Commedia, Sala

MOSSE VINCENTI

Titolo OriginaleWin Win
NazioneUsa
Anno Produzione2011
Genere
Durata106'
Sceneggiatura
Montaggio
Scenografia

TRAMA

New Jersey. Mike Flaherty di giorno fa l’avvocato in uno studio tutt’altro che accomodante, di sera allena un team di giovani lottatori mai vincitore nelle competizioni distrettuali. Per far fronte alle numerose difficoltà economiche diventa tutor di un suo vecchio cliente affetto da demenza senile, rinchiudendolo in un ospizio per poter usufruire liberamente dei contributi assistenziali. Un giorno arriva Kyle, il nipote dell’anziano, che viene accolto nella casa di Mike e si rivela un ex campione di lotta libera.

RECENSIONI


Che il (presunto) cinema indie stelle&strisce, confinato nell'apatia sonnolenta della provincia, prediliga la disfunzione famigliare e/o sociale l'avevamo capito da molto tempo.
Personaggi tutti patologicamente inadeguati con le loro fisime e aspettative disattese confezionano un confronto generazionale dove ai più grandi serve maggior realismo e responsabilità, mentre ai più piccoli dei punti di riferimento che non li obblighino a mascherarsi forzatamente da adulti.  McCarthy rassicura un mondo egoistico, problematico e fallimentare con un insieme di sani conflitti ed edificanti prese di coscienza, piccoli affanni che vorrebbero sdoganare l'ennesima accettazione dei propri limiti (e quelli di un Paese), ribadendo che spesso non si può scappare dalla realtà, il vero ring, anche a costo di finire al tappeto per crescere e integrarsi tutti insieme.


Una retorica che ammorbidisce il dramma con la complicità nevrotica della commedia, sostenuta da un album di figurine mediocri, ognuna con il suo tic caratteriale e limite da non condannare, protette da uno sguardo che ne mostra il disagio, rimanendo a suo modo compassionevole, ma mai superando la patina di una rappresentazione così scontata e fragilmente epidermica, costellata da situazioni tipo di profondità bozzettistica e ben presto pronte al collasso in ogni futile tentativo di dare spessore all'emergere della crisi fino a quel momento sottointesa dalla falsa scala di valori del protagonista (si veda il litigio tra Mike e Kyle).
Surrogato dell'affanno borghese di questi tempi, Mike rimane ancora incollato all'utopico schema del Sogno Americano non lasciandosi sfuggire, per capriccio quasi adolescenziale, una forzata rapacità opportunistica tipica del self made man. Un ruolo finto e un po' datato rimbalzerà in una trasognato riconoscimento comunitario ed extrafamigliare, unico vero antidoto a un'esistenza che solo nella morale condivisa può far uscire tutti vincitori, Win win per l'appunto.
Non ci si può più affidare allo sport, seconda chance per eccellenza di un intero immaginario nazionale, declassato a truffaldina via di fuga per la gloria personale e ad evasione dai problemi concreti, palliativo di una nerditudine (il gruppo perdente dei giovani lottatori) verso la quale si è insofferenti e si cerca invano di superare, pur facendone parte integrante (l'evidente profilo comportamentale dei tre allenatori). E proprio nell'insopportabile macchiettismo del ritratto del giovane Kyle che la vicenda trova una corretta coscienza di come l'insoddisfazione del vivere sia direttamente proporzionale alla non accettazione di se stessi e della propria condizione. Peccato che il nonno "internato" nell'ospizio ci strizzava l'occhio fin dai titoli di testa.