Documentario, Sala

ROCCO

Titolo OriginaleRocco
NazioneFrancia
Anno Produzione2016
Durata107'
Fotografia
Montaggio
Musiche

TRAMA

Rocco Siffredi gira il suo ultimo film porno, guarda indietro e si racconta.

RECENSIONI


Prima inquadratura: il membro. Incipit naturale, ma anche dichiarazione teorica sulla sostanza di ciò che vediamo: Rocco non è un film su Rocco Siffredi né sul porno, ma sul racconto di sé. Col primo piano del pene siamo già nel territorio di come si vuole apparire. Siffredi auto-scrive se stesso. Nelle mani dei registi Thierry Demaizière e Alban Teurlai, la più nota pornostar globale espone la sua esperienza: dall’infanzia alla scoperta del sesso, dall’essenza del lavoro all’arrivo del successo, dal rapporto con la madre all’incontro con la moglie, passando per la nascita dei figli, il punto di vista soggettivizza integralmente su di lui e non concede controcampo. «Avevo il diavolo in mezzo alle gambe», dice Rocco, costruendo il suo mito a nostro uso. E attenzione: il ricorso alla vita privata, lo squadernamento dell’intimo finge solo di decostruire l’icona, spogliarla al nostro sguardo, ma in realtà la conferma. E’ sempre la sua visione che il pornoattore consegna, una scrittura di sé costruita a tavolino e attentamente ricamata: emerge il ritratto di un uomo che col sesso si esprime a più livelli, rendendolo lavoro e usandolo come mezzo espressivo delle emozioni, tipo il dolore del lutto materno, assurto alla fama per addomesticare il suo demone, assediato dal sesso, autoeletto Henry Miller di oggi, vittima consapevole di un maledettismo. Il titolo/nome è tutt’altro che la segnalazione di un affresco oggettivo, quindi, ma al contrario annuncia la concessione del microfono, ci spiega chi è colui che racconta: la versione di Rocco.


Demaizière e Teurlai sono molto lontani, per esempio, dall’operazione condotta da Andrew Haigh nello splendido Greek Pete: se lì si seguiva spontaneamente il prostituto del titolo, pedinando la sua vita (e i suoi film) con naturale durezza, qui domina l’artefatto, il come sembrare, la costruzione sfacciata. Ed è tutto lecito perché, i registi lo sanno, la pornografia è spettacolo e da sempre metafora del cinema: inevitabile che preveda una messa in scena. Registrata la posa, poi, dietro la retorica del mito e la recita perenne di questi attori c’è la parte più rilevante, che paradossalmente sta nelle schegge impazzite, i frammenti che sfuggono, i dettagli non riconciliati: Rocco conforta un’attrice stremata da troppo lavoro, delle lacrime si formano sul volto di una giovane durante un’esibizione. Il porno è (anche) fatica e dolore, un lato qui appena sfiorato per preferire la mitologia intorno: l’immagine è tutto sommato rassicurante, le stelle dell’hard sono pionieri e già leggendari in vita, hanno fatto qualcosa di “importante”. Il momento decisivo arriva però nella piega finale, ovvero la ricostruzione dell’ultimo film girato da Siffredi come attore: egli convince al ritorno in scena Kelly Stafford, riunendo la coppia protagonista di alcuni maggiori classici del porno di sempre, come When Rocco Meats Kelly (in italiano Quando Rocco incontra Kelly, 1998). A quel punto la grottesca “crocifissione rosa” finale, l’allestimento di Rocco/Gesù sulla croce schiaffeggiato da Kelly che si “vendica” per le donne e lo domina, arriva a suggellare questo mondo di plastica, nient’altro che l’offerta di un venditore (l’industria) a un compratore (il pubblico). E si realizza che il protagonista segreto di Rocco è Gabriele Galetta, cugino di Siffredi, ex attore inadeguato e soprattutto regista frustrato che vuole scrivere una storia («Ma quando si scopa?», risponde Rocco). E’ la figura chiave, che nell’esplosione di rabbia in strada attesta un’impotenza: l’impossibilità di imbastire un intreccio, di uscire dall’automatismo, nell’obbligo di fornire il coito pop nel più breve tempo possibile. Il lampo di verità decreta il fallimento del mito. E Rocco crocifisso è talmente kitsch, nel suo porno sacro definitivo, che certifica una felice sconfitta: alla fine si brinda al mondo/set, al racconto come alternativa alla realtà, al tentativo di autocelebrarsi per dimenticare la propria collocazione commerciale sul retro delle edicole.