TRAMA
1969: Elliot Tiber, per aiutare i genitori in cattive acque finanziarie con il loro motel, approfitta della propria carica di presidente della Camera di Commercio di Bethel, New York, per accogliere in paese il disapprovato festival hippy di Woodstock.
RECENSIONI
Da sempre cantore della tolleranza a tutto campo con un cinema placido e armonico (ma non a-problematico), Ang Lee mette in scena il “dietro le quinte” del festival rock che poteva cambiare il Mondo con la Trinità di Pace, Amore e Musica: in rari ma ispirati passaggi riesce a evocarne la carica rivoluzionaria, e non solo perché replica pedissequamente gli stilemi del noto documentario di Michael Wadleigh (split screen, macchina a mano, scene simili). Il suo, però, è sempre un cinema di antipasti, per “parafrasare” Mangiare Bere Uomo Donna: quest’opera, volutamente focalizzata sulla periferia dell’evento, è come Elliot (ottimo Demetri Martin), che invano tenta più volte di raggiungere il “centro dell’Universo” (il palco). Dopo una spassosa fase preparatoria in commedia, con colori pastello, contrasti esemplificativi (fra atti “osceni” della contestazione giovanile e reazioni allibite/violente dei tradizionalisti), caratteri buffi (la madre avida e scorbutica, il padre rassegnato e poi intraprendente) o (troppo) sopra le righe (il reduce di Hirsch, il travestito di Schreiber, il sovrumano cherubino serafico di Groff), Lee travolge lo spettatore con l’energia positiva di quest’ondata di giovani: con una sintetica carrellata in moto della polizia, ne mostra i tòpoi fra costumi, battaglie e motti che ancora accendono gli animi; poi somministra un acido per aprire mente e cuore a comunione e generosità; infine arriva allo zenith con la splendida sequenza onirica della moltitudine che diventa oceano e materia stellare in olistica sintonia. Cioè, al di là dell’insistita e forzata tematica omosessuale cui l’autore non vuole rinunciare, l’opera raggiunge una Perfezione che, però, implode e torna a guardarsi l’ombelico, il tanto amato conflitto familiare/generazionale fra tradizione e modernità, e non c’è la catarsi voluta nel parallelo fra festival che libera l’uomo e libertà del protagonista dal giogo parentale.