TRAMA
Riggan è un attore in declino, famoso per aver in passato interpretato un mitico supereroe, alle prese con le difficoltà e gli imprevisti della messa in scena di uno spettacolo a Broadway che dovrebbe rilanciarne il successo.
RECENSIONI
Birdman è, strizzandolo al massimo, un film sulla barricata eretta, in ambito culturale, tra il mainstream e il prodotto di nicchia, tra l’industria e l’impegno autoriale, cortina concepita e voluta inespugnabile dall’ottusità degli analisti e dai riflessi mediatici determinati dalle loro trattazioni. Lo testimonia il personaggio - defilato, ma decisivo - della critica teatrale che rivela che stroncherà a priori il dramma portato in scena dal protagonista Riggan Thomson dal momento che egli rappresenta tutto quello che ella detesta. La firma giornalistica prestigiosa incarna l’intellettuale che ha sempre ragionato per comparti stagni e che non ha mai compreso un tubo della contemporaneità, prigioniera di un panorama culturale idealizzato, impermeabile ai sussulti e ai fermenti del presente, in un mondo in cui l’indie non rappresenta soltanto una modalità produttiva ma, a tutti gli effetti, un’estetica; in cui il critico è un maître à penser che ha dei fan (di qui la frase di Flaubert che viene citata: si fa critica quando non si può fare arte, allo stesso modo in cui si diventa spie quando non si può essere soldati) e che vede l’invasione del pop (il sistema, l’industria) come un pericolo, dal momento che aprirebbe l’ambito della discussione a nuove incontrollabili voci, distruggendo le spocchiose enclave
Birdman, proprio per questo motivo, proprio perché affronta questo nodo, è un film sul Contemporaneo, sulla contrapposizione fittizia e di comodo che è stata inventata tra prodotto per le masse (e quindi fondamentalmente commerciale) e prodotto per le élite (e quindi essenzialmente artistico). Se lo standard è il nemico, chi lo incarna, il protagonista, è un bersaglio; se il Il botteghino è il diavolo, il successo enorme è sinonimo di spazzatura e meritata dannazione.È una guerra culturale quella che si sta combattendo negli ultimi anni e Birdman la rappresenta in pieno attraverso il conflitto interiore che il protagonista combatte tra (un) sé e (un) sé: Riggan Thomson sta invecchiando e vuole guadagnarsi una credibilità di attore serio dal momento che la sua immagine è indissolubilmente legata ai film in cui si è calato nei panni dell’eroe alato Birdman, un personaggio che ha lasciato su di lui tracce non trascurabili dei propri superpoteri; quindi si dà al teatro con una riduzione di Di cosa parliamo quando parliamo d’amore di Carver nel prestigioso St. James Theater di Broadway. Ma la sua anima è tormentata da Birdman, superoe & Super Io/ Passato Che Ritorna/ Voce Interiore che lo perseguita e che lo vorrebbe sincero con se stesso, coscienza della concreta appartenenza dell’uomo al mondo mainstream, rigettata con forza indietro, ma che torna puntualmente a galla, volendo riportare il protagonista alla sua dimensione più autentica, quella dell’attore di successo sì, ma etichettato e bistrattato dalla critica: il protagonista cederà alla tentazione di incarnare ancora Birdman? Vivrà il suo essere un personaggio di una serie di blockbuster come una condizione non vergognosa? Riuscirà a non fare del teatro un pretesto attraverso il quale scontare il suo “peccato originale”?
Il dilemma identitario lo divora al punto da decidere di morire in scena, tentativo che fallito lo porterà al nuovo atto estremo di lanciarsi dalla finestra a mò di uccello: un finale aperto che non viene spiegato ma che potrebbe sottintendere il superamento del dilemma e la definitiva liberazione dai suoi dubbi attraverso una nuova incarnazione dell’eroe mascherato.
Iñárritu rende il percorso interiore del protagonista in un film-fuoco di fila che svela di continuo il suo dispositivo, girato come un unico falso piano sequenza (composto, come invece risulta essere, da tanti piani sequenza legati da diversi espedienti post produttivi - la direzione della fotografia è, non a caso, di Emmanuel Lubezki, sodale di Malick e deus ex machina da presa di Gravity), un esuberante tourbillon che si muove nello spazio e nel tempo, che entra e esce dalla finzione teatrale - dentro e fuori dal meccanismo rappresentativo - esattamente come alterna le manifestazioni del comportamento esteriore del protagonista con le improvvise immersioni nella sua interiorità. Si gioca con verità e finzione (le anteprime che falliscono tutte, la colonna sonora che si scopre diegetica), con realtà e rappresentazione (e allora Edward Norton sul palco è un mostro di sincerità, mentre nella vita è un bugiardo patentato; ha erezioni poderose quando si trova sul palcoscenico e imbarazzanti defaillance quando è fuori di esso). Un film che non si perde nelle sue derive metatestuali pur attribuendo a quel motivo grande rilevanza: la scelta di Michael Keaton, in primis, il cui personaggio riflette la sua immagine di attore e la sua carriera (Birdman non è altro se non una declinazione fantasiosa del personaggio di Batman) e il resto del cast che si muove ai confini dell'autorappresentazione (Emma Stone, già in The Amazing Spider Man; Edward Norton, già Hulk, e qui, come nei fatti, attore di talento che ha avuto un momento di fasto e che poi è gradualmente svanito dall'orizzonte delle produzioni rilevanti). Se a volte sembra che il regista indulga all'esercizio di alto stile, l'immersione della storia nell'attualità, il suo proporre continue riflessioni sui meccanismi dela comunicazione (il ruolo dei social network, le fatuità rilevanti dello stardom enfatizzate dai media), il ritmo e la puntualità della scrittura (con un calo solo nell'ultima parte) - in bilico costante tra dramma e commedia, tra tragedia farsesca e pochade demenziale -, ne fanno un intrattenimento intelligente e di gran classe, uno dei titoli più convincenti visti nel concorso veneziano.