TRAMA
Secondo il filosofo sloveno Slavoj Žižek, già autore della sceneggiatura di The Pervert’s Guide to Cinema, diretto nel 2006 dalla stessa Sophie Fiennes, nella nostra società l’individuo non è più obbligato a investire la sua vita, fino a sacrificarla, in una causa (sia essa ideologica o politica), in quanto il suo dovere è divenuto quello di «apprezzare», cioè di trarre godimento da ciò che gli viene offerto. E vista la mole di proposte da cui veniamo bombardati, la ricerca del piacere può essere infinita. A sostegno di questa tesi innovativa, mai così attuale, la regista e il filosofo montano in sequenza le immagini tratte da cult movie e capolavori della storia del cinema (dal catalogo del TFF).
RECENSIONI
The Perverts Guide to Ideology muove da due premesse fondamentali. La prima, ovvia e propedeutica, è il film del 2006 The Perverts Guide to Cinema, anchesso diretto da Sophie Fiennes, sorella dei più celebri Ralph e Joseph. La seconda, meno ovvia e cronologicamente vicina, è la tesi esposta nel primo lavoro importante scritto in inglese da iek: The Sublime Object of Ideology (1989), un libro nel quale il filosofo sloveno, zigzagando tra Hegel, Lacan, Marx, Althusser, post-strutturalismo, Soviet jokes, Freud, Pascal, Kafka and so on and so on, analizzava i fenomeni ideologici della contemporaneità alla luce della nozione di antagonismo - nozione esplicitamente mutuata da Hegemony and Socialist Strategy (1985) di Ernesto Laclau e Chantal Mouffe. Questa, al netto delle eventuali inesattezze di traduzione, la tesi in questione: Lideologia non è unillusione simile a un sogno che costruiamo per sfuggire allinsopportabile realtà; nella sua dimensione basica è una costruzione di fantasia che serve come supporto per la nostra realtà stessa: unillusione che struttura le nostre effettive, reali relazioni sociali, mascherando in tal modo qualche insopportabile, reale, impossibile nucleo (concettualizzato da Emesto Laclau e Chantal Mouffe come antagonismo: una traumatica divisione sociale che non può essere simbolizzata). La funzione dellideologia non è offrirci un punto di fuga dalla nostra realtà, ma offrirci la realtà sociale come una fuga da qualche reale nucleo traumatico.
Partiamo dai titoli di testa: se in The Perverts Guide to Cinema erano le macchie di Rorschach a suggerire il carattere proiettivo e segretamente normativo del desiderio filmico, in The Perverts Guide to Ideology sono le fenditure diagonali à la Saul Bass a tracciare la traiettoria del film: mostrare la frattura profonda che risiede sotto lapparente omogeneità dellimmaginario cinematografico. Non è possibile sbagliarsi: The Perverts Guide to Ideology è un autentico film del terrore. Il cinema come arte delle apparenze è adesso osservato nella dimensione della scissura, della spaventosa spaccatura che esso stesso si premura di colmare con supplementi fantastici, fantasie di pienezza, mistificazioni simboliche. Il cinema, in altri termini, è ora scrutato nella sua natura di surrogato immaginario che occulta la mancanza costitutiva alla base dellordine simbolico. Lintero film, consacrato alle trancianti incursioni lacaniane di iek, sostituisce alla pulsazione del desiderio che scandiva The Perverts Guide to Cinema la logica schiacciante della demistificazione ideologica che conduce alla disintegrazione del grande Altro (il soggetto supposto sapere, la personificazione dellideologia). Sotto lingannevole e accomodante tessitura della realtà, fa la sua comparsa prima lo scheletro del condizionamento ideologico e infine linconsistenza dellordine simbolico, il suo strutturarsi intorno a un vuoto, a una sostanziale impossibilità di addomesticare lantagonismo del reale.
Cruciali in questo senso le due pellicole prese corposamente in esame allinizio e alla fine del film: Essi vivono (1988) di John Carpenter e Operazione diabolica (1966) di John Frankenheimer. Se il primo illustra la modalità operativa necessaria per disoccultare la menzogna ideologica (le lenti radiografiche indossate da John Nada: lideologia è nella nostra visione naturale delle cose, per metterla a fuoco occorre inforcare gli occhiali e non toglierli come recita il luogo comune), il secondo mostra lagghiacciante inesorabilità del meccanismo mistificatorio (il rifiuto dellidentità costruita artificiosamente dallorganizzazione che gestisce le rinascite equivale alla condanna a morte del protagonista). In entrambi i casi il processo di riconoscimento comporta fatica e dolore: la fatica fisica e mentale necessaria a leggere tra le righe della realtà (che, giova ricordarlo, è già il prodotto della simbolizzazione del Reale) e il dolore procurato dallacquisizione della consapevolezza che dietro le seducenti illusioni del grande Altro si cela il vuoto (un vuoto che è principio generatore di squilibrio/antagonismo e che lordine simbolico riveste di apparenze gratificanti). Come esemplifica la sequenza della crocifissione di Lultima tentazione di Cristo, la disintegrazione dellordine simbolico coincide con lesperienza di unabissale insensatezza, del sordo caos delle cose, dellassenza radicale di significato: There is no big Other, proclama trionfante iek.
Ma perché le guide fiennes-iekiane sono perverse? In realtà laggettivo pervert si lega per zeugma anche al sostantivo cinema. Il cinema è perverso in senso lacaniano: Nonostante sia comunemente associata alla cosiddetta deviazione sessuale, la perversione è anche un termine tecnico che la psicanalisi lacaniana usa per indicare la certezza che un soggetto ha di sapere ciò che lAltro vuole. Il perverso è dunque definito da una mancanza di interrogazione. Egli è convinto di conoscere il significato del desiderio dellAltro (Tony Myers, Introduzione a iek, il melangolo, 2012, p.125). Parafrasando iek, il cinema è unarte perversa perché non ci offre quello che desideriamo, ma ci dice precisamente come desiderare, ci addestra meticolosamente a farlo. Listerica perversità delle guide risiede dunque nella messa in questione di questa certezza, nellinterrogazione deliberatamente eccessiva e oscena del cinema come ultimate pervert art, nella ricerca di quei punti di aggraffatura (points de capiton) che fissano i significanti al significato, stabilendo e unificando arbitrariamente il campo ideologico. Detto altrimenti, quelle di iek sono letture e interpretazioni che, pur intrecciando le teorie di Lacan, Hegel e Marx, creano le proprie condizioni di possibilità (ed è questo, secondo chi scrive, a renderle così suggestive e persuasive). Si tratta di unautonomia ermeneutica che in qualche modo le sottrae alla confutazione diretta, trasformandole quasi in articoli di fede: in questo senso iek critica lideologia dialetticamente, contrapponendole cioè un altro campo ideologico, strappando i significanti dai significati e proponendo altri points de capiton (il riscatto rivoluzionario enunciato da Benjamin per esempio).
Naturalmente è più che lecito diffidare della logorrea dogmatica di iek, del suo compulsivo esibizionismo istrionico che Sophie Fiennes asseconda in tutto e per tutto (dalla riproduzione ad personam dei set dei film citati allimpiego di materiali televisivi sugli attentati norvegesi di Anders Breivik e sulle sommosse londinesi dellagosto 2011). Così premurosamente protetto e spalleggiato, il gigante di Lubiana non parla, pontifica; non esprime giudizi, sentenzia. E quando non è direttamente in scena, la sua voce narrante evoca una costellazione cinematografica prontamente portata sullo schermo a dimostrazione/delucidazione/amplificazione delle sue tesi: i titoli chiamati in causa sono davvero troppi per essere menzionati dettagliatamente e ordinatamente: basti sapere che nei suoi 134' The Perverts Guide to Ideology estrae dal cilindro sequenze da Tutti insieme appassionatamente, Arancia meccanica, M*A*S*H, Full Metal Jacket, Il trionfo della volontà, Lo squalo, The Fall of Berlin, Gli amori di una bionda, Titanic, Brazil, Sentieri selvaggi, Taxi Driver, Zabriskie Point.
Vero è che il più delle volte che iek si riferisce al cinema lo fa in funzione strumentale: usa le situazioni narrative per illustrare punti teorici o riflettere sullideologia contemporanea. Una tattica, questa, che spiega la preponderanza di esempi hollywoodiani: è nel cinema hollywoodiano che, sostiene iek, si può cogliere lideologia che struttura la nostra esperienza quotidiana nella sua forma distillata, quintessenziale, at its purest. Ma se lanalisi filmica in quanto tale è piuttosto carente (già nel 2005 Bordwell aveva gioco facile nel demolire il metodo argomentativo iekiano), le sue scorribande ermeneutiche hanno il non trascurabile merito di spingersi nelle pieghe nascoste delle sequenze, mostrandone le contraddizioni interne o le risonanze inattese. Anche la più neutra delle descrizioni partorisce un guizzo, unintuizione, uno scatto del pensiero: a prescindere dai titoli di verità delle affermazioni sparate a raffica sullo spettatore, limbonitore è inseparabile dal pensatore, lincantatore di serpenti dal filosofo, il clown dal maître à penser. Singolare compresenza che non molla mai losso (Lo spirito è un osso, replicherebbe iek citando Hegel), neanche quando, dopo i titoli di coda, il cadavere di Leonardo DiCaprio affogato in Titanic torna a galla con le fattezze di Slavoj a pugno chiuso. Impossibile resistere alla tentazione di leggere iek con iek stesso. In The Perverts Guide to Cinema, collegando la nozione di oggetto parziale autonomo a Il dottor Stranamore, il filosofo sloveno si esprimeva in questi termini: Forse la parte definitiva del corpo che meglio interpreta il ruolo di oggetto parziale autonomo è il pugno o, piuttosto, la mano. Questa mano che si alza è il punto chiave del film. Non è semplicemente qualcosa di estraneo a lui, ma il vero nucleo della sua personalità. Siamo, qui, dalla parte del pugno.