CARTOLINA DA CANNES – C’ERA UNA VOLTA IL MONDO

La tendenza di questo Cannes 68, trasversale per sezioni, nazionalità e divergenti risultati estetici, è la favola: re e regine barocchi per Il racconto dei racconti di Matteo Garrone, principini incestuosi nel Marguerite et Julien di Valérie Donzelli; le Mille e una notte di Miguel Gomes per raccontare il Portogallo di oggi e la fiaba allegorica di Corneliu Porumboiu sulla caccia al tesoro di Comoara. Il mondo, l’oggi, sono filtrati dall’affabulazione, dal simbolo, come in Cemetery of Splendour di Apichatpong Weerasethakul o nel bellissimo mélo in tre atti Mountains May Depart di Jia Zhang-ke. Ma c’è stato spazio anche per il reale, senza “C’era una volta” e spesso senza sconti: Jacques Audiard e le banlieue a ferro e fuoco di Dheepan (e, specularmente, le rivolte di Rosarno in Mediterranea, il “quinto italiano” a Cannes, ovvero Jonas Carpignano); gli Usa alienati di Roberto Minervini in Louisiana – The Other Side e il post tsunami nelle Filippine raccontato da Brillante Mendoza in Taklub.
La loi du marché di Stephane Brizé (Concorso)
_x000D_La crisi vista con gli occhi dolentissimi di un Vincent Lindon maiuscolo: passati i 50, perso il lavoro, un figlio disabile, il protagonista trova un posto, buono ma ingrato, come guardia antitaccheggio in un supermercato. E affronta in rigorosi, crudi pianisequenza l’ottusità di burocrazia e dirigenti, la fame negli occhi di chi ruba tra gli scaffali, la necessità di aggrapparsi alla dignità per sentirsi umani. Dramma dardenniano solidissimo, asciugato di ogni retorica.
_x000D_VOTO: 7.5
Marguerite et Julien di Valérie Donzelli (Concorso)
_x000D_Valérie Donzelli filma un cinema veemente, sfacciatamente privato, spudoratamente hipster: se in La guerra è dichiarata l’intimità del soggetto autobiografico rendeva tutto ciò lecito e perfino glorioso, con l’adattamento di uno script che, a suo tempo, Jean Gruault aveva steso per Truffaut, pecca di immaturità cocente. Girando come se la Nouvelle vague fosse qualcosa avvenuto per lei sola, un giocattolo che, da bimba gelosa, usa come vuole per poi riportarselo a casa, il mélo fiabesco degli amanti incestuosi, nonostante la buona volontà di un’incantevole Anais Demoustier, corre a perdifiato verso la rovina.
_x000D_VOTO: 4
Mediterranea di Jonas Carpignano (Semaine de la critique)
_x000D_Esordio nel lungometraggio di un giovane autore italiano già premiato a Venezia, racconta l’arrivo di due immigrati del Burkina Faso fra gli aranceti di Rosarno, senza mai prendere l’abbrivio retorico dell’odissea, ma mettendo in scena una realtà prismatica e conflittuale, dove la solidarietà, come la xenofobia, non sono concetti riducibili a slogan. Macchina a mano e sguardo acuto, Carpignano osserva l’infiammarsi della rivolta degli immigrati dal loro punto di vista, ma non fa sconti su ambo i fronti del conflitto.
_x000D_VOTO: 7
Green Room di Jeremy Saulnier (Quinzaine des réalisateurs)
_x000D_Una band intrappolata in un covo di neonazi (capitanati da Patrick Stewart!), un crescendo ironico e sfrenato di mutilazioni e citazioni musicali. L’altra faccia della Louisiana di Roberto Minervini: uno slasher a ritmo punk, dal ghigno grondante sangue, dove l’autore di Blue Ruin degrada verso l’horror e la farsa il suo discorso sulla violenza americana, mettendo in scena una comunità paramilitare più realistica di quanto sembri.
_x000D_VOTO: 6.5
Dheepan di Jacques Audiard (Concorso)
_x000D_L’Europa vista dagli occhi degli immigrati: la messa in scena di un trio di sconosciuti cingalesi (un uomo, guerrigliero tamil in fuga dalla guerra; una donna che si finge sua moglie e una piccola orfana raccolta non per pietà ma per poter partire prima) che si dichiarano famiglia, per sopravvivere, e si adattano alle consuetudini, alla lingua, dosando la violenza da fare a se stessi per non soccombere. Audiard guarda ancora verso la marginalità, sociale e linguistica, abile come pochi nel rendere sullo schermo la mutazione epidermica di individui guidati dall’istinto di sopravvivenza. E capace come nessuno di suturare senza strappi il lirismo del melodramma e del romanzo di formazione alla realtà contemporanea.
_x000D_VOTO: 8
Comoara di Corneliu Porumboiu (Un certain regard)
_x000D_C’è un tesoro sepolto, nel giardino del vicino indebitato: forse l’hanno sepolto i comunisti, forse invece è lì da dopo la rivoluzione, forse non esiste. Ma vale la pena scavare, e Costi posa il libro di fiabe che leggeva al suo bimbo per credere alla sua personale leggenda e mettersi in cerca di un metal detector. Parabola comica, in forma di barzelletta filmata, sulla Romania di ieri e di oggi, sull’apertura all’occidente e all’Europa, suggellata (come pure il grande Mountains May Depart di Jia Zhang-ke, che si apre e si chiude su Go West rifatta dai Pet Shop Boys) da una ironica hit di europop: Live Is Life degli austriaci Opus, nella cover truce degli sloveni Laibach.
_x000D_VOTO: 7