesto di intenzioni: camera a mano, narrazione in primo piano, nessuna effettistica, nessuna estetizzazione. Il sodalizio col direttore della fotografia Michael Ragen continua felicemente.
Il suo lavoro più recente è il cortometraggio Crown

Love is all I got (Feed Me & Crystal Fighter) diretto da Us

Il duo inglese fa tris e consacra la sua stagione con la migliore idea narrativa dell'anno. Teniamoli d'occhio Chris Barrett e Luke Taylor perché, ad oggi, non hanno sbagliato niente.
Se poi vogliamo contare questa (meravigliosa) cosa per NOWNESS arriviamo a quattro.

Oblivion (Grimes) diretto da Emily Kai Bock

La rivelazione dell’anno è un video sottilmente politico. Come ho avuto già modo di scrivere: Emily Kai Bock presenta una performance dal vero, in mezzo a un pubblico virile di alcuni eventi sportivi (football, motocross acrobatico etc), intervallata da una serie di inserti in cui Grimes/Claire Boucher è circondata da aitanti ragazzi che fanno da cornice nella spudorata location (gli spogliatoi). In ambiti in cui una mascolinità cameratesca a volte ottusa, facendo mostra di sé, viene di fatto reificata, la cantante propone, aerea e vivace, il suo pezzo, catalizzando su di sé l’attenzione: governando l’azione, l’artista pone, nel loro stesso elemento così profanato, le figure maschili in secondo piano. Potente riflessione sull’interpretazione degli usurati ruoli sessuali (i maschi dominatori dei contesti; le ragazze, solo cheerleader, ai margini degli eventi) e sul loro sovvertimento.

Time to dance (The Shoes) diretto da  Daniel Wolfe

Daniel Wolfe distilla sempre di più le sue uscite, ma ogni volta che sforna un lavoro è un piccolo terremoto. Time to dance, ambientato nel distretto londinese di Dalston, è un’intensa “hypster killer story”, interpretata da Jake Gyllenhaal, in cui, mescolando i livelli temporali, si opera una cupa ed emozionante discesa nel lato oscuro della vita di un giovane. Bret Easton Ellis si è detto entusiasta, rivedendo nelle efferate gesta del protagonista quelle del suo american psycho Patrick Bateman (Wolfe ha comunque affermato che il principale riferimento per la clip è stato Graduation Day, uno slasher movie del 1981).
Otto minuti di coinvolgente, ipnotica miscela musica e immagini che non si dimenticano.

No Church in the Wild (Jay-Z & Kanye West) diretto da Romain Gavras

E’ la tragedia di oggi, è la crisi, è la Grecia, è il mondo intero in fiamme. E le statue sono divinità indifferenti di fronte all’Ineluttabile. E l’elefante finale un’immagine-shock che annuncia l’Apocalisse.
Gavras chiude la sua violenta trilogia con un kolossal nichilista di potenza inusitata.

Bad Girls (M.I.A.)
Regia: Romain Gavras
Fotografia: André Chémétoff
Art Direction: Romain Gavras
Montaggio: Walter Mauriot
Girato a Ouarzazate (Marocco)
Making of del video.

E’ mancata la suspense quest’anno. A febbraio non mi sono fatto scrupolo di sparare a Bad Girls un perentorio (quanto inedito) 10 e di proclamarlo un istant classic, con la consapevolezza di chi sente che i giochi sono già fatti. Il tempo trascorso e milioni di visualizzazioni rafforzano questa opinione, facendola divenire un fatto; anche la pioggia di premi che le sono toccati in sorte in questi ultimi mesi (per non dire degli attestati di stima che hanno fatto capolino in ogni dove) non fanno che sancire l’inevitabile resa degli addetti ai lavori di fronte al valore assoluto di questa clip.
Gavras in stato di grazia si cimenta per la prima volta in un video performance, una vera e propria clip pop, e lo fa a modo suo, in una chiave sottilmente provocatoria e politica (a cominciare dai titoli in arabo) mimetizzata in un congegno spettacolare perfetto.
Qual è il miglior video possibile? Quello che si lega in maniera così indissolubile alla canzone da rendere impossibile scinderne l’ascolto dalla rievocazione delle immagini (Thriller di Michael Jackson diretto da Landis, ad esempio).
Qual è il miglior video possibile? Quello che non ci si stanca mai di rivedere.
Andiamocelo a godere per la N-sima volta.


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