Classifica dell'anno

FILM DELL’ANNO 2017/2018 – LUCA PACILIO


RITRATTI DI FAMIGLIA


Il nonno
L’ora più buia – Joe Wright

La nonna materna
Hereditary – Ari Aster


La nonna paterna

La stanza delle meraviglie – Todd Haynes

La mamma
madre! – Darren Aronofsky

Il papà
The Meyerowitz Stories (New and Selected) – Noah Baumbach

La nuova compagna
I fantasmi d’Ismael – Arnaud Desplechin


I figli

Charley Thompson – Andrew Haigh
Wonder – Stephen Chobsky
A Beautiful Day – Lynne Ramsey


La figlia

Doppio amore – François Ozon


La sorella

A Quiet Passion – Terence Davies

I fratelli
Good Time – Josh Safdie, Benny Safdie

 


I cugini

Les garçons sauvages – Bertrand Mandico

 


La zia

L’amore secondo Isabelle – Claire Denis

 

Lo zio
The Happy Prince – Rupert Everett


L’ospite

Chiamami col tuo nome – Luca Guadagnino


Il cane

L’isola dei cani – Wes Anderson

 

FAVORITISMI

 

Film sul podio: I fantasmi d’Ismael, Good Time, A Beautiful Day

Regista: Josh Safdie, Benny Safdie (Good Time)

Attore: Gary Oldman (L’ora più buia)

Attrice: Toni Collette (Hereditary)

Attore non protagonista: Dustin Hoffman (The Meyerowitz Stories)

Attrice non protagonista: Marion Cotillard (I fantasmi d’Ismael)

Sceneggiatura originale: Arnaud Desplechin (I fantasmi d’Ismael)

Sceneggiatura non originale: James Ivory (Chiamami col tuo nome)

Direzione della fotografia: Thomas Townend (A Beautiful Day)

Musica: Oneohtrix Point Never (Good Time)

Egli danza: Gérard Depardieu

Addio con applausi: Miloš Forman

Belpaese: La terra dell’abbastanza (Fratelli D’Innocenzo), La ragazza nella nebbia (Donato Carrisi), L’equilibrio (Vincenzo Marra), Hannah (Andrea Pallaoro), La vita in comune (Edoardo Winspeare)

Ai limiti: Loveless (Andrey Zvyagintsev)

Mi irrita troppo, forse lo amo: Flames (Josephine Decker, Zefrey Throwell)

Out(siders): Mes provinciales (Jean-Paul Civeyrac), Les malheures de Sophie (Christophe Honoré), The Strange Ones (Christopher Radcliff, Lauren Wolkstein)

Netflix: Newness (Drake Doremus)

Esordio:
Kissing Candice (Aoife McArdle)

Re-make Re-model: Assassinio sull’Orient Express (Kenneth Branagh)

Incompreso: A casa tutti bene (Gabriele Muccino)

Ignorato: Molly’s Game (Aaron Sorkin)

Tiro al piccione: Il mio Godard (Michel Hazanavicius)

Fuori moda: Nemesi (Walter Hill)

Sottovalutato: Red Sparrow (Francis Lawrence)

Sopravvalutato: Il sacrificio del cervo sacro (Yorgos Lanthimos)

Meh: Lady Bird (Greta Gerwig)

Cazzomene (già Fottesega, già Ci-cale): Star Wars (fotte-saga e derivati)

What?: Submergence (Wim Wenders)

Presagi e lacrime: Avicii: True Stories (Levan Tsikurishvili)

Delusione: I Love You, Daddy (Louis C.K.)

Cortometraggio: Accidence (Guy Maddin, Evan Johnson, Galen Johnson)

Documentario: MATANGI / MAYA / M.I.A. (Stephen Loveridge), The Genius and The Opera Singer (Vanessa Stockley)

The Big Sleep: Storia di un fantasma (David Lowery)

Favoritismo alla carriera: Luc Besson (Valerian e la città dei mille pianeti)

Battuta:  
Winston Churchill: Will you stop interrupting me while I am interrupting you! (L’ora più buia)

Dialogo:
Thor: I need to go to Nidavellir.
Drax: Nidavellir? That’s a made up word!
Thor: All words are made up.
(Avengers: Infinity War)

Trailer: madre!

Incipit: Valerian e la città dei mille pianeti

Finale: A Quiet Passion

Scena: La porta che si chiude rivela, dietro di essa, il bambino che piange (Loveless), la stanza che gira in Una luna chiamata Europa

Sequenza:
Tutta la sbalordente parte “Shining” (Ready Player One)

Amplesso: Il pegging (Doppio amore)

Song: The Pure and The Damned – Oneothrix Point Never feat. Iggy Pop (Good Time)


CINE QUA NON

Serie TV:
Succession (di Jesse Armstrong)
Mindhunter (David Fincher’s stuff)
The Assassination of Gianni Versace (di Scott Alexander, Larry Karaszewski, Tom Rob Smith, diretta da Ryan Murphy)
Manhunt: Unabomber (di Andrew Sodroski, Jim Clemente e Tony Gittelson)
Suits (di Aaron Korsh)
Trust (di Simon Beaufoy, diretta da Danny Boyle)

Cazzomene (mollate): Dark (a episodio 3), Glow (E03), The Terror (E02), White Collar (E04), Versailles (E02), La Foresta (E01), L’alienista (E01), Dynasty (E01) altre che non ricordo (cmn)

Miniserie TV:
A Very English Scandal (di Russell T. Davies, diretta da Stephen Frears)
Howards End (di Kenneth Lonergan)
Collateral (di David Hare)
Wormwood (Errol Morris)

Film TV:
The Wizard of Lies (Barry Levinson)

Danza:
Nouvelles pièces courtes – Philippe Découflé (Compagnie DCA)
Boléro – Emio Greco, Pieter C. Scholten (Ballet National de Marseille)
Petite Mort – Jiří Kylián (Ballet de l’Opéra de Lyon)

Prosa:
Les Trois Sœurs (Anton Čechov) regia di Simon Stone
Disgraced (Ayad Akhtar) regia di Martin Kusej
American Buffalo (David Mamet) regia di Marco D’Amore

In Da House

Strano: la casa di Les Trois Sœurs, l’allestimento che l’enfant prodige (terrible?) Simon Stone ha fatto del dramma di Čechov (riapplicando lo schema scenografico della gabbia trasparente che era già stato di Ibsen House) rassembra il modellino nel quale si stringono i nodi-del-nido di Hereditary di Ari Aster. C’è molto cinema in questa pièce: alcuni interpreti, il modulo recitativo logorroico e lontano dalla declamazione (attori tutti microfonati) e un’ardita ricerca di quella simultaneità (ogni stanza della casa è una scena in cui si svolge un’azione e l’occhio dello spettatore vaga da un punto all’altro) che anche il grande schermo a volte ha cercato di restituire (penso a Mike Figgis o a Peter Greenaway). Soprattutto c’è La Famiglia che, per il sottoscritto, è fil rouge che annoda le visioni  di quest’anno. La scatola familiare non è un’idea nuova, basti pensare, solo di recente, a European House di Àlex Rigola, in cui lo spettatore-voyeur sembrava appostato all’esterno della magione e cercava faticosamente, orecchie tese, di carpire le discussioni che i personaggi intrattenevano all’interno, discorsi di cui non trapelava che qualche parola (era la residenza di Amleto, e quello che vedevamo era il prequel del dramma shakespeariano). Ma qui si va oltre, perché la casa ruota, a offrirsi allo sguardo spettatoriale da prospettive diverse. E una prospettiva diversa è anche quella dalla quale si guarda il dramma: c’è la voglia, finalmente, di affrontare i classici con un piglio che sia moderno anche nelle parole e nei contenuti del testo, parlando davvero di quello che accade oggi, non limitandosi a una semplice riverniciatura scenografica. Così l’attesa delle tre sorelle di andare a Mosca (l’Eden a cui si aspira, l’ideale, la meta cui si protende), diventa, nelle mani di Stone, quella di uscire da una comunicazione tutta virtuale (social?) per pervenire a una dimensione fisica, reale. La realtà di oggi di cui ci parla Stone è insomma un miraggio irraggiungibile poiché, come nei drammi del russo, nel nostro tempo internettaro il mondo è altrove, i fatti accadono da un’altra parte: commentati, giudicati, eventi che appartengono a un mondo osservato attraverso un filtro, ma mai vissuto. Proprio come la Mosca cechoviana.
Una riscrittura che si compone di discussioni sul contemporaneo (si parla di Kim Kardashian e Kanye West, si suona Rihanna e David Bowie, si discetta di immigrazione e identità nazionale) e in cui  si guardano le cose a distanza, ogni tanto rivolgendo l’attenzione a sé, al proprio quadrato d’esistenza e ai rapporti con gli altri familiari. E piano piano si muore.
La migliore visione di questa stagione, in sala e fuori.

La ritrovo la famiglia (perché la ricerco) anche nelle serie TV.
In Bloodline: titolo tentatore come pochi, ma pessima, seguita fino a quando il personaggio di Sam Shepard non scompare, per poi lasciarla al suo destino. Come I Durrell, mollata praticamente subito (ma all’epoca anche il celebrato romanzo – booooring – fece quella fine, quindi tutto torna).
In The Assassination of Gianni Versace sono praticamente due le famiglie a confronto (serie meravigliosamente camp, con un protagonista strepitoso – Darren Criss meriterebbe ogni premio – e un finale wow).
In Wizard of Lies e, soprattutto, in quello che ne sembra quasi uno sviluppo cosciente (HBO, anch’esso, non a caso),  Succession,  nido di vipere dominato da un re Lear (che è Murdoch, tra le righe), in cui regna la bassezza, il turpiloquio e un umorismo acido (a volte non controllato, a volte irresistibile), che prevede (goduria) persino un momento di terapia di gruppo che apre squarci sui meccanismi che sovrintendono il nucleo. Tra l’altro contiene una battuta che condensa anni di riflessione drammaturgica sul mondo familiare: «Il mio analista dice che se mio padre fosse andato in terapia, io oggi non ne avrei avuto bisogno».
Anche in A Very English Scandal, diretta da Frears (BBC – altro che gli omogeneizzati e le pappette RAI che nutrono un pubblico regredito che non è più abituato a masticare -), il sottotesto è quello familiare (è un capolavoro che ricorda la miglior televisione britannica anni 70, quella con un registro visivo di puro servizio – pubblico -, ma fatta di una scrittura finissima che affronta con lo humour qualunque tema e da attori chettelodicoaffare).
In Trust: i Getty molto meglio di Ridley Scott; e Donald Sutherland batte Christopher Plummer.
In Howards End (BBC, again): il miglior romanzo di Forster, con un adattamento di Kenneth Lonergan evidentemente (inevitabilmente?) post-ivoriano (ne scriverei avessi tempo, voglia).

E a proposito di serie Tv: l’anno scorso avevo fatto uno strappo alla mia regola comprendendo Atlanta, la prima stagione, tra le cose migliori, senza barriere, senza distinzioni tra grande e piccolo schermo: era rivoluzionaria. Che delusione questa seconda stagione (che delusione qualsiasi serie, a lungo andare): ha un picco altissimo (il sesto episodio, in cui Hiro Murai trova la sua migliore logica sghemba, quella che innerva nei suoi video più riusciti) e poi frammenti da prendere qua e là, per il resto già normalizzata nel suo essere spiazzante, nel suo realismo décalé, fatto di una realtà filtrata dal pensiero prima che vissuta, giocando con le aspettative del pubblico, tutta compresa nel suo essere solo intelligente lettura dell’immaginario contemporaneo, restituzione di una percezione della blackness calcolatamente controversa,  inevitabilmente consapevole di sé (la festa di Drake, Paper Boi nel bosco sono già maniera). Come Master of None (serie che ha tutto i presupposti perché la ami e invece la detesto) anche Atlanta è già diventata puro sfoggio di arguzia.
Così la cosa migliore di Donald Glover in TV quest’anno è stata la
parodia di A Quiet Place su Kanye West (che lo stesso Kanye, esilarato, rilancia su Twitter).
Poopy-di scoop [1].

[1] Whoopidy scoop woop poop.