TRAMA
Il 15 aprile del 2013 durante la tradizionale maratona di Boston due ordigni realizzati con pentole a pressione, esplosivo, chiodi e pezzi di ferro esplodono in un punto particolarmente affollato causando 3 morti e almeno 264 feriti. Il sergente Tommy Saunders cercherà in tutti i modi di arrestare i responsabili dell’atto terroristico.
RECENSIONI
Da tre film a questa parte Peter Berg e Mark Wahlberg sembrano aver trovato un metodo, un format produttivo collaudato in grado di conferire alla coppia un ampio successo di pubblico, un immarcescibile bollino di americanità e anche un discreto riconoscimento di tipo strettamente cinematografico. Galeotto fu Lone Survivor, film del 2013 incentrato su un ex Navy SEAL in missione in Afganistan; l'anno scorso arrivò Deepwater - Inferno sull'oceano a raccontare il coraggio di alcuni uomini nell'affrontare la tremenda esplosione della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon; quest'anno invece è la volta di Boston - Caccia all'uomo, ricostruzione cinematografica dell'attentato terroristico avvenuto durante la maratona di Boston il 15 aprile del 2013. In tutti e tre i film il regista Peter Berg si serve del divo hollywoodiano Mark Wahlberg per realizzare degli ibridi, opere che uniscono un modello cinematografico ad alta spettacolarità e un variabile impegno politico-sociale di stampo fortemente patriottico; tutti film realizzati a partire da fatti realmente accaduti che in due casi su tre sono stati preceduti dalla pubblicazione di volumi di non-fiction di stampo giornalistico.
Sebbene questo tipo di operazioni siano sulla carta estremamente riconoscibili, analizzabili in tutte le loro componenti, non sempre il passaggio dalla teoria alla pratica conduce a risultati soddisfacenti. Non fu così infatti per Deepwater, soprattutto a causa di una difficile amalgama tra il registro action ben gestito ma relegato in fondo al film e quello “di denuncia” che finiva per essere più una zavorra che un sussulto vitale. Caccia all'uomo funziona molto meglio proprio perché la miscela tra eroismo e documentazione di un recente trauma nazionale trova nell'orgoglio bostoniano una sineddoche perfetta di quello americano, riuscendo a sfruttare così la possibilità di raccontare l'ennesima grande storia di coraggio e rivendicazione identitaria del popolo a stelle e strisce. Se nel film precedente ciò che rendeva problematica l'operazione era la difficile compatibilità tra la denuncia e l'eroismo – che finivano per indebolirsi a vicenda – in questo l'impegno politico è di segno opposto, ovvero tutto incentrato su una città ferita che è in grado di rialzarsi con le proprie gambe, sposandosi in questo modo perfettamente con l'eroismo all'insegna di un'americanità non certo ricca di contraddizioni ma senza dubbio sincera. Dal punto di vista narrativo è infatti palese l'intenzione di fondere la ferita al cuore di una città, che fin dall'inizio è presentata come unita, compatta, multiculturale e orgogliosa (non è un caso che il trauma sia posto nella parte iniziale del film), e il riscatto di un popolo intero – che va dall'alto delle parole di Obama al basso di quelle del giovane studente cinese – declinato attraverso la caccia all'uomo, come se l'autore di quel gesto così destabilizzante fosse riconosciuto in maniera unanime come il virus da estirpare dalle maglie della città.
Benché tutti questi discorsi siano validi proprio perché condotti attraverso immagini in movimento in grado di raccoglierne il senso e farsi portatrici di un nobile messaggio, bisogna parlare anche del cinema, ovvero di quel piano strettamente estetico che prescinde dal contenuto e che, riducendo all'osso, decreta gran parte del valore (o del suo contrario) del film. Possiede Boston - Caccia all'uomo uno specifico cinematografico così valido da rendere quest'opera e la riflessione estetica che ne consegue autonome rispetto a una comune ricostruzione letteraria (per altro in questo caso già esistente)? La risposta è sì, perché in questo caso Peter Berg e Mark Wahlberg si dimostrano una coppia molto più centrata rispetto al film precedente, la mente e il braccio di un film di genere che, nonostante la lunghezza, rimane teso fino alla fine, grazie a una direzionalità narrativa molto spiccata e a un ritmo visivo che conosce davvero pochi momenti di flessione.
Sono due le macro-sequenze (che sommate costituiscono metà film) che meglio riassumono i meriti dell'opera. Innanzitutto la prima parte, quella che dalla presentazione dei principali personaggi coinvolti nell'attentato arriva fino all'attentato stesso, attraverso un crescendo di tensione ben gestito che culmina con la detonazione degli ordigni ripresa da diversi punti di vista e da più dispositivi. C'è qualcosa di eastwoodiano in quell'America che si sveglia, che si prepara a un evento collettivo e unificante, che unisce ricchi e poveri sotto una costante musica di sottofondo, forse un po' troppo invadente e celebrativa ma senza dubbio in grado comunicare quella serenità distrutta dal botto terroristico evocata dalle parole di Obama. Il film conosce però il suo picco nella seconda parte, durante la lunga sequenza di guerriglia notturna tra le vie della città, in cui la regia di Berg dà il meglio di sé grazie a un montaggio serratissimo, esplosioni a ripetizione e un senso dell'azione davvero efficace. Al centro di tutto c'è l'orgoglioso e combattivo sergente Tommy Saunders, volto umano delle istituzioni bostoniane, parte per il tutto degli Stati Uniti, la cui ferita al ginocchio è una sorta di metafora antropomorfa del 9/11, alla quale proprio come il suo Paese (o meglio, come l'America nel mondo ideale di Peter Berg) il personaggio interpretato da Wahlberg reagisce con ostinazione e coraggio.