TRAMA
La relazione fra Osvaldo Valenti e Luisa Ferida, dai fasti di regime alla fucilazione a opera dei partigiani._x000D_
RECENSIONI
Il prologo in bianco e azzurrino, così compiaciuto nel riferimento rosselliniano, detta il tono dell'intero film: Sanguepazzo è, a dispetto del titolo, una fiction (cfr. il minutaggio, letale al cinema ma perfetto per due prime serate) levigata e impomatata, magnificamente ammobiliata e tragicamente priva di vitalità.
Tolto l'apprezzabile sforzo di andare oltre il dato biografico (inventando la figura del regista Golfiero, hemingwayano terzo polo della relazione Valenti-Ferida) e di movimentare il plot tramite flashback che ne sottolineano gli echi (la morte di Golfiero e la sua fugace apparizione a Venezia; l'anello estorto dal gerarca e il dono che Luisa offre alla giovane carceriera), nulla rimane da rilevare in una sceneggiatura che sa di telenovela assai poco meditata (si consideri il dialogo fra Luisa e Golfiero in procinto di partire per il confino: chi avrebbe osato, sia pure facendosi forte della personale frequentazione, riferirsi ai coniugi Ciano come Edda e Galeazzo? e in pubblico, per giunta) e che unisce maldestramente pigro didascalismo (20 aprile 1945, cinque giorni prima della Liberazione: sic) e discutibili ammiccamenti (il dialogo sulla lavorazione di Roma città aperta).
Quanto alla regia come direzione di attori, ne troviamo traccia solo nell'interpretazione di Zingaretti (perfetto nell'evocare un Valenti viscido e fragile, uomo di scorta e Divo di seconda scelta) e in parte in quella di Diberti, limitandosi gli altri a pronunciare le loro battute e a non stonare con le tende. Differente il caso della Bellucci, che della Ferida ha la procacità ruspante e null'altro (e ha, al solito, una voce che sarebbe carità doppiare in ogni circostanza). Nel complesso, Giordana propone un compitino ben svolto e confezionato con una certa eleganza (la plongée sulla Bellucci in abito rosso non stonerebbe nella nuova campagna Chanel, così come l'immagine delle fiale frantumate da Valenti), in cui i deragliamenti nel grottesco sono così manierati (immagini distorte, sagome nel buio, illuminazione antinaturalistica) da risultare piacevolmente innocui. Il classico film che si dimentica mentre lo si sta guardando.
Dimenticavo: la parentesi saffica di cui tanto si è mormorato è un bluff.