TRAMA
La giovane scrittrice Jennifer Hill si trasferisce in campagna per terminare il suo romanzo ma invece della pace naturale del luogo campestre troverà prima l’orrore di un gruppo di ragazzi che la stuprano e la seviziano nella più cruda delle maniere e poi l’acre sapore della volontà di vendetta.
RECENSIONI
Nonostante la pellicola (del ’78) si rifacesse esplicitamente a una solida tradizione cinematografica che aveva osservato una cospicua proliferazione di opere un po’ a tutte le latitudini, da quelle più seminali come L’ultima casa a sinistra di Craven a Cane di paglia di Peckinpah, a quelle un po’ meno conosciute come Axe di Frederick R. Friedel, Exposé dell’inglese James Kenelm Clark, il canadese Un violento weekend di terrore, lo svedese Thriller dell’eccentrico Bo Arne Vibenius, fino a quelle, fortunatissime, di italica produzione come lo stupefacente L’ultimo treno della notte di Lado (che rinviene ne La fontana della vergine di Bergman, madre di tutti i Rape & Revenge, la stessa matrice del film di Craven), La settima donna di Prosperi, anticipatrice in un certo senso del ferrariano L’angelo della vendetta, Autostop rosso sangue di Pasquale Festa Campanile giungendo all’epigone costituita da La ragazza del vagone letto di Baldi, Madness – Vacanze per un massacro di Di Leo e La casa sperduta nel parco di Deodato in cui l’attore David Hess in qualche modo va a chiudere quel cerchio che aveva “scabrosamente” aperto con The last House on the left, incontrò il fervore di un’agguerritissima campagna moralizzatrice (se non una vera e propria crociata) condotta da critici statunitensi del calibro di Gene Siskel e Roger Ebert che ne boicottarono attraverso tenaci opposizioni mediatiche e giudizi infamanti sull’opera distribuzione e diffusione. In realtà I spit on your Grave (titolo riveduto e corretto dal distributore Jerry Gross nel 1981 che sostituì l’infelice Day of the Woman) se davvero riesce a spingersi oltre a opere fondamentali come L’ultima casa a sinistra non è tanto per la crudeltà della messa in scena e, dunque, per una esibita volontà di scioccare lo spettatore attraverso insensati rituali di violenza visiva, quasi si dovesse gareggiare in un’ipotetica e presunta corsa all’insostenibilità del vedere, bensì, come nota acutamente Roberto Curti (Nocturno Dossier n° 4, Sesso e violenza – Il cinema della vendetta, pag. 14), per aver innescato una riflessione di secondo grado su tutto ciò, ovvero per aver tentato in termini metalinguistici non già di trovare una giustificazione antropologicamente spiccia che garantisse una linea di continuità estetica con il gore e l’exploitation espressi nella prima terrificante parte del film, ma di reinscenare, non senza forti dosi di sarcasmo, in chiave psicanalitica il fantasma del desiderio di vendetta (e soprattutto di castrazione), il delirio visionario che conducesse all’esatto contrario la portata crudamente realistica dell’assunto (le barbare esecuzioni sul corpo femminile e lo sguardo voyeuristicamente complice dello spettatore coinvolto nel gioco) attraverso l’elemento cinematografico stesso, un nuovo racconto che rinarrasse tramite lo schermo tutta la vicenda compreso il suo epilogo, fatto di adescamenti lascivi e improbabili atti nemesiaci, con altri occhi, quelli di Jennifer, novella terrifica erinne (la prima cosa che fa Jennifer - la bellissima Camille Keaton già protagonista di pellicole anche nostrane come Cosa avete fatto a Solange?, Il sesso della strega etc. - dopo l’orrore subito è ricomporre i pezzi del suo romanzo che dovrà ora raccontare cinematograficamente tutta la banalità del male), riprobematizzando altresì il posizionamento di chi guarda.
