Drammatico

LABBRA PROIBITE

TRAMA

annes. A causa di un incidente stradale che provoca la morte di entrambi i genitori, Thérèse è costretta ad abbandonare il convento per occuparsi della cartiera di famiglia e della sorella minore Denise. La storia di Thérèse e Denise si interseca con quella di Max, meccanico-playboy che seduce donne di mezza età per derubarle. Durante una consegna di carta da lettere, infatti, l’ingenua Denise si imbatte casualmente in Max, che abusa di lei senza preoccuparsi delle conseguenze. Denise tenta il suicidio gettandosi in mare, ma una volta fuori pericolo rivela tutto aThérèse, che, inferocita, raggiunge Max e lo obbliga a chiedere la mano della sorella. Egli accetta a malincuore ma finisce con l’innamorarsi proprio di Thérèse, esortandola a fuggire a Tangeri insieme a lui. Lei dapprima rifiuta l’invito, ma il giorno dopo, spedita Denise nella casa di montagna insieme ai nonni, prende il treno per Marsiglia, luogo dell’appuntamento con Max. Questi, venuto a sapere della partenza di Thérèse, festeggia con la cameriera di un ristorante e, per darle un ultimo bacio, rischia di perdere il treno. Costretto ad attraversare i binari di corsa, inciampa sulle rotaie e finisce sotto la motrice perdendo la vita. Thérèse, dopo aver pensato al futuro della sorella, tornerà in convento.

RECENSIONI

Rabbia, frustrazione, disperazione: sono questi i sentimenti provati da Melville negli anni successivi all’uscita del suo secondo film: la struggente sobrietà e la strepitosa inventiva de Le silence de la mer e de Les enfants terribles non hanno fatto breccia nel mondo del cinema francese, che continua a considerarlo un dilettante con velleità intellettuali. Più volte Melville si vede respinto dai produttori a causa della sua reputazione: l’accusa di essere un intellettuale gli sbarra letteralmente la strada, condannandolo ad una marginalità tanto sgradevole quanto coatta. Inoltre il giovane regista è sul punto di affrontare una spesa enorme: l’acquisto degli studi parigini di rue Jenner. Sicché, per sconfiggere la diffidenza dell’ambiente ufficiale e i problemi finanziari, Melville decide di realizzare “un film molto molto saggio, estremamente piatto. Un film ordinario e non marginale”.Sceneggiato in modo assai convenzionale da Jacques Deval e interpretato altrettanto convenzionalmente da un cast quasi interamente imposto dalla co-produzione italo-francese (si salvano soltanto Juliette Gréco nell’insolito ruolo di una religiosa prossima ai voti, lo sfuggente Daniel Cauchy e la breve apparizione in treno dell’anziana Yvonne de Bray), Quand tu liras cette lettre è in realtà un film meno anonimo di quanto le dichiarazioni dello stesso Melville facciano supporre. Ovviamente non nella sceneggiatura, costellata di clichè macroscopici e coincidenze improbabili (la sorella ingenua e fatua, il playboy parigino in trasferta a Cannes, l’incontro fortuito nella camera d’albergo…), ma nella sottigliezza della direzione degli attori e nella sicurezza dello sguardo. Melville fa miracoli con un cast ingessatissimo e condizionato da pesanti limiti linguistici: Philippe Lemaire, il protagonista maschile, è di una rigidità imbarazzante, ma soprattutto Yvonnne Sanson – reduce dai successi italiani con Lattuada e Matarazzo – non è neppure in grado di recitare un testo in francese. Ciononostante il giovane regista arricchisce le performance di tutti i suoi attori con particolari e sfumature (il modo di aggirare una macchina da parte di Lemaire, la sottrazione espressiva nell’interpretazione della Gréco, la gestualità larvatamente omoerotica di Cauchy) che compensano le lacune di sceneggiatura e recitazione. Quand tu liras cette lettre è insomma un banco di prova decisivo per l’esperienza di Melville: il regista francese ne esce straordinariamente bene, rivelandosi capace di far recitare un cast incredibilmente sconclusionato e perfezionando il suo già forte talento nella direzione degli attori.Ma è soprattutto visivamente che Melville non tiene fede al proposito di essere ordinario. L’intero film è illuminato da lampi cinematografici ben al di sopra della piattezza, a partire dalla prima inquadratura (che, semplicemente stampata al contrario, è anche l’ultima): una maestosa panoramica circolare che svela progressivamente il golfo di Cannes per fermarsi sul campanile di un convento. Sono numerosi i passaggi in cui Melville – in aperta contraddizione con il precetto della medietà – assegna addirittura allo sguardo la funzione di motore narrativo. Su tutti svetta l’episodio della dolorosa rinuncia diThérèse: la scelta di lasciare il convento per proteggere la sorella Denise e mandare avanti la cartiera familiare è risolta filmicamente attraverso due soggettive speculari che mettono in antitesi il tumultuoso disordine laico e la composta armonia della vita in convento. Due inquadrature che sintetizzano efficacemente la penosa rinuncia di Thérèse alla propria vocazione, schivando soluzioni banalmente didascaliche e spiegazioni di prammatica. L‘uso raffinato deglispecchi, delle vetrate e una profondità di campo sempre sicura e calibrata rendono infine Quand tu liras cette lettre – tradotto in italiano con un titolo irriferibile – un film da rivalutare senza esitazioni, rappresentando un’opera certamente minore nella filmografia di Jean-Pierre Melville, ma testimoniando al tempo stesso la prepotente integrità del suo stile, incontenibile anche quando tenuto parzialmente a freno. Da mandare a memoria la sequenza dell’incidente in stazione nel prefinale: semplicemente sbalorditiva per fluidità di montaggio.