Grottesco

ME TOO

  • 37328
Titolo OriginaleJa Tozhe Hochu
NazioneRussia
Anno Produzione2012
Genere
Durata83'
Sceneggiatura
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Fotografia
  • 37329

TRAMA

Il bandito, il musicista, Matvej, il suo anziano padre e una prostituta cercano il Campanile della felicità. Il mitico monumento, si dice, può farli “scomparire” e risollevare le loro vite.

RECENSIONI


Non c’è felicità nella Russia oggi, solo la chimera di un campanile magico può concederla: inizia allora la pursuit of happiness di cinque personaggi, ognuno rappresentativo di una diversa età, genere o stato esistenziale. Segnati dal vuoto affettivo e valoriale contemporaneo, e frustrati dalla povertà diffusa che è il vero dato politico, gli infelici vagano come metafora della società post-sovietica: alla ricerca di un’ipotesi che forse non c’è, un mito vagheggiato preferibile al presente. Non a caso dal titolo (Ja Tozhe Hochu: “Anche io”) la condizione invalidante supera i caratteri/topoi della storia specifica e si estende allo Stato: tutti vogliono la felicità, nessuno intende restare escluso dal “miracolo”. Aleksei Balabanov si dilunga in una tranche introduttiva, nella prima parte del film, dove si incontrano i personaggi, che si conclude con la fuga del padre di Matvej dall’ospedale (risolta in un notevole piano sequenza): poi parte il centrale road movie del quintetto, infine l’arrivo al campanile coincide con la virata sci-fi, che rispettando la premessa surreale disegna la conclusione naturale della parabola.
Il lungometraggio sposa il tono del grottesco, spesso calcolato (la prostituta che corre nella neve), per ottenere una commedia dell’assurdo cucita sul paradosso e sulla battuta (“La vita è bella se stai bene, poi male, poi ancora bene”). Tra Beckett e Gogol per l’ironia/parodia di stampo umanista, Ja Tozhe Hochu mantiene un riferimento tarkovskijano costante, Stalker (anche il Campanile è una “stanza che ti darà quello che vuoi”), e insinua un’ombra di Kusturica nell’impasto post-comunista di disperazione e speranza: ma Balabanov è più amaro e beffardo, la grazia sognata si avvita nel nulla. In fondo il regista racconta la stessa storia di Cargo 200: dalle perversioni di epoca sovietica (quel film era ambientato nel 1984) al vuoto pneumatico attuale, gli ultimi trent’anni non sono mai passati. La violenza infondata del poliziotto Zurhov e l’illusione del Campanile sono due facce della stessa medaglia, ovvero la paralisi di un Paese.