TRAMA
Il contrastato amore fra una cantante di night e un legionario.
RECENSIONI
Sfondi esotici, personaggi bidimensionali (stimo per eccesso), gesti caricati, frasario e fraseggio d’impossibile, caramellosa e magnifica idiozia: partendo da un romanzetto di Benno Vigny, regista e sceneggiatore (Jules Furthman, la stupidità dei cui dialoghi non è che un’allucinazione, una scintillante vernice che s/copre una decisiva capacità di arrivare al cuore nero dei caratteri unita a un sapido gusto del ridicolo – esemplare, in questo senso, la scena del fidanzamento –) distillano un melodramma raggelante e spudorato, implacabile e olimpicamente distaccato (dal verosimile come dal tritume rosa pallido) al pari della sua magnetica protagonista. Carmen del deserto, seduttrice ambiguamente altera e accortamente sorniona [indimenticabile la sequenza del night, fra suggestioni lesbiche e irreprensibili note (non solo) musicali], Marlene Dietrich è catalizzatore e compendio di un film di ammirevole essenzialità e cupezza suicida, il cui spirito totalmente disilluso e ammantato di grottesco (il filo di perle in frantumi, i pupazzi coniugali) non è contraddetto ma confermato da un epilogo d’immensa forza onirica ed erotica (l’architettura moresca che incornicia la partenza del reggimento, il feticismo mistico con cui la macchina da presa accarezza i piedi dell’eroina, la totale, infinita indefinitezza dell’inquadratura conclusiva, immersa nel vento e nella sabbia). In un quadro sconcertante quanto elegante, il solo tratto infelice è Gary Cooper, tanto a disagio da risultare costantemente sull’orlo del comico involontario; molto meglio il suo antagonista e alter ego Adolphe Menjou.
