Baro-metro

Il Baro-metro: sguardi dalla sala (10/2015) – 1

(dal 1º agosto al 31 ottobre 2015)

La stagione è partita con il botto. Grazie all’andamento di agosto e settembre, infatti, i biglietti venduti nei primi nove mesi del 2015, rispetto allo stesso periodo del 2014, sono aumentati del 7%. Ottobre, poi, migliora ulteriormente i dati, raddoppiando gli spettatori rispetto al 2014 e portando la percentuale degli incassi a un rassicurante +12,4%. Un vero miracolo considerando i mali, sempre gli stessi, che affliggono il cinema in sala (pirateria in primis ma anche disinteresse generalizzato verso tutto ciò che non è fracassone e servito su un piatto di popcorn). L’estate ha funzionato bene. A fine luglio il modesto Pixels incassa quasi un milione di euro (per un totale, a fine sfruttamento, di € 3.154.016), nel week-end di Ferragosto Ant-Man incamera un milione 565 mila euro, ma si comportano bene, in una delle estati più torride del nuovo millennio, anche titoli come Spy (€ 2.281.534), Come ti rovino le vacanze (€ 2.754.282) e Babadook (€ 1.635.403), non quindi per forza solo sequel o film di supereroi. Dietro al luccichio degli euro, però, si celano crepe sempre più evidenti: l’assenza di titoli italiani (il tentativo di commedia italiota Torno indietro e cambio vita non ha dato i frutti sperati) e di film d’essai, destinati a quel pubblico di nicchia, ma corposo, che sta diventando sempre meno corposo e più di nicchia. Perlomeno quello che frequenta le sale cinematografiche, perché in rete pullula invece l’anarchia più totale e molti film vengono scaricati illegalmente ben prima di essere distribuiti ufficialmente, tanto che quando arrivano nelle sale in pochi hanno poi la necessità di andare al cinema per vederli.

Sembra che per spingere lo spettatore a uscire di casa sia necessario creare l’evento unico e irripetibile, l’appuntamento mondano, dare la sensazione che qualcosa di importante stia accadendo e, per come sta andando il mondo in questo periodo storico, tutto ciò si traduce in opere dal forte impatto spettacolare e con un marketing aggressivo. Di film, però, e di ogni genere e tipo, ce ne sono, per fortuna, anche molti, moltissimi, altri. Quello che sta cambiando, come abbiamo più volte ribadito, è quindi il modo di fruirne. Siamo in una fase di assestamento, le pellicole non esistono più, il digitale offre molteplici opportunità, lo streaming legale, quindi a pagamento, sta faticosamente cercando di imporsi. In questo periodo di transito non è facile capire come si muoverà il mercato. Certo è che la sala cinematografica come luogo esclusivo di visione sta subendo, e in parte ha già subito, un notevole ridimensionamento e se gli incassi globalmente ne risentono solo in parte, a pagarne le conseguenze è soprattutto il cinema medio, quasi scomparso, quindi anche molti esercenti. Intanto è sbarcato anche in Italia, a ottobre, il tanto chiacchierato Netflix, il più diffuso servizio di “internet tv” al mondo, con più di 65 milioni di abbonati e alcuni film, come Beasts of No Nation in Concorso a Venezia 72, hanno saltato la sala per essere disponibili direttamente on-line. Che il passaggio sia delicato lo dimostra la reazione degli esercenti americani, che hanno boicottato la programmazione del film, necessaria per rendere possibile una eventuale candidatura agli Oscar. Solo pochi, infatti, hanno accettato di renderlo visibile sui propri schermi (31 sale) e gli incassi in sala sono stati risibili (90 mila dollari), mentre a fine ottobre (in una sola settimana, quindi) negli Stati Uniti già tre milioni di spettatori lo hanno visto tramite streaming legale.

Mentre ci pensiamo un po’ su, cercando di capire implicazioni e conseguenze del cambiamento in atto, diamo un’occhiata alla classifica stagionale in cui ogni più rosea previsione è stata brillantemente superata.I dati che hanno ispirato le successive considerazioni derivano dai siti Cinetel, Giornale dello Spettacolo e BoxofficeMojo e sono aggiornati al 31 ottobre 2015.

Box Office – Dal: 01/08/2015 Al: 31/10/2015

Posizione – Film – Incasso – Presenze

1        INSIDE OUT – € 24.767.011 – 3.957.851

2        MINIONS – € 23.364.922 – 3.555.489

3        HOTEL TRANSYLVANIA 2 – € 8.514.601 – 1.470.800

4        SOPRAVVISSUTO: THE MARTIAN – € 6.924.262 –  1.114.341

5        MISSION: IMPOSSIBLE – ROGUE NATION  – € 5.517.683 – 838.784

6        ANT-MAN – € 4.712.469 – 712.977

7        EVEREST – € 4.682.652 – 707.440

8        SUBURRA – € 4.061.806 – 713.431

9        PADRI E FIGLIE – € 3.144.184 – 557.796

10      CITTÀ DI CARTA – € 2.834.470 – 443.499

Dopo una stagione in cui il primo film di animazione faceva capolino all’undicesimo posto (Big Hero 6), colpo di scena, le prime tre posizioni prendono la strada del cartone animato. Se il successo dei Minions, dopo i due trionfali capitoli di Cattivissimo me (nel mondo 542 milioni di dollari il primo e 970 milioni di dollari il secondo), era nell’aria, il risultato, soprattutto quello italiano, di Inside Out è stato davvero fenomenale. Ma andiamo per ordine di uscita partendo quindi dai Minions (nelle sale dal 27 agosto), personaggi di contorno diventati protagonisti assoluti in grado di trionfare sia sul grande schermo che nel merchandising: una vera e propria miniera d’oro. Che il film osi poco, cercando di non scontentare nessuno con una storiella semplice semplice e tanta azione, non stupisce, anche perché la vera forza dei Minions è nella loro mimica, nelle gag di cui sono protagonisti, nella simpatia e nel candore che sprigionano in contrasto con la loro determinazione a servire un padrone il più cattivo possibile. Certo, perché l’effetto sia di lunga durata qualcosa di più in futuro bisognerà osare, ma intanto la platea mondiale, e non solo i bimbi, ha affollato le sale con numeri mostruosi: 335 milioni di dollari negli Stati Uniti e ben 821 milioni di dollari nel resto del mondo per un totale di un miliardo 156 milioni di dollari, cifra che pone il film al decimo posto nei maggiori incassi di tutti i tempi. Come cartone animato solo Frozen ha fatto di più (un miliardo 276 milioni di dollari) piazzandosi all’ottavo posto. Colonizzato ormai l’immaginario la sensazione è che le creaturine gialle imperverseranno ancora per parecchio tempo!!

Il vero colpo di scena, per il nostro paese, è però il successo eclatante di Inside Out, uscito a metà settembre dopo il primato dei Minions. Si pensava a un successo moderato, anche in conseguenza ai numeri altissimi ottenuti dai mostricini gialli, arrivati prima e direttamente al vertice della classifica per tre settimane. Difficile pensare che il pigrissimo popolo italico si muovesse in massa per un altro cartone. E invece, a dimostrazione di quanto sia difficile fare previsioni, così è stato. Al di là del film, originale, in grado di sperimentare, brillante, ciò che colpisce è stata la capacità della Disney di venderlo. Oltre al normale marketing, complicatissimo, stratificato, in grado raggiungere chiunque, ma ormai di routine (presenza dei personaggi praticamente in ogni prodotto da supermercato e su tutti i canali e le riviste per bambini), si è riusciti a instillare nello spettatore l’idea che il film fosse un “capolavoro”, aggettivo già usato per parlare di Inside Out ben prima che anche un solo trailer fosse in circolazione. Mossa davvero strategica per smuovere anche i più scettici. Chi può resistere a un film che lascerà il segno nella storia del cinema? Sotto sotto è stata questa la molla che ha spinto un pubblico così diversificato, composto anche da moltissimi adulti, a varcare la soglia della sala cinematografica. Che poi il film sia riuscito, sì, ma anche un po’ involuto nella parte centrale, poco importa. Risultato: tre week-end al primo posto con medie per sala astronomiche (superiori ai 7 mila euro) e un calo infinitesimale tra la prima e la seconda settimana (in entrambi i casi parliamo di incassi superiori ai 5 milioni di euro). Una presenza nelle sale, poi, vicina ai due mesi, cosa impensabile dati i tempi di rapido consumo dei film. Nel mondo risultati ugualmente eccellenti, ma inferiori ai Minions, veri assi pigliatutto sia negli U.S.A. che negli altri paesi. In ogni caso il totale worldwide di 851 milioni 500 mila dollari colloca il film Disney/Pixar al 43º posto nella classifica dei maggiori incassi mondiali di tutti i tempi. Decisamente migliore la posizione considerando la classifica dei più visti di tutti i tempi in Italia. Inside Out è infatti 27º. A batterlo, come animazione, solo Il Re Leone (11esima posizione con 32 milioni 900 mila euro), L’era glaciale 3 (31 milioni 150 mila euro e 13º posto) e Madagascar 2 (26 milioni 400 mila euro e 22esima posizione).

Sulla scia dell’ipnosi collettiva nei confronti dell’animazione, attira frotte di spettatori anche Hotel Transylvania 2. Va detto che il primo era molto piacevole e aveva ottenuto ottimi risultati anche nei successivi canali di sfruttamento. Era forte, quindi, il desiderio di rivedere nuovamente in azione i personaggi simpatici e ben caratterizzati dell’originale. Peccato che le lecite aspettative siano franate di fronte a un prodotto che dire che vola basso è dir poco: luoghi comuni à gogo, personaggi esagitati e sopra le righe, conflitti atavici risolti nell’arco di una gag e il solito vecchio bigotto che alla fine scioglie ogni resistenza e balla la breakdance. Davvero, davvero, modesto! Se fosse stato anche un bel film probabilmente avrebbe creato un effetto contagio che, invece, c’è stato solo in parte. Le basi per una saga, comunque, dato il riscontro mondiale, ci sono. Se il primo aveva incassato nel mondo 358 milioni di dollari, il sequel è già, in sfruttamento ancora in corso, a 430 milioni di dollari. Già pianificato un terzo episodio per il 21 settembre 2018.

Vista la buona accoglienza riservata alla fantascienza l’anno scorso in autunno, con Interstellar, la 20th Century Fox posiziona strategicamente l’ultimo Ridley Scott nello stesso periodo  ottenendo un ampio consenso. Non un trionfo come in U.S.A. (sono 210 i milioni di dollari finora raccolti), ma un solido riscontro per un film che pare trovare la chiave giusta per intercettare il grande pubblico: spazio profondo, solitudine mai davvero destabilizzante, retorica, hit, spruzzi di commedia. Il fatto che impieghi un po’ a decollare e non si temi mai davvero per le sorti del protagonista poco importa. L’escalation finale è preparata ad arte in modo da intrattenere e mandare tutti a casa felici, garantendo così un ottimo passaparola. Critica particolarmente generosa e pubblico in fila. In Italia debutta al secondo posto dietro a Inside Out, che però ha a disposizione ben 706 sale contro le 424 di The Martian. La media però è molto buona (€ 5.340) e promette una buona tenuta, ipotesi che diventa realtà. Per quattro settimane, infatti, The Martian resta in top-10. Nel mondo l’incasso ha già raggiunto i 480 milioni di dollari. Decisamente meglio del precedente Exodus (268 milioni di dollari worldwide e flop soprattutto in patria con “solo” 65 milioni di dollari), che, tra l’altro, era anche costato di più (140 milioni di dollari contro i 108 di The Martian).

Si sperava che Tom Cruise potesse rivitalizzare l’estate mondiale e così è stato. Ormai tutti gli spy/action ad alto budget finiscono per assomigliarsi. La personalità della saga di Mission Impossible è tutta nel carisma interpretativo di Tom Cruise, nel suo essere diventato personaggio sovrapponibile ai ruoli che interpreta. È lui l’anima del film. Non a caso il soggetto si dimentica subito, mentre le mirabolanti sequenze di azione di cui è protagonista (girate molto bene, va detto) restano in mente. Risultato: 195 milioni di dollari negli U.S.A. (un po’ meno del quarto capitolo che aveva raggiunto i 209 milioni di dollari) e 487 milioni di dollari negli altri mercati, per un totale globale di 682 milioni di dollari, in linea con i 694 milioni ottenuti dall’episodio precedente. Tom ha retto l’urto, quindi, dell’età che avanza, della concorrenza spietata di tanti film praticamente identici (da James Bond a Jason Bourne), del mancato appeal della sala rispetto ad altri canali di sfruttamento ed è riuscito a riempire i cinema del mondo. Una sesta puntata, visto il successo eclatante e il ritorno economico rispetto ai costi (consistenti, pari a 150 milioni di dollari) è già nell’aria. Sempre che Tom resista, ma coriaceo e determinato com’è aspettiamo, e speriamo, di vederlo in azione fino alla vecchiaia. Anche in Italia risultati più che dignitosi e in linea con il precedente episodio che aveva incassato € 5.938.000.

Ha superato le aspettative il più piccolo dei supereroi, quello su cui gli Studios riponevano meno fiducia a causa anche dei problemi subiti in fase di progettazione, partita, tanto per capire le difficolta di passare dalla teoria alla pratica, ad aprile 2006 (tra gli altri la sostituzione del regista Edgar Wright con Peyton Reed). In Italia Ant-Man esce in una data tabù fino a pochissimo tempo fa, il 12 agosto, quando con Ferragosto si festeggia il clou dell’estate, ma anche l’inizio del suo declino. La risposta è incoraggiante (prima posizione con un milione 565 mila euro) e nelle settimane successive l’entusiasmo cede il posto a Tom Cruise ma si mantiene comunque vivo. Sembra che piano piano si stia capendo che quando il sole impazza, soprattutto se non si è vacanza, la sala cinematografica può garantire un ottimo e fresco rifugio. Anche il mondo risponde all’appello: 180 milioni di dollari negli U.S.A., 338 milioni negli altri mercati, per un totale di 518 milioni di dollari. Considerando il budget di 130 milioni di dollari, piuttosto buono il ritorno economico. Probabilmente la forza del film è proprio nella semplicità dell’approccio che, pur non osando praticamente nulla, riesce, se non a conquistare, perlomeno a non irritare. Certo, la curiosità di capire cosa sarebbe potuto essere nelle mani del dissacrante Wright è forte. Intanto, vista la risposta più che positiva, titolo e data di un secondo episodio sono già stati fissati: Ant-Man and the Wasp sarà nelle sale U.S.A. dal 6 luglio 2018. Per quella data sarà ancora super-eroi mania?

Ha aperto il festival di Venezia nell’indifferenza, con i “così così” ha dominare sui “sì”, ma, come da previsione, nelle sale ha funzionato, grazie sicuramente alla tematica (la tragica spedizione sull’Everest del 1996), all’impianto spettacolare, ma anche al cast di volti noti (Jason Clarke, Jake Gyllenhaal, Josh Brolin, Robin Wright, Michael Kelly, Keira Knightley, Sam Worthington, Emily Watson). Numeri dignitosi un po’ ovunque: 43 milioni di dollari negli U.S.A., 16 milioni di dollari in Gran Bretagna, 15 milioni di dollari in Cina, 9 milioni di dollari in Russia e Germania, 8 milioni di dollari in Messico, 7 milioni di dollari in Francia e Australia. Anche l’Italia ha fatto la sua parte. Un esempio di cinema medio, con costi medi (55 milioni di dollari il budget dichiarato) ripagati dagli incassi mondiali di 198 milioni di dollari e mezzo, capace quindi di garantire un ritorno economico pur senza prenotarsi un posto nella storia del cinema. Una merce ormai rara.

Sull’onda delle serie televisive Romanzo criminale e Gomorra, sempre dirette da Stefano Sollima, arriva con grande eco mediatica Suburra, la trasposizione dell’omonimo romanzo di Carlo Bonini e Giancarlo De Cataldo. Le aspettative sono molto alte, ed esce il 14 ottobre in 471 schermi, ma nel primo week-end, sull’onda del rinnovato interesse per l’animazione, è battuto da Hotel Transylvania 2 che, però, ha quasi 100 schermi in più a disposizione. Alla seconda settimana scende di una posizione, nonostante un aumento delle sale che passano a 490 (ma la media passa da € 3.699 a € 2.105) e alla terza settimana perde un ulteriore 55% negli incassi scendendo al 6° posto. Come da copione (un film dura commercialmente circa tre settimane), il più è fatto, e alla quarta settimana è già fuori top-10. Un risultato sicuramente positivo, ma qualcosa di più sostanzioso e duraturo era lecito aspettarselo. Il vero interrogativo, però, è: ma perché non aprire con Suburra la Festa di Roma, emblema della romanità al cubo, al posto di Truth, presentato praticamente senza delegazione e passato nel silenzio?

Nell’occhio del ciclone per le sue dichiarazioni su Pier Paolo Pasolini (ma sono arrivate dopo), Gabriele Muccino non lascia particolare traccia con l’americanissimo Padri e figlie. In prima mondiale in Italia, cerca di ottenere credito nella patria del regista per affrontare con solidi basi gli altri mercati. La risposta nazionale, però, non è esaltante, inferiore anche a Quello che so sull’amore (4 milioni 421 mila euro), finora minor successo del Muccino a stelle e strisce. Non dovrebbe avere problemi a rientrare dei costi (16 milioni di dollari), dato il cast altisonante e la distribuzione planetaria, ma un risultato inferiore alle aspettative è, per ora, un dato di fatto e il flop è nell’aria.

L’anno scorso Colpa delle stelle è diventato un blockbuster internazionale (307 milioni di dollari a fronte di un budget di 12 milioni di dollari). Perché non tentare quindi anche la trasposizione cinematografica di un precedente successo editoriale dello stesso autore, John Green? Ecco quindi, con la complicità anche degli stessi sceneggiatori, Città di carta, pronto a solleticare fantasie, umori e pulsioni dei più giovani. Medesimo anche il budget (sempre 12 milioni di dollari), ma questa volta l’entusiasmo è stato inferiore: totale globale arrivato, per ora, a 85 milioni di dollari. È soprattutto negli U.S.A. che il film non decolla (appena 32 milioni di dollari con 3.031 sale a disposizione), anche se un po’ ovunque ha destato un minore interesse rispetto a Colpa delle stelle a cui viene inevitabilmente paragonato. In Italia debutta a inizio settembre al secondo posto dietro ai Minions e resta in top-10 le classiche tre settimane, ma già alla terza settimana perde il 74% degli incassi sancendo la fine della sua vita commerciale.


La seconda parte del Barometro, con uno sguardo su Flop, Venezia, Festa del Cinema, D’Essai, Italia, Eventi e Altri film, la potete trovare qui:

I Trimestre stagione 2015 /2016: dal 01/08/2015 al 31/10/2015 – parte 2