THE HOME SONG STORIES

Anno Produzione2007

TRAMA

1964. Rose Hong, una bellissima e affascinante cantante di nightclub di Hong Kong, incontra Bill, un marinaio australiano, e decide di trasferirsi con lui in Australia, nello Stato di Victoria, insieme ai due figli Tom e May. Ma appena riesce a ottenere la cittadinanza australiana, Rose abbandona Bill e parte alla volta di Sydney, dove passa i sette anni seguenti lavorando in ristoranti cinesi e passando da una disastrosa storia d’amore all’altra.

RECENSIONI

Vincitore di 7 premi del cinema australiano, di 5 If awards, 2 Golden Horse taiwanesi e anche del premio come miglior attrice al festival di Torino: dovessimo giudicare i film in base ai premi vinti, il successo del nuovo film di Tony Ayres (arrivato cinque anni dopo l’esordio con WALKING ON WATER, anche quello ricoperto di allori in patria come nei festival) sarebbe innegabile; tanto che persino la candidatura agli Oscar nella categoria film in lingua straniera (grazie ad una nuova regola anche l’anglofona Australia potrà partecipare, in virtù del fatto che buona parte dei dialoghi sono in cinese) non pare un miraggio. Qualcosa però in questo melodramma familiare che Ayres ha diretto e sceneggiato ispirandosi a vicende autobiografiche non è ben messo a fuoco, tant’è che anche la partecipazione dello spettatore a poco a poco si perde.
Al centro della vicenda c’è Rose (la sempre meravigliosa Joan Chen in un ruolo che ne magnifica fascino e talento), un’irrequieta cantante di Hong Kong dal cuore ballerino che si trasferisce in Australia a seguito di un marinaio, portandosi dietro due figli, un maschio e una femmina (gli esordienti Joel Lok e Irene Chen). Trattandosi di una mamma da melodramma, non ci dobbiamo stupire se Rose, oltre che dalla bellezza, è caratterizzata da una tendenza a scegliersi i partner sbagliati (cosa di per sé abbastanza inverosimile poiché si tratta di Joan Chen, ma funzionale alla vicenda), una propensione per le “scene madri” e l’abitudine di esercitare un fascino nocivo sui due rampolli, i quali restano legatissimi a mammà, pur intuendo che qualcosa non quadra. Il matrimonio col bonario marinaio naufraga rapidamente e la nostra, sempre sotto lo sguardo dei figli, passa da un uomo all’altro fino a quando non s’innamora del giovane e volubile Joe (l’emergente Yuwu Qi) e saranno guai per tutti…
Film autobiografico si diceva, appunto perché il personaggio di Rose richiama la madre del regista (i titoli di coda sono assai indicativi in questo); ma se l’io narrante della vicenda è il figlio che, una volta cresciuto, decide, in qualità di scrittore (quindi dichiarato alter ego del regista, nonostante il cambiamento di medium), di raccontare la propria vicenda familiare, un passaggio chiave del film è giocato dalla sorella, che diventa depositaria del più doloroso ricordo della genitrice. Forse è questo spostamento di punti di vista che alla fine fa perdere al film una certa lucidità, oltre a situazioni troppo risapute.
Dichiarazione d’amore verso la famiglia, ma anche verso il cinema, come si evince non solo dalle caratterizzazioni dei personaggi, dichiaratamente debitrici del melò cantonese, in varie sue declinazioni, ma anche dai siparietti che mettono in scena i sogni ad occhi aperti del ragazzino…sogni nutriti a base di Shaw Brothers ed in generale del cinema dell’ex colonia britannica.