TRAMA
Una cittadina vicino al mare. Jun, 23 anni, lavora in un negozio e se ne sta sempre alla cassa. Un appartamento di periferia: Kiminobu, 25 anni, litiga violentemente con la sua ragazza e la uccide. Il giorno dopo manda una e-mail a Jun avvertendolo che presto tornerà da lui e che se ne andranno per sempre. Quando i due si rivedono, Kiminobu annuncia di voler partecipare ad un suicidio di massa scoperto su Internet. I due, in sella alle loro biciclette, decidono di partire lasciandosi tutto alle spalle.
RECENSIONI
Scegliere la morte
Giappone ai giorni nostri. Un ragazzo in un raptus di rabbia uccide la fidanzata. Distrutto dal rimorso decide di raggiungere l'oceano dove un gruppo, accordatosi tramite Internet, si è dato appuntamento per compiere un suicidio di massa. Nel suo viaggio coinvolge un giovane amico che non vede da cinque anni ma a cui è profondamente legato. Dopo questo inizio, si teme il peggio e ci si aspetta la solita vetrina di orrori quotidiani sciorinata con violenza a mò di compitino, come tanto cinema orientale, soprattutto da "festival", degli ultimi anni. E invece il film del giovanissimo Horie Kei (classe 1978) si rivela una piacevole e sconvolgente sorpresa. Il viaggio in bicicletta dei due ragazzi, infatti, permette di entrare in contatto, in modo sempre più approfondito, con il loro mondo interiore, scisso tra la pragmaticità di una società dove l'ordine è diventato mera apparenza, e la poesia di aspirazioni personali che non si hanno la forza e il coraggio di esprimere. L'amicizia tra i due protagonisti, a un passo dall'omosessualità, è descritta con pudore e notevoli capacità introspettive. Come è ben sviluppato il loro cambiamento di prospettive che li fa evolvere in modo differente. In questo senso la sceneggiatura ha un solido impianto tradizionale: due personaggi partono in un modo e arrivano alla fine del loro viaggio con una nuova consapevolezza, maturata nelle due ore di film. A rendere vivo e credibile lo schema narrativo contribuiscono la sceneggiatura (nonostante qualche eccesso di fatalità) e l'interpretazione dei due giovani attori, capaci di rendere con poesia e partecipazione la fragilità del loro stato d'animo. La temuta resa dei conti finale arriva in modo più struggente che shockante. Il regista sembra voler celebrare il suicidio come scelta e non come incapacità di affrontare i propri problemi. Cercando di non cadere nell'improduttiva trappola di un facile e superficiale giudizio morale, il film permette di entrare in contatto con una realtà e una cultura che propongono "altro" rispetto a ciò che lo spettatore vuole e spera. E affrontare attraverso un film la propria parte buia può sembrare pericoloso, perché rischia di mettere a nudo nervi già scoperti, ma può anche aiutare ad esorcizzare paure ataviche. Il regista afferma "questo film può cambiare la storia del cinema giapponese". Al di là del facile effetto della frase di lancio, bisogna riconoscere che sicuramente colpisce, e anche in modo molto violento, nonostante la quasi totale assenza di violenza. Difficilmente sarà distribuito in Italia.
