Commedia

CASOMAI

TRAMA

Il parroco di San Michele, che celebra il loro matrimonio, illustra ai novelli sposi le insidie e le tentazioni che portano alla crisi della coppia.

RECENSIONI

Due pattinatori in elegante duetto sul ghiaccio alla Serendipity trasmettono la sensazione di un'intesa perfetta: l'amore per sempre, la promessa, la favola. In un altro sprazzo onirico D'Alatri mostra la coppia in fuga dentro un tunnel, minacciata dai volti incubali e le lingue biforcute di amici e parenti: l'ultimo esame, la paura, la disillusione. Fra gli estremi di un amore sincero e di una società consumistica che reclam(a) l'infelicità per vendere i propri palliativi, il bizzarro prete di uno spazio felice ritagliato nel tempo (il paesino di San Michele), custode di valori e saggezza, sta nel mezzo e s'adopera per riequilibrare la bilancia, rendendo coscienti dei condizionamenti che gravano sulle giovani coppie: "Casomai…" (sul prete che fa la morale agli sposi aveva qualcosa da dire anche Faccia da Picasso). Durante la sua insolita cerimonia, parte un lungo e falso flashback alla ricerca dell'iter tipico degli amanti moderni che, non solo devono combattere le tentazioni, ma devono anche fare fronte comune contro un ambiente che per primo ha smesso di credere nella famiglia e, per cinismo o incosciente invidia, tende a sfiancarli con pettegolezzi, ipocrisie ed un sistema sociale che assiste e valorizza maggiormente i separati, i single, gli uomini in carriera senza figli. D'Alatri, dopo l'insuccesso de I Giardini dell’Eden, insegue l'ironia amara e ammiccante del Muccino de L’Ultimo Bacio, senza possedere il suo talento nell'organizzazione significativa degli stereotipi (la coppia-tipo) e nella costruzione drammatica (alcuni dialoghi forzati, disarmonia fra il piano onirico e quello relativo al quotidiano, contraddizione formale fra la ricerca dell'immagine pubblicitaria patinata, la denuncia della stessa e la distanza da passaggi filmici di rara naturalezza). La sua "predica", però, ha il merito di denudare una piaga, denunciarne le cause e proporre le soluzioni. Se la Chiesa badasse più alla sostanza che alla forma e se il fatidico "Sì" fosse pronunciato (sentito, promesso) in primo luogo da tutti i fedeli presenti al matrimonio (amici, genitori, datori di lavoro, avvocati), il mondo cambierebbe volto. Altrimenti, che l'amore resti un affare privato, senza deleterie ingerenze esterne.

Proviamo a pensare ad una giovane coppia che si vuole bene e decide di sposarsi. Immaginiamo proprio le varie fasi del loro amore: il primo incontro casuale, un po' di timidezza, le uscite complici, il fatidico bacio, il consolidamento del rapporto di coppia fino al matrimonio, la decisione di fare un figlio e poi, l'arrivo della crisi, con la lenta ma inesorabile disgregazione di quanto costruito. Il film di D'Alatri ha il pregio di affrontare in modo diretto le problematiche di coppia, e per ravvivare il racconto escogita un simpatico espediente narrativo, affidando ad un prete sopra le righe il ruolo di ipotetico narratore. Interessante anche la scelta di non concentrarsi in modo esclusivo sui due protagonisti e di raccontare il loro amore anche attraverso il microcosmo di parenti, amici, colleghi di lavoro che gravitano loro intorno. Commenti, affermazioni, silenzi, pettegolezzi, rischiano infatti di minare la perfetta alchimia di una coppia, insinuando sospetti, suffragando tesi, ingigantendo dubbi. Il mondo del lavoro puo' essere un'importante affermazione di se stessi, ma anche una facile via di fuga quando all'entusiasmo, nella coppia subentra la routine. Il non sempre facile cammino di due persone che si vogliono bene e scelgono di vivere responsabilmente il loro amore, pero', nonostante il tocco gentile del regista, la spontaneita' degli attori, la verve dei dialoghi, pur ponendo problematiche reali, resta in superficie. Alla fine si ha la sensazione di avere partecipato ad un amore piu' teorico che davvero vissuto. I personaggi di Tommaso e Stefania, infatti, risultano privi di quella irrazionalita' emotiva che nel quotidiano condiziona piu' di una scelta. Sono figurine graziose, affrontano scelte universali, ma rappresentando tutte le storie d'amore, finiscono con il non vivere appieno la loro. A ben guardare, infatti, la semplificazione operata nel film sul carattere dei personaggi, li rende piu' una somma di luoghi comuni che persone vere, con un carattere con cui convivere, ambizioni, sogni, sangue, sudore. Manca quel tocco di follia che inceppa il meccanico susseguirsi di cause ed effetti, rendendo la vita meno piatta di quello che il film vuol farci credere. Efficace all'inizio, ma un un po' abusato e prevedibile nel corso della narrazione, il paragone tra l'amore e l'equilibrio dei pattinatori. Il finale, aperto ma consolatorio, e' debitore, per montaggio delle immagini e movimenti della macchina da presa, delle tante pubblicita' a cui D'Alatri ha collaborato: non sfigurerebbe, infatti, in mano agli invitati e agli sposi, un gelato alla panna o una bibita dissetante.