Drammatico

LA VISITA

TRAMA

Pina pubblica un’inserzione matrimoniale: Adolfo, un commesso di libreria romano, è il candidato che le sembra più adatto. La giornata che quest’ultimo trascorre nel paesino della Bassa in cui vive la donna sarà, per molte ragioni, cruciale.

RECENSIONI

Pietrangeli esplora con la consueta, beffarda malinconia l'incontro (im)possibile di due solitudini: il piccolo mondo di Pina, fatto di tenerezze di seconda scelta e tormenti inespressi, entra in collisione con quello di Adolfo, pietrificato dalla grigia disperazione di un quotidiano avvilente, fonte di miseri sogni di riscatto destinati a liquefarsi nella nebbia mantovana. Attorno a loro, un bestiario umano che moltiplica e rinvia, come un pulviscolo di specchi deformanti, i dolori dei protagonisti: una ninfetta (una lolita, verrebbe da dire: il film di Kubrick risale all'anno precedente) che deride, con la sua freschezza, l'appannata bellezza di Pina; una vecchia che ne sottolinea la fragilità; lo scemo del villaggio, (neppure tanto) segretamente attratto dalla donna; un amante al tempo stesso fedele e fuggitivo, a causa del quale Pina è costretta a tradire, prima di tutto, se stessa. Come in Adua e le compagne, il macigno del passato determina una perpetua infelicità: si può occultare la verità (che viene a galla tramite un pugno di flashback), non cancellarla né rimuoverne gli effetti. Quello che più colpisce ne La visita non è tanto la squisita levità con cui vengono tratteggiati personaggi e ambienti, quanto la perfezione di un meccanismo che è comico negli stilemi (la quasi impercettibile "caduta" di Adolfo, da una macchia di fango a una sequela di disastri slapstick culminanti in una solenne ubriacatura e in una doppia umiliazione, dapprima pubblica, quindi privata; il confronto da vaudeville fra il libraio e il camionista; i campanellini di casa, molesto contrappunto alle smanie padronali del pretendente) e pienamente drammatico nei risultati, capace di esprimere lo squallore, l'imbarazzo e la delusione di un incontro mancato senza ricorrere a forzature o bamboleggiamenti. Il finale, venato di dolcissima ambiguità (un addio? un arrivederci?), è il degno coronamento di una miniatura struggente, cui apporta un contributo essenziale lo splendido cast, dominato da una Milo mai (più) così in parte.