TRAMA
Lo svedese Yod giunge a San Bernardino per farsi pagare dal generale rivoluzionario Mongo Alvarez il carico di armi che gli ha venduto ma l’oro con cui deve essere pagato è in una cassaforte che non si apre. L’unico a conoscere la combinazione è Xantos, fondatore di un partito rivoluzionario tenuto prigioniero a Fort Yuma dai “regulares”. Saranno lo svedese e El Basco, un luogotenente dell’esercito di Alvarez, ad andare a liberare Xantos, ma i due sventurati saranno nel frattempo braccati da John, un bounty killer che intende saldare vecchi conti con lo svedese.
RECENSIONI
Levantando en aire los sombreros
Vamos a matar vamos a matar compañeros
Uno dei sottofiloni più percorsi da quell’autentica galassia in espansione costituita dal western all’italiana fu la declinazione politica, sulla scorta di una serie di attualissime meditazioni di carattere decisamente sinistrorso pre e post sessantottesche. Incominciano a farsi strada anche (o forse soprattutto) nel cinema i fermenti vivi di alcune istanze che mescolavano, il più delle volte in maniera assai ardita, filosofie terzomondiste a presunti principi rivoluzionari di matrice pseudo-maoista. Sotto questo profilo lo spaghetti-western funzionò da efficace discorso allegorico il cui testo avrebbe potuto metaforizzare sottotraccia (ma non troppo) gli esiti di un accesissimo dibattito politico che proprio in quel determinato contesto storico si andava consumando. Furono molti infatti i cosiddetti auteurs engagè ad approfittare delle potenzialità offerte da questo genere cinematografico misurandosi con canovacci magari ingenui ed istintivi (ad esempio il Lizzani di Requiescant, tanto per dirne uno), ma che veicolassero un chiaro messaggio di natura politica. Fu così che dal Damiani di Quien sabe? al Pontecorvo di Queimada, dal Sollima di Faccia a faccia al Leone di Giù la testa il western italico conobbe una prolungata fase attraversata da afflati di manifesta passione per la digressione politica (senza escludere episodi di strumentalità nuda e cruda). Anche Sergio Corbucci fece coesistere nel suo cinema virato al western al coté più oscuro e crepuscolare (Django, Il grande silenzio) una componente specificamente politica esemplificata in una sorta di “trilogia della rivoluzione” con Il mercenario, Vamos a matar compañeros e, idealmente, Che centriamo noi con la rivoluzione? (capitombolo parodico a tutti gli effetti). Gli stilemi di questo western politico sono, con pochissime ed esili varianti, praticamente sempre gli stessi, con qualche povero peones messicano scalcagnato che con l’aiuto del “gringo” di turno diventa un capo della Rivoluzione. Il Messico, con i suoi scenari pauperisticamente polverosi e sudaticci, diviene il luogo deputato dell’azione rivoluzionaria, irrimediabilmente. Corbucci fa suoi questi clichè e li ripensa alla luce della sua poetica basata su una fertile dialettica di azione e pensiero, dinamismo delle forme e degli oggetti e introspezione psicologica, confezionando due film a incastro come i già citati Il mercenario e Vamos a matar compañeros, che (facendo perno sulle acrobazie attoriali di un grande Tomas Milian, memore del Cucillho sollimiano, di gran lunga più funzionale e funzionante di Musante) sfrutta abilmente addirittura molte situazioni del suo predecessore affidando un iperbolico e concettoso discorso sulla rivoluzione, giocato ancora una volta sulla dicotomia poco dialettica violenza-non violenza (alla riflessione sulla legittimità della violenza a fini rivoluzionari inaugurata da Corbucci risponderà positivamente Leone con la frase posta in esergo nell’incipit di Giù la testa prendendola di peso, ancora una volta, da Mao Tse-Tung) al suo maestoso senso della rappresentazione (vedasi la folgorante ouverture con il carrello che vorremmo proseguisse all’infinito sul volto e sul corpo di una Iris Berben fugens, accompagnata dalle trascinanti note morriconiane), in cui tempi e luoghi a volte si fondono altre si sfrangiano per configurare un universo fisico attraversato da un’umanità non sempre spinta dagli stessi ideali, in cui la notte della ragione genera mostri desideranti come il denaro (il mercenario svedese, il finto rivoluzionario generale Mongo Alvarez), la vendetta (il bracconiere John) e il sogno di rivoluzione, a patto che sia ad occhi aperti, come ricordava la cinica figura del polacco impersonata sempre da Franco Nero ne Il mercenario (l’idealista Xantos e El Basco).