TRAMA
L’autista del pullman che deve condurre delle donne libanesi al carcere dai loro mariti muore, sparato. Tre di queste si avventurano nel deserto.
RECENSIONI
Libano intimo
Dima El-Horr, alla sua prima regia, realizza un prodotto non privo di intuizioni, ma non in grado di acquisire una fisionomia propria; pur non riuscendo ad amalgamarli, attinge ai repertori tematici e figurativi più disparati azzardando accostamenti audaci: Almodovar, richiamato nella rappresentazione delle angosce e delle frustrazioni femminili come in alcune suggestioni specificamente visive (una su tutte, la splendida ripresa nell'autobus sulle donne che appaiono dai sedili dietro a cui si erano nascoste) convive per qualche istante con il road movie di guerra (l'antecedente più vicino: Sotto le bombe) che fornisce l'impianto tematico e narratologico, e con il topos del deserto, sottraendo l'opera alla contingenza storica per farne una sorta di parabola esistenziale sulla solitudine; sono però solo attimi di grande felicità artistica, per il resto Chaque jour est une fête non fa che ripetere i luoghi espressivi più triti di certo cinema mediorientale: i lunghi piani fissi su paesaggi sconfinati, le strutture narrative avvitate su sé stesse e che procedono con affanno, spesso ricche di riferimenti simbolici, come il misterioso perdersi e ritrovarsi delle tre donne e la scansione dei vari autisti fino alle pompe funebri. L'omologazione stilistica impedisce all'opera, sorretta da spunti interessanti anche sul piano strutturale, come l'idea del viaggio alla rovescia, rispetto alle masse in fuga, che le donne compiono in direzione di un inferno sia fisico che psichico, di prendere il volo, seguendo quell'originalità visionaria che qua e là zampilla. Si conferma l'abilità di Hiam Abbas e si scoprono con piacere le sue due affascinanti e talentuose colleghe: Manal Khader e Raia Haidar.
