TRAMA
Rocco Siffredi gira il suo ultimo film porno, guarda indietro e si racconta.
RECENSIONI
Prima inquadratura: il membro. Incipit naturale, ma anche dichiarazione teorica sulla sostanza di ciò che vediamo: Rocco non è un film su Rocco Siffredi né sul porno, ma sul racconto di sé. Col primo piano del pene siamo già nel territorio di come si vuole apparire. Siffredi auto-scrive se stesso. Nelle mani dei registi Thierry Demaizière e Alban Teurlai, la più nota pornostar globale espone la sua esperienza: dallinfanzia alla scoperta del sesso, dallessenza del lavoro allarrivo del successo, dal rapporto con la madre allincontro con la moglie, passando per la nascita dei figli, il punto di vista soggettivizza integralmente su di lui e non concede controcampo. «Avevo il diavolo in mezzo alle gambe», dice Rocco, costruendo il suo mito a nostro uso. E attenzione: il ricorso alla vita privata, lo squadernamento dellintimo finge solo di decostruire licona, spogliarla al nostro sguardo, ma in realtà la conferma. E sempre la sua visione che il pornoattore consegna, una scrittura di sé costruita a tavolino e attentamente ricamata: emerge il ritratto di un uomo che col sesso si esprime a più livelli, rendendolo lavoro e usandolo come mezzo espressivo delle emozioni, tipo il dolore del lutto materno, assurto alla fama per addomesticare il suo demone, assediato dal sesso, autoeletto Henry Miller di oggi, vittima consapevole di un maledettismo. Il titolo/nome è tuttaltro che la segnalazione di un affresco oggettivo, quindi, ma al contrario annuncia la concessione del microfono, ci spiega chi è colui che racconta: la versione di Rocco.
Demaizière e Teurlai sono molto lontani, per esempio, dalloperazione condotta da Andrew Haigh nello splendido Greek Pete: se lì si seguiva spontaneamente il prostituto del titolo, pedinando la sua vita (e i suoi film) con naturale durezza, qui domina lartefatto, il come sembrare, la costruzione sfacciata. Ed è tutto lecito perché, i registi lo sanno, la pornografia è spettacolo e da sempre metafora del cinema: inevitabile che preveda una messa in scena. Registrata la posa, poi, dietro la retorica del mito e la recita perenne di questi attori cè la parte più rilevante, che paradossalmente sta nelle schegge impazzite, i frammenti che sfuggono, i dettagli non riconciliati: Rocco conforta unattrice stremata da troppo lavoro, delle lacrime si formano sul volto di una giovane durante unesibizione. Il porno è (anche) fatica e dolore, un lato qui appena sfiorato per preferire la mitologia intorno: limmagine è tutto sommato rassicurante, le stelle dellhard sono pionieri e già leggendari in vita, hanno fatto qualcosa di importante. Il momento decisivo arriva però nella piega finale, ovvero la ricostruzione dellultimo film girato da Siffredi come attore: egli convince al ritorno in scena Kelly Stafford, riunendo la coppia protagonista di alcuni maggiori classici del porno di sempre, come When Rocco Meats Kelly (in italiano Quando Rocco incontra Kelly, 1998). A quel punto la grottesca crocifissione rosa finale, lallestimento di Rocco/Gesù sulla croce schiaffeggiato da Kelly che si vendica per le donne e lo domina, arriva a suggellare questo mondo di plastica, nientaltro che lofferta di un venditore (lindustria) a un compratore (il pubblico). E si realizza che il protagonista segreto di Rocco è Gabriele Galetta, cugino di Siffredi, ex attore inadeguato e soprattutto regista frustrato che vuole scrivere una storia («Ma quando si scopa?», risponde Rocco). E la figura chiave, che nellesplosione di rabbia in strada attesta unimpotenza: limpossibilità di imbastire un intreccio, di uscire dallautomatismo, nellobbligo di fornire il coito pop nel più breve tempo possibile. Il lampo di verità decreta il fallimento del mito. E Rocco crocifisso è talmente kitsch, nel suo porno sacro definitivo, che certifica una felice sconfitta: alla fine si brinda al mondo/set, al racconto come alternativa alla realtà, al tentativo di autocelebrarsi per dimenticare la propria collocazione commerciale sul retro delle edicole.