TRAMA
Hagen vuole riportare in vita la moglie morta. Travis ha perso il fratello e vuole riunirsi a lui. Morbius, un barista tradito da coloro che ha amato, torna dalla morte per vendicarsi.
RECENSIONI
Quando il prologo di un horror tedia non è un buon segno. È quello che accade nell'ultima opera di Pearry Reginald Teo, nato a Singapore ma con una fama di nicchia nell'underground newyorchese. Le intenzioni sono alte: ammantare i brividi di risvolti filosofici, cercando risposte all'orrore del quotidiano indagando l’ultraterreno. Atmosfere molto affini all'universo cupo e sanguinario di Clive Barker incorniciano tre differenti raccordi narrativi, in cui tre personaggi si mantengono in bilico tra la vita e la morte con finalità diverse: c'è chi vorrebbe vendicarsi dei torti subiti e chi non accetta la perdita degli affetti e affronta l'aldilà sperando di poter riabbracciare chi è precocemente scomparso (per uno la compagna, per l’altro il fratello apparentemente suicida).
La sceneggiatura si svolge, o accartoccia a seconda dei gusti, a matrioska, con incastri successivi che finiscono per comporre un quadro via via più chiaro, mai però davvero risolutivo. Se l'insieme vacilla, pur nel tentativo di conferire solidità all'impianto, è a causa di un accumulo non sempre convincente, a tratti eccessivamente verboso, ma soprattutto debitore di un immaginario arci-noto. Per quanto riguarda la resa visiva, esagerati gli ammiccamenti al videoclip, con uno sfoggio di stile troppo derivativo per sottintendere personalità. Se è poi vero che è nel corso del film che si comprendono dinamiche e legami tra i personaggi, la conclusione arriva senza aggiungere granché, generando, anzi, una sensazione di incompiutezza.
Ad affascinare, più della visione globale cedevole, sono quindi singoli momenti: l'idea di un mondo in cui la televisione, più che essere guardata passivamente, è lei stessa che osserva e condiziona il malleabile spettatore; il disturbante Mr. Skinny, che induce al suicidio il giovane fratello handicappato del protagonista; il torture-porn inflitto con compiacenza; l'inferno come grande cantina dell'anima. Ma sono, appunto, momenti, che la mancanza di organicità di regia e sceneggiatura lascia vagare in cerca di appigli comunicativi o, perlomeno, perturbanti.
