Drammatico, Storico

MAGNIFICAT

TRAMA

Alto Medioevo (926 d.C.), durante la Settimana Liturgica della Passione di Cristo: una bambina in monastero, un apprendista boia, un neo-investito cavaliere, le superstizioni, la fede, le violenze.

RECENSIONI

Una manciata di storie per raccontare la mentalità di un’epoca intrisa, nei costumi, nei vissuti comuni e nelle coscienze, di una religiosità che andava a braccetto con la barbarie, di una fede nell’aldilà ancorata a riti dal sapore pagano, a superstizioni, ad accettazioni a-critiche delle tradizioni ataviche, più che espressione del cuore o di una libera scelta. Una voce fuori campo (di Nando Gazzolo) canta amaramente questo Magnificat e lo scorcio di tale Storia Umana porta, immancabilmente, ad un faccia-a-faccia con le conquiste sociali e culturali del presente, distante anni luce. Quella che vediamo e “non riconosciamo” è un’agghiacciante crudeltà (mai cruda o strumentalizzata da parte del regista), una realtà angosciante, nel momento in cui sappiamo contenere le radici del futuro e i semi dell’essere umano: nei limiti del possibile, Avati riesce anche ad evocare la poesia e il buono del quotidiano, gli attimi che hanno in essere le potenzialità per migliorare il pensiero e lo stile di vita, verso una giustizia universale. Chi può dire se siamo più schiavi oggi del nostro corpo (tanto vezzeggiato) che allora (così deprecato, di nessun valore per Leggi, Etica comportamentale e Chiesa)? Pellicola magica nel modo in cui induce a riflettere con uno stile che non si ferma all’affascinante ricostruzione storica (girata in Umbria) o drammaturgica, né mostra palesi trame retoriche per fare un rapporto critico fra i Tempi: è un po’ di tutto questo senza sottolineature, indirettamente e in modo sussurrato.