TRAMA
Ripreso a volto scoperto da una telecamera durante una rapina, Joe Moore è “bruciato” e vorrebbe fuggire lontano con la sua donna e la parte del bottino che gli spetta ma il suo committente non lo pagherà se non eseguirà anche un altro colpo preventivato.
RECENSIONI
Solita acrobazia di David Mamet, volteggio dei suoi, campionario di apparenze che si affida alla granitica scrittura, alla puntualità del meccanismo che non prevede punti fermi, ma in cui ogni elemento viene puntualmente ribaltato e messo in discussione. Sappiamo dunque dove porterà la spirale perversa di finali a catena, di menzogne e imbrogli, lo svolgersi di questa trama in cui la truffa è arte, non si capisce bene chi stia mentendo a chi, c'è sempre qualcuno che tradisce qualcun altro o che finge di farlo, il piano non è mai quello che sembra e comunque andasse male ne prevede un altro di riserva, il bottino (e la propria donna) rimbalza da una barricata all'altra, doppiogiochisti fanno un triplo gioco (o lo fingono tramutandolo in quadruplo) e in cui tutti gli ingranaggi sono mossi dalla bramosia di ricchezza, in cui cristallino è dunque solo l'amore per il denaro che emerge prepotente dalla vertigine dell'Inganno. Intuiamo perfettamente che saranno la calma e la razionalità dell'esperienza ad avere la meglio su tutte le contorsioni e i capovolgimenti di fronte, eppure questo non sposta di un centimetro la nostra attenzione, merito di un registro scarno e prosciugato che mira a rendere appieno la lucentezza della struttura e a farne l'onanistico elogio. Esercizio di stile dunque, virtuosismo vacuo e fine a se stesso? Forse sì, ma senza un'ombra di pedanteria e con la dose di fredda brillantezza in più data dallo scintillante stile di una sceneggiatura misurata e senza sbavatura alcuna e di cui le immagini divengono pura e semplice traduzione, in ossequio a quello che per Mamet, drammaturgo tra i più grandi in circolazione, è un vero e proprio principio («la recitazione, la scenografia, la regia dovrebbero consistere meramente in quel minimo indispensabile a porre in primo piano l'azione. Qualunque altra cosa è abbellimento» ha scritto nel bellissimo Note in margine a una tovaglia). Ormai assunto a tempo pieno dal cinema, Mamet, degno di altra attenzione e di altri budget, dimostra di prendere sempre più sul serio questa attività e firma, dopo titoli memorabili (La casa dei giochi, certo, ma anche, tra gli altri, il sottovalutatissimo Homicide) un nuovo teorema dell'inganno come gioco, spargendo sullo snodarsi implacabile del plot una buona manciata della consueta, cinica ironia e facendo del suo film un'orgia di false piste in cui far amabilmente smarrire lo spettatore. Lo aiuta il cast e un Gene Hackman di scontata bravura. Un colpo riuscito che ne fa desiderare subito un altro.