Drammatico, Sala

LA TENEREZZA

NazioneItalia
Anno Produzione2017
Durata103'
Tratto dadall'omonimo romanzo di Lorenzo Marone
Fotografia
Montaggio
Scenografia

TRAMA

In un bel palazzo antico al centro di Napoli vive Lorenzo, che in anni lontani è stato un famoso avvocato. Ora, dopo qualche infortunio professionale, è caduto in disgrazia, per colpa di un carattere bizzarro, che lo porta più all’imbroglio che al rispetto della legge.

RECENSIONI

Amelio lo dichiara subito, in apertura del film, attraverso le parole di Elena, che fa l'interprete al tribunale e nel corso di un interrogatorio, spingendosi al di là di quanto richiestole, afferma che non ci si dovrebbe limitare a tradurre quello che una persona dice, ma bisognerebbe sforzarsi di decifrare anche il tono, il respiro, le espressioni con cui le cose vengono dette. È così che Amelio si è confrontato con le pagine di La tentazione di essere felici, il romanzo di Lorenzo Marone che ha ispirato La tenerezza.
E in maniera ancora più diretta lo ha ribadito nel suo intervento su “Film Tv”, dove, rivolgendosi direttamente all'autore del libro, scrive: «Non mi sono preso qualche libertà, caro Lorenzo, ho raccontato una storia differente dalla tua, ho scardinato il tuo Cesare e l'ho chiamato con il tuo nome, ma pensando a me stesso, che ho quasi la sua età e i suoi disagi» (un approccio al testo che ricorda, stando a quanto dichiarato dallo stesso autore, quello seguito per la realizzazione di Il primo uomo, che si rifaceva all'opera omonima di Camus: «Io ho voluto che diventasse anche la mia storia non per presunzione ma per umiltà. Ho fatto questo film per un atto d’amore»).
Lorenzo è il padre di Elena, avvocato in pensione, incattivito con gli affetti della vita che un giorno, tornando dall'ospedale dopo un periodo di degenza, conosce sul pianerottolo di casa Michela, la sua vicina appena trasferitasi a Napoli con il marito Fabio e i due figli; è rimasta chiusa fuori e lui le permette di rientrare nel suo appartamento facendola passare dal proprio: le due abitazioni, che un tempo erano parti di un'unica proprietà, hanno un terrazzo comunicante; c'è un cancello che le separa, di cui però Lorenzo possiede le chiavi.
Ancora una volta un passaggio di chiavi di casa, gesto che anche qui, come già nel film tratto da Nati due volte di Giuseppe Pontiggia, rappresenta un'apertura, una concessione all'intromissione nella sfera dell'intimità, un oltrepassamento che viene suggerito dalla presenza ricorrente di porte, di finestre da attraversate per rendere possibile un avvicinamento. Un'idea, questa, trasmessa anche per negazione, come ad esempio succede durante l'interrogatorio, ricordato in apertura, dove il vetro dietro al quale sta l'immigrato trasmette un senso d'ingombro, d'intralcio, accrescendo l'inconcludenza del colloquio.

L'apparentamento con Le chiavi di casa, che a sua volta rimanda a Il ladro di bambini, mette in evidenza uno dei temi chiavi del cinema di Amelio, quello della paternità (si pensi anche a Colpire al cuore, o a L'intrepido): siamo ancora difronte ad un padre che, nonostante le intenzioni, a causa delle controindicazioni della vita si trova a riappropiarsi del ruolo genitoriale disconosciuto («La felicità – come dirà Elena, alla fine del film, riprendendo le parole di un poeta arabo – non è una meta da raggiungere, ma una casa a cui tornare»): Lorenzo, negatosi come genitore ai propri figli (un disinnamoramento che è conseguenza di una presa d'atto d'impotenza: certo, una volta cresciuti, di non poterli più proteggere come quando erano bambini decide di disinteressarsene), lo ridiventa sia per Michela, orfana scappata di casa a sedici anni, che per Fabio, altra figura paterna incapace di adempiere alla propria funzione, come del resto lui stesso ammette; ma osservandolo emerge anche dell'altro: nel vedere come si rapporta ai giocattoli l'uomo appare in realtà ancora intrappolato nella sua fanciullezza.
Lorenzo e Fabio, sono personaggi ricorrenti nel cinema di Amelio, fatto di individui «in cerca di definizione», come riscontrato da Mauro F. Giorgio, «identità fluttuanti tra essere e dovere»; ma mentre il primo si reinventa, secondo la classica traiettoria descritta dal regista, interagendo, a proprio modo, con l'altro, il secondo invece, chiudendosi violentemente allo scambio (si pensi alla reazione che ha nei confronti dell'ambulante), soccombe schiacciato dalla frustrazione. Lorenzo però si dimostra incapace di aiutare Fabio, e a sua volta Michela, perché non va al di là delle parole, non sa interpretare, come invece Elena suggeriva di fare, tutto il non detto, di cui comunque si era fatto testimone.
A dispetto della leggerezza a cui potrebbe far pensare il titolo, Amelio confeziona un film greve, avaro di sorrisi (ma del resto le circostanze non sono favorevoli), anche quelli di Michela, così bisognosa di riceverne, mascherano un inconsolabile disperazione (Aldo Busi, forse, la racconterebbe così: «Non ha età, una trentina stagnante, pelle lucida – come strigliata dalla cera – senza sonorità, né gioie passate o presenti sfulminano sulla faccia porcellanata in un piacevole quanto perverso sorrisetto fisso; lei è schiava volontaria di un sogno al di sopra del suo sistema onirico»); l'ironia, quando trova spazio, si fa avanti corazzata da cinismo e la tenerezza sembra possibile soltanto nel momento in cui qualcuno ha il coraggio di mostrarsi inerme.