TRAMA
Ritorna la storia delle sorelle Bennet, del ricco scapolo Bingley, del suo amico Darcy. Ritornano gli orgogli caparbi e i facili pregiudizi, l’amore e il calcolo nell’incrocio, casuale e/o cercato, tra ceti diversi.
RECENSIONI
Per quanto si abusi delle trasposizioni tratte dai romanzi di Jane Austen (è solo dell'anno scorso la non disprezzabile versione 'bollywoodiana' della Chada di questo medesimo libro), trarne dei film interessanti non è affatto semplice stante nella parola della scrittrice, e nella sua capacità di caratterizzare i personaggi e le loro relazioni, e non certo negli avvenimenti narrati o negli intrecci, la caratteristica principe delle sue opere; queste si svolgono, infatti, in un microcosmo asfissiante, un ambiente sociale blindato, costretto a una serie di dinamiche rigide e, almeno ad un occhio cinematografico, alquanto ripetitive. Il debutto alla regia di Wright, da questo punto di vista, azzarda più di qualcosa conservando in pieno il senso e l'apparato del capolavoro austeniano, dandoli quasi per scontati, ma evitando facili leccature, lasciando la sporcizia dove deve stare (è il Settecento e siamo nella campagna inglese, perdinci), cerca di evitare il solito esercizio calligrafico ed esteriore, ambendo a far emergere la sottigliezza del discorso (serissimo) che il libro sottende facendo uso in primis del linguaggio cinematografico. Ecco allora che la macchina da presa, usata a spalla per lo più, asseconda i giochi relazionali in modo intelligente e, a tratti, decisamente suggestivo (il ricevimento in casa Bingley) facendo dei personaggi le figure di un balletto meccanico i cui ingranaggi sociali sembrano procedere con impassibile inesorabilità (un procedimento simile lo aveva seguito Roger Michell in quello che è, tra gli ultimi, il miglior adattamento austeniano: Persuasione), sottolineando dettagli, evidenziando i piani e le prospettive in cui le figure si collocano, non solo in senso spaziale ma anche narrativo. E se l'orgoglio e il pregiudizio, prima di essere personali, sono di classe, si comprende come la storia della passione, seppellita a forza nell'animo dalla pressione di un tacito quanto opprimente benpensare, soffocata da snobismi e indifferenze posticci, sia d'amore fino a un certo punto, entrando in gioco tutta la complessità di una congiuntura storica in cui molte donne di media estrazione lottavano per la sopravvivenza e in cui il dato economico diventava giocoforza il vero cemento delle unioni.
La sceneggiatura disegna mirabilmente le due figure protagoniste: Keira Knightley, prima ancora della specifica Liz Bennett, è perfetta incarnazione dell'eroina austeniana così come adeguato sembra il disegno in minore di Darcy tracciato dalla sceneggiatrice Deborah Moggach, che lo raffigura, aspetto inedito ma decisamente in tono, come una sorta di altoborghese vittima sacrificale del fascino dell'indipendente fanciulla.
Certo, rimangono gli scorci brillanti (da sempre la madre ruffiana e petulante e il padre saggio e rassicurante, così come il cugino Collins o la terribile Mrs. DeBurgh sembrano inventati apposta per il grande schermo) sul quale l'autore scivola con troppa facilità, qualche sbavatura qui e là (soprattutto nellultima parte) ma è pregevole il rigore col quale il regista riesce, per gran parte del film, a rendere le sfumature (anche sentimentali, rimanendo il sesso in filigrana costante) della storia e la sorniona ironia con la quale riproduce gli inevitabili stereotipi ad essa legati.
Molto bravi tutti gli interpreti (peccato per l'ovvia scelta della Dench: oramai quando c'è bisogno della madama arcigna si guarda alla sua agenda, in questo caso aveva solo un paio di giorni liberi, e si vede) massacrati dal solito, incivile doppiaggio.
