
Annata davvero positiva, con tanti titoli meritevoli e in grado di suscitare entusiasmo. Mentre l’esercizio cinematografico deve adottare strategie per restare vivo, i film godono invece ottima salute, a dimostrazione del periodo di transizione che stiamo vivendo. Una cosa è certa, quindi, i film sopravviveranno, perché il bisogno di perdersi in storie e suggestioni fa parte della natura umana. Dove saranno visti stiamo cercando di capirlo, ma la sala resta il luogo ideale: schermo enorme, poltrona comoda, buio intorno, nessuna distrazione (e non tiratemi fuori i soliti popcorn sgranocchiati rumorosamente, perché capita solo a volte e nei popcorn movie ci sta, fate quindi attenzione a non trasformarvi in megere brontolone).
Personale film dell’anno è il bellissimo Tonya di Craig Gillespie per tanti motivi. Prima di tutto perché racconta una storia vera senza sostenere una tesi ma giocando in modo magistrale con il post verità. La vicenda è infatti raccontata abbracciando il punto di vista dei personaggi, spesso in contraddizione tra loro e con la “verità” giuridicamente riconosciuta. Lo spettatore ha così modo di ritagliarsi un punto di vista non banale, e nemmeno univoco. Aspetto non di poco conto, e difficilissimo da gestire, che rispetta i fatti e anche l’intelligenza del pubblico. Se a questo aggiungiamo un montaggio strepitoso, due interpreti in stato di grazia (Margot Robbie e Allison Janney), una colonna sonora magnifica e una regia a totale servizio del racconto, beh, che volere di più. Ai detrattori, e a chi stringe le labbra con sufficienza, dico, raggiungete voi un equilibrio così miracoloso, poi ne parliamo.
Due parole anche sui festival, trampolino per la quasi totalità dei film d’essai che sono riusciti a raggiungere le sale. Il mantra che serpeggia è “Berlino è la nuova Locarno, Cannes è la nuova Berlino, Venezia è la nuova Cannes”. Al di là dei mantra, che comunque un’idea del percepito la danno, vero è che il festival di Venezia è diventato più mainstream e ha avuto la fortuna di presentare alcuni titoli che hanno movimentato la stagione dei premi. Aspetto per alcuni deteriore, perché con il rischio di privare la manifestazione di quel ruolo di scoperta e sperimentazione che ogni festival in cuor suo si augura di rappresentare, per altri invece positivo perché in grado di non perdere il contatto con il pubblico e con il buon cinema. La Berlinale, invece, si conferma sempre più dedicata alle tematiche sociali e politiche e Cannes resta il festival più importante del mondo ma deve recuperare un po’ di credibilità. La grandeur stordisce, non sono mancate le chicche, ma dieci giorni sono tanti.
A seguire, come al solito, una lista suddivisa per categorie (ordinate alfabeticamente) in modo da scandagliare sinteticamente luci e ombre della stagione.
So che chi legge qualunque tipo di classifica cerca conferme al proprio sentire, e solo in quelle vuole imbattersi. Trovare un punto di vista in cui rispecchiarsi è sempre bello, rassicura, fa sentire meno soli, illude di essere dalla parte del giusto, ma ogni tanto una doccia gelata apre spiragli al dubbio e offre ottime occasioni di confronto. Tutto ciò per ricordare, come ogni stagione, di non prendersi troppo sul serio. In fondo, sono solo film.
BELLI
A QUIET PASSION di Terence Davies: essenziale
BLADE RUNNER 2049 di Denis Villeneuve: ipnotico
IL FILO NASCOSTO di Paul Thomas Anderson: sofisticato
LA FORMA DELL’ACQUA di Guillermo del Toro: magico
L’INSULTO di Ziad Doueiri: chiaro
INSYRIATED di Philippe van Leeuw: contingente
LOVELESS di Andrei Zvjagincev: dolente
IL SACRIFICIO DEL CERVO SACRO di Yorgos Lanthimos: tormentoso
THE SQUARE di Ruben Östlund: polimorfo
TRE MANIFESTI A EBBING. MISSOURI di Martin McDonagh: mutevole
DELUSIONI
CATTIVISSIMO ME 3 di Pierre Coffin e Kyle Balda: fracassone
DOWNSIZING di Alexander Payne: confuso
JURASSIC WORLD: IL REGNO DISTRUTTO: pirotecnico
madre! di Darren Aronofsky: PRETENZIOSO?
MARIA MADDALENA di Garth Davis: enfatico
PADDINGTON 2 di Paul King: lezioso
THE PLACE di Paolo Genovese: ambizioso
QUELLO CHE NON SO DI LEI di Roman Polański: prevedibile
TUTTI I SOLDI DEL MONDO di Ridley Scott: posticcio
VITTORIA E ABDUL di Stephen Frears: ruffiano
SOTTOVALUTATI
A CASA TUTTI BENE di Gabriele Muccino: amaro
AMORI CHE NON SANNO STARE AL MONDO di Francesca Comencini: arguto
ATOMICA BIONDA di David Leitch: adrenalinico
BABY DRIVER di Edgar Wright: suadente
BRUTTI E CATTIVI di Cosimo Gomez: incompreso
C’EST LA VIE di Olivier Nakache e Éric Toledano.: esilarante
DETROIT di Kathryn Bigelow: diretto da Dio
DIARIO DI UNA SCHIAPPA – PORTATEMI A CASA di David Bowers: divertente
JUMANJI di Jake Kasdan: spassoso
IL MIO GODARD di Michel Hazanavicius: postmoderno
NAPOLI VELATA di Ferzan Özpetek: consapevole
SUBURBICON di George Clooney: graffiante
VALERIAN E LA CITTA’ DEI MILLE PIANETI di Luc Besson: immaginoso
WONDER di Stephen Chbosky: gentile
SOPRAVVALUTATI
THE BIG SICK di Michael Showalter: sundanceano
CHIAMAMI COL TUO NOME di Luca Guadagnino: fortunato
CORPO E ANIMA di Ildikó Enyedi: bislacco
DOGMAN di Matteo Garrone: esteriore
DUNKIRK di Christopher Nolan: tecnico
L’INGANNO di Sofia Coppola: stiloso
IT di Andrés Muschietti: furbo
LAZZARO FELICE di Alice Rohrwacher: zoppicante
THE POST di Steven Spielberg: stereotipato
LA RUOTA DELLE MERAVIGLIE di Woody Allen: stridente
STAR WARS: GLI ULTIMI JEDI di Rian Johnson: anonimo
BRUTTI
AUGURI PER LA TUA MORTE di Christopher B. Landon: V.M(aggiori) 14
DEADPOOL 2 di David Leitch: a salve
IL DOMANI TRA DI NOI di Hany Abu-Assad: polpetta
ELLA & JOHN di Paolo Virzì: fasullo
NELLE PIEGHE DEL TEMPO di Ava DuVernay: trash
THE PARTY di Sally Potter: insopportabile
IL PREMIO di Alessandro Gassmann: fuori fuoco