
Introduzione
a cura di Luca Pacilio
Carlos Vermut, pseudonimo di Carlos López del Rey (Madrid, 6 marzo 1980), viene dal fumetto, ascendenza che si muove, concettuale, sottotraccia, in un cinema che, figurativamente, ne parrebbe così lontano, freddo nei toni e prosciugato nello stile come appare. Basterebbero i tre minuti di Maquetas (2009), uno dei suoi primi corti, per rendere la sua idea poetica: con taglio iperrealistico si mostrano delle persone che ricordano a un intervistatore invisibile dove si trovavano al verificarsi di un evento catastrofico, una tragedia imprecisata che ha recato morte e distruzione. Tra gli archi struggenti del commento musicale che sottolineano, con enfasi televisiva un po’ sciacalla, la gravità della sciagura, si perviene alla rivelazione finale: il trauma collettivo di cui gli intervistati parlano l’ha provocato l’attacco di un mostro stile Godzilla. In Don Pepe Popi (2012) i Venga Monjas (Esteban Navarro e Xavier Daura, comici e sceneggiatori catalani, duo famoso per le sue miniserie su YouTube – il corto si innesta in un ciclo di sette intitolato Venga Monjas Directed by di registi vari -) vengono contattati da una madre che ha perso la figlia adolescente. La donna chiede loro di realizzare un video che dia vita al personaggio inventato e disegnato dalla defunta, Don Pepe Popi. I due, dopo qualche titubanza, accettano premettendo che lo faranno nel loro stile, molto fantasioso e paradossale. La proiezione del video alla famiglia (ne sentiamo solo l’audio, guardiamo le reazioni degli spettatori) crea imbarazzo e delusione, la madre non riconosce in quel lavoro lo spirito e la personalità di sua figlia. A quel punto chiede di togliere l’audio e fa ripassare il video (lo vediamo) al quale sovrappone la sua voce e le sue parole. La mistura tra la voce straziata della madre e le immagini demenziali del video crea un cortocircuito di tragedia e commedia in cui ogni reazione (riso, dolore) appare fuori posto.
In questo intreccio un po’ perverso tra realtà e immaginazione, nel disorientamento che provoca, si muove il primo lungo Diamond Flash (2011), un virtuosismo narrativo fatto di storie frammentate e apparentemente scollegate, salti temporali con un occhio a Tarantino, largo uso del fuori campo, una messa in scena spartana, il cui rigore esalta ancor più il congegno di una scrittura dominata da un senso tragico di ineluttabilità. E che si muove in un campo ibrido che scopriamo prediletto, quello in cui il realismo convive con un fantasy possibile, dove Shyamalan strizza l’occhio a Lanthimos. Magical Girl (2014) organizza al meglio le intuizioni dell’opera prima, stilizzandole in un bellissimo noir mentale, angosciante e laconico, che affascina Pedro Almodóvar e vince il festival di San Sebastián, mentre lavora su atmosfera e dramma Quién te cantará (2018), un balletto di identità fragili che richiama alla mente Persona ed Eva contro Eva, ma come puro retrogusto, citazioni volatilizzate. Mantícora (2022) porta infine a perfezione il suo discorso poetico e stilistico. Con audacia autentica: perché qui Vermut si avventura in un terreno moralmente minato e, contemplando il rifiuto come certezza, abbraccia il tabù del desiderio più oscuro.
Ipse dixit
«Mantícora pone sul piatto una questione: esistono limiti morali nel mondo virtuale? Il film non dà una risposta, il film è questa domanda».
«Piacere e rigore nei miei film vanno a braccetto: il piacere di utilizzare il linguaggio puro del cinema – frutto di una passione che ho fin da bambino – e il rigore che mi consente di costruire una cornice di sicurezza, un quadro nel quale far volare la mia immaginazione, sentendomi libero di mettere in scena anche storie amorali, a volte immorali. A partire dalla fine degli anni 80 si è imposto un certo moralismo, i film devono avere un messaggio, rimandare segnali positivi, cosa che rispetto purché si abbia anche lo spazio e la libertà per altri tipi di riflessione. I miei film non hanno messaggi, sono un insieme di idee, una cronaca – forse ingenua, senza un fine o un ragionamento particolare – di quello che succede nel mondo. Sono film moralmente scomodi che spero cinematograficamente comodi».
«Mi piace avvicinare la cultura pop, così luminosa, al lato oscuro della natura umana. È un abbinamento che avviene in modo diverso film dopo film, a seconda del medium prescelto: il fumetto, l’animazione, la canzone, i videogiochi. Ho un piccolo aneddoto che permette di capire come abbia assunto questo punto di vista. Prima di cominciare col cinema, disegnavo fumetti. E ho lavorato anche nel campo dell’animazione, un ambiente che mi ha segnato a vita: non ho mai vissuto in un contesto più velenoso, ambizioso e tremendo di quello. C’era un contrasto assoluto tra la luminosità che emanava dalla nostra creazione, una serie animata per bambini, e le logiche del profitto, del marketing, dei soldi e del business che dominavano i discorsi di chi ci lavorava».
Dichiarazioni di Carlos Vermut tratte dall’incontro moderato da Giulio Sangiorgio e tenutosi in occasione dell’omaggio tributato al regista dal Torino Film Festival 2022.
LUNGOMETRAGGI
DIAMOND FLASH (2011)
a cura di Niccolò Rangoni Machiavelli
MAGICAL GIRL (2016)
a cura di Fiaba Di Martino
CHI CANTERÀ PER TE? / QUIÉN TE CANTARÁ (2018)
a cura di Alessandro Ronchi
MANTICORA (2022)
a cura di Luca Pacilio